Pax et Justitia

Il 31 agosto del 1941, Suor Lucia iniziò la trascrizione del 3° Segreto di Fatima. Entriamo nel mistero svelato

La storia delle apparizioni mariane di Fatima è inscindibilmente legata a quel «segreto» diviso in tre parti e rivelato dalla Madonna ai tre pastorelli nel 1917. Un testo profetico la cui rivelazione era attesa nel 1960, ma che è stato reso noto soltanto quarant’anni dopo, durante il Giubileo del 2000, da san Giovanni Paolo II, il Pontefice che ha creduto di riconoscersi nel «vescovo vestito di bianco» martirizzato insieme ai cristiani. È una storia fatta di documenti e di date certe, ma anche costellata di tante illazioni, testi apocrifi, presunte profezie apocalittiche. La più recente e documentata ricostruzione si può leggere nel libro di Saverio Gaeta «Fatima, tutta la verità.

La storia, i segreti, la consacrazione» (Edizioni San Paolo), un volume che ha il pregio di aver incluso le ultime novità emerse grazie alla pubblicazione di scritti di suor Lucia dos Santos mai rivelati prima.

La visione profetica venne affidata ai tre pastorelli il 13 luglio 1917. Passano molti anni prima che le tre distinte parti del segreto vengano fissate su carta. Le prime due vengono scritte da Lucia nella cosiddetta Terza memoria, vergata fra il 26 luglio e il 31 agosto 1941, e successivamente nella Quarta memoria, compilata fra il 7 ottobre e l’8 dicembre dello stesso anno. Questi due testi sono subito consegnati al vescovo di Leiria (sotto la cui giurisdizione ricade Fatima), monsignor José Alves Correia da Silva. Come abbiamo avuto modo di vedere, le prime due parti si riferiscono alla visione dell’inferno e all’arrivo di una nuova grande guerra mondiale. Vengono scritte quando questa è già cominciata e rese note per la prima volta da padre Luis Gonzaga da Fonseca, nella quarta edizione del suo libro «Le meraviglie di Fatima» pubblicata nell’aprile 1942. Questo primo testo pubblicato contiene dei ritocchi rispetto all’originale di Lucia, ad esempio la parola «Russia» viene sostituita con la parola «mondo», per motivi legati alla situazione politica e alla guerra in corso.

Vista la salute cagionevole di suor Lucia – che sarà invece destinata a vivere una vita lunghissima – il vescovo teme che possa morire senza aver comunicato la terza parte del Segreto. Così Correia da Silva prima di persona e poi per iscritto, alla fine dell’estate 1943, le ordina di fissare su carta anche l’ultima parte della profezia. La veggente ci prova, ma per cinque volte non ci riesce. La svolta arriva nei primi giorni di gennaio 1944. Lucia avverte la presenza di Maria. E racconta che cosa accade in una lettera di accompagnamento per il vescovo, consegnata insieme al Segreto. Questa lettera e le parole che stiamo per citare sono rimaste sconosciute fino a poco tempo fa. «L’indicazione della Vergine fu precisa: “Non temere, poiché Dio ha voluto provare la tua obbedienza, fede e umiltà; stai serena e scrivi quello che ti ordinano, tuttavia non quello che ti è dato intendere del suo significato. Dopo averlo scritto, mettilo in una busta, chiudila e sigillala e fuori scrivi “che può essere aperta nel 1960 dal cardinale patriarca di Lisbona o dal vescovo di Leiria”».

È interessante fermare l’attenzione sulle parole della Madonna che Lucia riferisce: «Non quello che ti è dato intendere del suo significato». La voce di Maria chiede dunque alla veggente di non scrivere nulla sul significato della visione, sull’interpretazione di quella scena cruenta del Papa che viene ammazzato. Ma da queste affermazioni, redatte da Lucia nel 1944, non si comprende bene se ci si riferisca a un’interpretazione offerta con parole precise dall’apparizione stessa nel 1917 (com’era avvenuto per la prima parte del Segreto), o se con quel «che ti è dato intendere» ci si riferisca un’interpretazione della veggente, seppure ispirata.

