Un “no” categorico all’uso della violenza, “da qualsiasi parte venga”, e alle “violazioni dei diritti umani verificatesi in questi giorni”. Dopo la presa di posizione della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale venezuelana, scendono in campo monsignor Mariano José Parra Sandoval, vescovo di Ciudad Guayana, e padre Néstor Alberto Briceño Lugo, responsabile della pastorale universitaria diocesana, mentre continuano le tensioni in Venezuela, dopo gli scontri che lo scorso 12 febbraio, durante una pacifica manifestazione di studenti per chiedere la fine del governo di Nicolas Maduro, hanno causato tre morti, oltre 60 feriti e un centinaio di arresti. La polizia è intervenuta contro i dimostranti con armi e blindati. “Dal nostro ministero pastorale sosteniamo il diritto alla protesta pacifica, sancito dall’art. 68 della Costituzione della Repubblica bolivariana del Venezuela”, si legge nella nota firmata da mons. Parra e da padre Briceño. Intanto il leader dell’opposizione, Henrique Capriles, ha chiesto a Maduro di “disarmare i gruppi paramilitari”, mentre Leopoldo Lopez, leader del partito di opposizione “Volontà Popolare”, si è consegnato alle autorità. Il governo venezuelano ha accusato l’amministrazione Usa di essersi schierata con studenti e organizzatori delle proteste, e ha ordinato l’espulsione di tre funzionari dell’ambasciata americana a Caracas.
La crescente ondata di violenza, sta rendendo il Venezuela, uno dei paesi più pericolosi al mondo. Dato che durante i lunghi 14 anni di presidenza di Hugo Chavez, il tasso di criminalità è costantemente cresciuto, il nuovo presidente, Nicolas Maduro, eletto nemmeno un anno fa, ha deciso di lanciare un piano sicurezza intitolato “Patria Segura” che prevede di mobilitare l’esercito e di porlo a fianco delle forze di polizia. Per il momento, sono tremila i soldati dispiegati per le strade di Caracas, ma il rischio di fallimento è alto soprattutto se si considera che in precedenza ci sono stati almeno una ventina di simili tentativi. Inoltre, un’associazione che si batte per la tutela dei diritti umani ha criticato il progetto di Maduro sottolineando che l’esercito è addestrato a combattere le guerre e a controllare l’ordine pubblico, non a prevenire la criminalità. I dati parlano chiaro: oltre 16mila persone sono state uccise in Venezuela nel 2012, con un aumento del 14 per cento rispetto al 2011. Il tasso di omicidi è di 55,2 ogni 100mila abitanti, vale a dire uno dei più alti al mondo e secondo le Nazioni Unite il Venezuela si posizionerebbe al quinto posto in questo triste primato. La situazione è talmente critica che molti venezuelani si barricano in casa dopo il tramonto e benché il Paese sia afflitto da numerosi problemi, tra cui la povertà, per loro la preoccupazione più grande consiste proprio nel dilagare della violenza. Secondo un’associazione no profit, InSight Crime, il tasso di criminalità del Venezuela è addirittura più alto di quello della Colombia, un Paese dove si sta combattendo oltretutto una guerra civile. Secondo l’associazione, le cause di una tale violenza dipendono dall’elevata corruzione, dalla mancanza di investimenti sulle forze dell’ordine, da un debole controllo delle armi e da una politica di sicurezza poco coerente. Infine, benché Caracas non produca consistenti quantità di cocaina, è comunque diventato un luogo di transito per la droga che giunge dalla Bolivia, dal Perù e dalla Colombia ed è diretta verso gli Stati Uniti. di Ornella Felici