Questo ha reso l’idea del giusto, cioè di colui che si assume individualmente la responsabilità di salvare una vita in pericolo in seguito a un atto di violenza di massa o di genocidio, una sorta di ponte per estendere il confronto tra genocidi, carico di incognite teoriche e di resistenze, partendo invece che dalla vittima dal salvatore.
Perché è difficile negare l’intimo rapporto che collega tra loro quanti hanno, a rischio della loro vita, salvato degli ebrei in Germania, dei tutsi in Rwanda, dei cambogiani sotto Pol Pot, e non cogliere, di questi giusti, le corrispondenze e le similitudini, le conformità degli intenti.
La ricorrenza cade in un momento particolarmente difficile e non solo in Siria, in Nigeria, in Libia, ma anche in Europa, dove vanno crescendo atti di terrorismo che hanno per obiettivo la civiltà stessa del continente europeo, la sua cultura, il suo modo di vivere e che, per realizzare questo obiettivo, attaccano di preferenza gli ebrei: scuole infantili, sinagoghe, supermercati casher, cimiteri, tutto quanto è ebraico è divenuto un obiettivo del terrorismo del Califfato, dei fondamentalisti di Al Qaeda, dei cani sciolti che si identificano con l’ideologia di sangue dell’Is.
L’Europa, che già è stata il teatro del più terribile dei genocidi, quello contro gli ebrei, diventa ora l’obiettivo di questi fanatici che sembrano emergere dal passato per puntare a terrorizzarci, a distruggere noi e i nostri valori. Al di là delle diverse analisi, delle divergenze interpretative, dei commenti, questo è un dato di fatto su cui non è più possibile chiudere gli occhi.
In questa situazione, il richiamo alla responsabilità, che l’idea stessa di Giusto sottende, ha un ruolo notevole e importante: come non considerare, ad esempio, responsabilità degli ebrei danesi, difesi nel 1943 da tutta la popolazione e dallo stesso sovrano, unico caso di conferimento collettivo a un’intera nazione del titolo di Giusto, quella di riaffermare con forza la loro identità nazionale di cittadini danesi e di schierarsi con i loro concittadini nella sua difesa? Difesa che comporta quella degli ebrei come quella dei disegnatori satirici: insomma della libertà e non solo della libertà religiosa, dei valori della civiltà di cui sono parte e non solo di quelli ebraici colpiti tanto barbaramente dal terrorismo.
Non illudiamoci: sono i terroristi che ricordano, agli ebrei come ai non ebrei, che siamo tutti sulla stessa barca e che insieme dobbiamo remare. Uccidono gli ebrei e i non ebrei, uccidono i cristiani ma anche i musulmani che non condividono le loro dottrine, come fa Boko Haram. I terroristi in Francia hanno colpito «Charlie Hebdo», come simbolo della libertà di stampa e di satira e un supermercato casher come simbolo dell’ebraismo; a Copenaghen, lo stesso copione, il convegno in sostegno di «Charlie Hebdo» e poi la sinagoga. Ma lo stesso era già successo a Tolosa, con l’asilo ebraico e prima ancora l’uccisione dei militari. I terroristi ci ricordano che condividiamo gli stessi modi di pensare, la stessa cultura, e che siamo tutti obiettivi del loro odio.
Per questo l’invito di Netanyahu agli ebrei a lasciare l’Europa è un grande errore. Gli ebrei, che di questa cultura sono, a torto o a ragione, il simbolo, dovrebbero lasciare le loro radici europee, abbandonare per paura i loro concittadini, arroccarsi in Israele considerando tutto il resto del mondo un nemico? Dovremmo proprio dargliela vinta così, ai nostri nemici? E che dobbiamo dire a quanti, nello sterminio dell’intero popolo ebraico, hanno combattuto a fianco degli inglesi nella brigata ebraica, a fianco dei partigiani nella Resistenza in tanta parte d’Europa? È questo il modo di ricompensare i tanti giusti che hanno messo a rischio la loro vita per salvare gli ebrei, per salvare i tutsi, per salvare i bosniaci? Guardare solo agli atti di viltà, che sono certo stati tanti, e chiudere gli occhi di fronte a quelli di coraggio?
Oggi, di fronte a quanto succede, gli ebrei europei dovrebbero sentirsi più che mai ebrei della Diaspora. Dovrebbero scendere in piazza a ricordare i non ebrei che hanno combattuto con loro. La barbarie che ci stringe da presso non è invincibile, ma ha bisogno che si sia uniti.
Propongo che il 6 marzo, giorno in cui in tutta Europa si ricorderanno i giusti del passato, si ricordino anche quelli dei giorni appena trascorsi, quelli che hanno aiutato gli ebrei a Parigi, quelli che sono morti per fermare i terroristi, i poliziotti feriti a Copenaghen. Perché la barbarie dell’Is va combattuta restando fermi al nostro posto, insieme.
L’Osservatore Romano, 21 febbraio 2015.
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