La busta viene chiusa con un po’ di ceralacca e consegnata al vescovo di Leiria, il quale comunica la notizia al patriarca di Lisbona, Manuel Gonçalves Cerejeira, e alla Santa Sede, ricevendo dal Vaticano l’indicazione di custodire il plico. Il vescovo, pur potendolo fare, non aprirà mai la busta per conoscerne il contenuto. Il 7 settembre 1946, intervenendo al Congresso mariano di Campinas in Brasile, il cardinale Cerejeira comunica pubblicamente che la busta con il Segreto «sarà aperta nel 1960».

Un anno e mezzo dopo aver ricevuto il testo della profezia chiuso nella busta inviata dalla veggente, monsignor Correia da Silva la infila dentro una propria busta che a sua volta sigilla con la ceralacca, scrivendo: «Questa busta con il suo contenuto sarà consegnata a sua eminenza il signor cardinale don Manuel, patriarca di Lisbona, dopo la mia morte. Leiria, 8 dicembre 1945. José, vescovo di Leiria». Il plico sarà fotografato e l’immagine pubblicata sul settimanale statunitense «Life» del 3 gennaio 1949.

Nel 1956, quando il vescovo è ormai molto anziano, malato e quasi cieco, e si avvicina la data indicata per la rivelazione, dal Vaticano arriva l’ordine di inviare a Roma fotocopia di tutti i manoscritti di suor Lucia e la busta originale con il testo del Terzo Segreto. A metà marzo del 1957 il vescovo ausiliare di Leiria, João Pereira Venâncio consegna il documento al nunzio apostolico in Portogallo, l’arcivescovo Fernando Cento. Il plico arriva Oltretevere il 16 aprile 1957.

Secondo diverse testimonianze, tra cui quella del cardinale Alfredo Ottaviani, Pio XII decide di aprirlo e lo ripone all’interno di una cassetta di legno con l’iscrizione “Secretum Sancti Officii” (Segreto del Sant’Offizio). Anche di questa cassetta esiste una foto eloquente, scattata dal fotografo Robert Serrou il 4 maggio 1957 e pubblicata la prima volta sul magazine francese Paris Match il 18 ottobre 1958, dopo la morte di Papa Pacelli. Era stata suor Pascalina Lehnert, governante e segretaria di Pio XII, a fare al fotografo la confidenza: «Là dentro c’è il terzo Segreto di Fatima».

Bisogna ricordare che dal momento dell’arrivo a Roma in poi disponiamo dei dati su dove il plico è stato conservato e su quando i Papi l’hanno consultato, grazie alla pubblicazione vaticana del giugno 2000, nella quale, oltre al testo del Segreto e alla sua interpretazione teologica a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, viene descritta anche la storia della sua custodia in Vaticano attraverso uno scritto dell’arcivescovo Tarcisio Bertone, all’epoca segretario della Congregazione per la dottrina della fede e numero due di Ratzinger. Da questo punto in poi, i dati documentali spesso divergono dalle testimonianze ugualmente attendibili di alcuni autorevoli testimoni e ci sono indizi che lasciano pensare all’esistenza di due copie dello stesso testo – o secondo alcuni di due testi diversi – conservati in due luoghi diversi: l’archivio dell’ex Sant’Uffizio e l’appartamento papale. Una distinzione che non può essere fatta per il tempo di Pio XII: all’epoca infatti, e fino alla riforma della Curia voluta da Paolo VI, il Papa era anche Prefetto del Sant’Uffizio e dunque non doveva sorprendere la conservazione nel suo appartamento di documenti particolarmente delicati o scottanti di quel dicastero.

Il primo Pontefice ad aprire la busta e a leggere il contenuto del Segreto è Giovanni XXIII, durante l’estate del 1959, mentre si trova a Castel Gandolfo, e precisamente il 17 agosto, quando «d’accordo con l’eminentissimo cardinale Alfredo Ottaviani», il commissario del Sant’Offizio, padre Pierre Paul Philippe, consegna a Papa Roncalli la busta ancora sigillata. Secondo quanto scritto da Bertone, sulla base della documentazione d’archivio, Giovanni XXIII decide di rimandare la busta al Sant’Uffizio. Ma l’arcivescovo Loris Capovilla, segretario particolare di Roncalli, ricorda invece che il Papa «portò il plico in Vaticano. Nessuno più gliene parlò, né il Sant’Offizio chiese dove fosse andato a finire il memoriale. Stava in un tiretto dello scrittoio della camera da letto». Il plico dunque sarebbe stato conservato in uno scomparto poco visibile e accessibile dello scrittoio, detto «Barbarigo», un mobile appartenuto a san Gregorio Barbarigo e regalato a Papa Giovanni dal conte Dalla Torre.

Dopo essersi fatto aiutare a tradurre il testo, Giovanni XXIII detta a monsignor Capovilla alcune frasi da scrivere su una busta che finora non è mai stata mostrata pubblicamente: «Il Santo Padre ha ricevuto dalle mani di monsignor Philippe questo scritto. Si è riservato di leggerlo il venerdì con il suo confessore. Essendoci locuzioni astruse, chiama monsignor Tavares, che traduce. Lo fa vedere ai suoi collaboratori più intimi. E alla fine dice di rinchiudere la busta, con questa frase: “Non do nessun giudizio”. Silenzio di fronte a una cosa che può essere una manifestazione del divino, e può non esserlo».

Il 21 giugno 1963 viene eletto successore di Roncalli l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, che prende il nome di Paolo VI, meno di una settimana dopo, il 27 giugno, il nuovo Papa desidera leggere il Segreto, dopo averne parlato con il cardinale Fernando Cento, già nunzio in Portogallo, e con il vescovo di Leiria João Pereira Venâncio, che quella stessa mattina aveva ricevuti in udienza. La busta però non si trova. E così il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Dell’Acqua, chiede lumi a monsignor Capovilla, che dopo la morte di Giovanni XXIII era rimasto – e vi resterà fino al 1967 – nell’anticamera pontificia. Capovilla ha raccontato e messo per iscritto di essere stato contattato quel giorno dal sostituto e di avergli suggerito di cercare il plico «nel cassetto di destra della scrivania detta “Barbarigo”, nella stanza da letto del Papa». Un’ora dopo monsignor Dell’Acqua gli telefona per confermare che era tutto a posto. La busta era stata ritrovata.

L’arcivescovo Tarcisio Bertone, nel testo che ricostruisce la storia del Segreto sulla base dei registri dell’archivio del Sant’Uffizio, scrive invece che «Paolo VI lesse il contenuto il 27 marzo 1965, e rinviò la busta all’Archivio del Sant’Offizio». Bertone in successive dichiarazioni bollerà «le ricostruzioni cinematografiche della busta nascosta nel comodino del Papa» come «pura fantasia». Chi scrive ha avuto modo di ascoltare ormai dieci anni fa direttamente dalla voce di Capovilla, che si serviva al riguardo delle note vergate a suo tempo nell’agenda, l’episodio del plico che non si trovava e dell’indicazione data a Paolo VI di cercarlo nello scrittoio «Barbarigo». Non si capisce perché il più stretto collaboratore di Papa Roncalli, custode della sua memoria e dei suoi scritti, avrebbe inventato di sana pianta una storia simile. Allo stesso tempo, bisogna credere alla ricostruzione di Bertone, basata sui documenti d’archivio. Ecco un indizio sulla possibile esistenza di due testi distinti o, più semplicemente, di due copie dello stesso testo conservate in due luoghi distinti, nell’appartamento del Papa e al Sant’Uffizio.

Il testo del Segreto, non rimane però confinato alla conoscenza di poche persone. In vista del suo viaggio a Fatima, il 13 maggio 1967, per il cinquantesimo delle apparizioni, Paolo VI fa convocare il 1° marzo una plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede nella quale viene letto il Segreto e si discute se sia opportuno o meno pubblicarlo. I pareri negativi prevalgono e si decide di proseguire nella linea già tenuta da Giovanni XXIII, che non aveva ritenuto di rendere pubblico il testo nel 1960.

Nel 1978, dopo la meteora Giovanni Paolo I, si arriva a Karol Wojtyla. Secondo la testimonianza fornita il 13 maggio 2000 a Fatima dal portavoce vaticano Joaquín Navarro-Valls, mai smentita, Giovanni Paolo II avrebbe letto il testo nel 1978, pochi giorni dopo l’elezione al pontificato. Da altre testimonianze, riportate dalla vaticanista portoghese Aura Miguel, sappiamo che subito dopo l’attentato del 13 maggio 1981, mentre ancora si trovava ricoverato al Policlinico Gemelli, Papa Wojtyla chiese di vedere tutti i documenti di Fatima: «Uno dei primi cardinali a far visita a Giovanni Paolo II è l’argentino Eduardo Pironio, che afferma di aver visto il Papa nell’infermeria del decimo piano del policlinico Gemelli immerso nei documenti relativi alle apparizioni della Cova da Iria. L’ex segretario del Pontificio consiglio per i laici racconta che il Papa, impressionato dall’incredibile coincidenza delle due date, studiò i documenti».

Secondo la ricostruzione scritta da monsignor Bertone questa circostanza si sarebbe verificata più di due mesi dopo: «Sua eminenza Franjo Seper, Prefetto della Congregazione (per la dottrina della fede, ndr), consegnò a sua eccellenza Eduardo Martinez Somalo, Sostituto della Segreteria di Stato, il 18 luglio 1981, due buste: – una bianca, con il testo originale di suor Lucia in lingua portoghese; – un’altra color arancione, con la traduzione del “segreto” in lingua italiana. L’11 agosto seguente monsignor Martinez ha restituito le due buste all’Archivio del Sant’Offizio». Anche in questo caso, le discrepanze nei racconti potrebbero avere una spiegazione semplice. Non va infatti dimenticato che appena 17 giorni dopo essere uscito dal Gemelli, Giovanni Paolo II vi fece ritorno il 20 giugno 1981, a motivo di un’infezione al sangue che aveva contratto. Rimarrà in ospedale fino al 14 agosto, per 55 giorni. È durante questo nuovo ricovero che, secondo i registri del Sant’Uffizio, riceve i documenti di Fatima. Non si può dunque escludere che le due versioni in realtà possano coincidere e che il ricordo del Pontefice che consulta i testi sul letto d’ospedale sia riferito al secondo e non al primo ricovero.




Si arriva così al 13 maggio 2000, quando, al termine della messa per la beatificazione di Francesco e Giacinta Marto, celebrata da Giovanni Paolo II in presenza di suor Lucia nella spianata antistante il santuario di Fatima, il cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano prende la parola per riferire un sunto del Segreto. Sodano presenta la profezia come rivolta interamente al passato, alle persecuzioni subite dai cristiani nel Novecento, e afferma che nella visione il Papa «cade come morto». Annunciando anche che per «consentire ai fedeli di meglio recepire il messaggio della Vergine di Fatima, il Papa ha affidato alla Congregazione per la Dottrina della fede il compito di rendere pubblica la terza parte del Segreto, dopo averne preparato un opportuno commento».

La presentazione del testo avviene il 26 giugno 2000 con una conferenza stampa tenuta dal Prefetto Joseph Ratzinger e dal segretario Tarcisio Bertone. Fino a quel momento, affidandosi unicamente alle parole di Sodano, tutti credono che nella visione si parli di un Papa che cade «come morto», cioè che rimane gravemente ferito, immagine sovrapponibile a quella dell’attentato subito in Piazza San Pietro da Wojtyla nel 1981. In realtà la visione non presenta un Papa ferito, ma un Papa ucciso. Nel suo commento Ratzinger spiega che questo genere di profezie non sono da considerare un film in grado di descrivere in dettaglio il futuro, come pure spiega che la preghiera e le sofferenze di chi fa penitenza possono cambiare il corso della storia.

Proprio all’inizio del commento teologico, Ratzinger, dopo aver precisato che il testo «viene qui pubblicato nella sua interezza», afferma che il lettore «resterà presumibilmente deluso o meravigliato dopo tutte le speculazioni che sono state fatte. Nessun grande mistero viene svelato; il velo del futuro non viene squarciato». Parlando a braccio in risposta alle domande dei giornalisti, il cardinale precisa che «non è intenzione della Chiesa imporre una interpretazione: non esiste una definizione, o interpretazione ufficiale, della Chiesa di tale visione». Dunque Giovanni Paolo II ha ritenuto di riconoscersi nella visione, ma anche altre interpretazioni sono possibili. Lo stesso Ratzinger, una volta divenuto Papa, è sembrato correggere l’interpretazione della visione interamente rivolta al passato e nel 2010, in occasione del suo pellegrinaggio a Fatima che avviene nel pieno della bufera per lo scandalo pedofilia, afferma che la carica profetica del messaggio non si è esaurita: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa».

Nel corso degli anni, come già detto, sono stati diffusi vari testi apocrifi contenenti la presunta interpretazione mancante della visione del Terzo Segreto. Si parla di catastrofi naturali, inondazioni e guerre, come pure dell’apostasia, di una crisi della fede presente all’interno della Chiesa stessa. Le discrepanze che abbiamo fin qui evidenziato vengono in qualche modo corroborate da due indizi contenuti nelle memorie di suor Lucia: il fatto che l’apparizione dopo aver rivelato il Terzo Segreto dica che Lucia e Giacinta possono condividerlo con Francesco: in questo caso, dato che Francesco vedeva ma non poteva ascoltare, si dovrebbe trattare di parole, cioè di un’interpretazione, non di una visione. Inoltre rimane senza spiegazione una frase sospesa dell’apparizione che precede il Segreto, relativa al Portogallo che manterrà il dogma della fede. Queste discrepanze hanno fatto affermare ad alcuni giornalisti e studiosi che non tutto è stato in realtà rivelato e che alla visione del Terzo Segreto si accompagnava un «allegato» con l’interpretazione di quella visione.

L’allegato in questione, secondo questi autori, sarebbe stato tenuto nascosto o distrutto. Papa Ratzinger ha però più volte affermato che tutto è stato pubblicato. Lo stesso ha ripetuto in varie riprese, a voce e per iscritto, anche il cardinale Tarcisio Bertone, quest’ultimo individuato da alcuni «fatimiti» come presunto autore della pubblicazione parziale e dunque edulcorata. In realtà bisogna riconoscere: nel caso ipotetico che non tutto fosse stato pubblicato, ciò non potrebbe essere avvenuto all’insaputa di Giovanni Paolo II – che aveva letto l’intera documentazione – e del suo Prefetto per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, anch’egli a conoscenza dei testi. E dunque appare quantomeno semplicistico colpevolizzare Bertone, all’epoca numero due del dicastero guidato da Ratzinger e suo fedele collaboratore.

Non si può infine escludere che il presunto «allegato», nel caso esista o sia realmente esistito (non è rimasta traccia di quando sarebbe stato scritto, né di quando sarebbe stato consegnato al vescovo o di quanto sarebbe stato spedito in Vaticano) possa in realtà non essere una rivelazione diretta dell’apparizione del 1917, ma piuttosto un’interpretazione successiva, ricevuta da suor Lucia in una delle sue locuzioni interiori. Non è un caso che il segretario di Giovanni Paolo II abbia confidato al vaticanista Marco Tosatti: «Non sempre si capisce bene che cosa dice la Madonna e che cosa dice suor Lucia».

Di per sé, anche se la visione non contiene profezie su catastrofi naturali o sulla perdita della fede, le immagini sono comunque forti e apocalittiche: si parla del martirio di un’innumerevole quantità di cristiani – tema tristemente attuale – come pure della morte di un Papa che viene ucciso.




Fonte www.lastampa.it/Andrea Tornielli

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