Italiae et Ecclesia

Il 7 ottobre 1918 moriva Giuseppe Toniolo

Giuseppe Toniolo è forse il maggiore esponente del pensiero sociale cattolico tra Ottocento e Novecento. Critico rigoroso e acuto sia del capitalismo che del socialismo, cerca forme di superamento del meccanismo concorrenziale privo di regole e dello schema deterministico che soggiace all’ideologia marxista di matrice hegeliana, prestando una nuova attenzione al momento economico.

ORIZZONTALE E VERTICALE

L’alternativa che delinea non è la tradizionale «terza via», bensì un progetto di democrazia orientata al bene comune, che, facendo leva sul solidarismo (orizzontale e verticale), sulla sussidiarietà e sulla cooperazione, raccorda i diritti ai doveri, difende il primato della persona e del lavoro umano nei processi produttivi, ispira l’azione dei singoli e delle comunità proponendo perenni valori morali sempre risorgenti e insieme profondamente rinnovatori.

Nato a Treviso il 7 marzo 1845, il Toniolo frequenta il ginnasio-liceo nel collegio veneziano di Santa Caterina. Nel 1863 si iscrive alla facoltà politico-legale dell’università di Padova, dove insegnano illustri studiosi, come Angelo Messedaglia, Giambattista Pertile, Giampaolo Tolomei e Luigi Bellavite. Con essi inizia l’apprendistato accademico e acquisisce gli strumenti fondamentali del lavoro scientifico. Conseguita la laurea nel 1867, ottiene l’abilitazione alla docenza privata di economia politica nel 1873. Sempre nel 1873 svolge la «prelezione» Dell’elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche, nella quale difende la tesi che il fatto economico va considerato «come la risultante di un fascio di forze componenti», tra le quali «i sentimenti e le idee». Soggetto dell’economia è l’uomo nella sua globalità spirituale e antropologica, non solo l’homo oeconomicus. Come dire che il Toniolo respinge le teorie smithiane e ricardiane e, prendendo le distanze dalla scuola manchesteriana, si pone sulle tracce della tradizione cattolico-liberale italiana (Rosmini, Gioberti e, in modo particolare, Minghetti), arricchendone il dettato.

LA SUA VITA E LE SUE PASSIONI

Buon conoscitore del mondo germanico, medita sugli apporti teorici e teoretici della cosiddetta prima «scuola storica dell’economia» (in primis, Roscher), apprezzando il ricupero della storicità quale componente essenziale della scienza economica. Ciò è decisivo nell’orientare i suoi studi, specialmente quelli sul medioevo, sulla scolastica e sull’umanesimo, cui si aggiungono più tardi lavori nei quali sono evidenti, da un lato, gli influssi di Georg Ratzinger (sacerdote e deputato del Centro tedesco), che fonde la lezione di Charles Périn con quella di Karl Knies e, dall’altro lato, quelli del metodo controversistico di Johannes Janssen, che riprende i motivi fondamentali della storiografia romantico-nazionale tedesca. Vinta nel 1878 la cattedra di economia politica all’università di Modena, passa nel 1879 all’università di Pisa.

Il decennio 1879-89 coincide per Toniolo con un periodo di fervida attività intellettuale. Oltre ad approfondire la conoscenza della cultura cattolica tedesca, allacciando rapporti con la Görresgesellschaft e con le università di Monaco e di Freiburg im Breisgau, amplia gli orizzonti culturali fino a comprendervi il mondo scientifico franco-belga (Brants, Kurth, Le Play, Jannet). Tra il 1893 e il 1894, prende ad analizzare la genesi, gli sviluppi e le “deviazioni” dell’economia capitalistica moderna, essendo egli interessato meno al sistema di produzione in sé e per sé, che alle conseguenze derivanti sul piano sociologico. La risposta agli interrogativi che il Toniolo si pone è da lui cercata nel capovolgimento della formula marxiana che fa del protestantesimo l’epifenomeno religioso di un fenomeno economico, ovvero l’ideologia del capitalismo. Il procedimento è analogo a quello che sarà posto in essere dal Weber e dal Sombart; diversi sono però la prospettiva e l’impianto delle argomentazioni. Diverso è pure il ruolo storico attribuito alla Riforma, che segnerebbe la nascita di un nuovo «capitalismo razionale burocratico». Ritiene invece il Toniolo che l’Europa cattolica medioevale fu in grado di produrre un’economia capitalistica del tipo moderno; se non la produsse, fu perché la Chiesa vi oppose la condanna del mutuo feneratizio, quella di ogni monopolio e la limitazione del commercio di speculazione.

Nel 1889 Toniolo fonda l’Unione cattolica per gli studi sociali in Italia.

La decisione suscita non pochi contrasti con la dirigenza dell’Opera dei congressi, in quanto, diversamente dal Paganuzzi, Toniolo vorrebbe un laicato cattolico non solo più attivo e meglio inserito nei processi di trasformazione sociale del Paese, ma libero da vischiosità provinciali e aperto a orizzonti d’impegno e d’azione europei. Lo si evince dagli atti del primo congresso dell’Unione (1892) e dal Programma di Milano (1894), che non si colloca, come taluno afferma, nel solco del «socialismo cristiano», ma presenta caratteri di inequivocabile novità, tra i quali la diffusione della piccola proprietà contadina (postulato, in seguito, dei futuri programmi popolari) e la partecipazione degli operai agli utili d’impresa, puntando in pari tempo sull’abolizione del salariato (meta che mancherà nel programma democratico cristiano del 1899).

Toniolo spiana così la via al movimento sindacale cattolico, riconoscendo la possibilità di costituire associazioni non solo miste, ma esclusivamente operaie per tutelare i diritti del lavoratore: esigenza, questa, che si desume anche dal secondo congresso dell’Unione (1896), nel corso del quale Toniolo espone la teoria del credito produttivo. In forza di essa chi riceve un credito attende dall’attività produttiva in cui lo impiega un ricavo tale da consentirgli di soddisfare l’obbligazione verso il creditore. Quest’ultimo subordina la concessione del prestito all’impiego, appunto, produttivo di esso. Tale posizione si armonizza con il dettato di san Tommaso, perché gli riconosce di aver separato il tasso d’interesse dall’efficienza marginale del capitale. Come dire, ripetendo Keynes, che quel dettato era diretto alla spiegazione di una formula che permettesse alla tabella dell’efficienza marginale del capitale di essere alta, anche usando norma, consuetudine e legge morale per contenere il tasso di interesse.

UNA NUOVA SOCIETA’ DAL VOLTO UMANO

Auspica altresì il Toniolo l’edificazione di una società nuova («dal volto umano») e di una nuova democrazia, che non esita a definire cristiana in quanto orientata al bene comune (1897). Essa è tale per sua essenza solo dal punto di vista teleologico e non può, né deve, identificarsi con alcuna forma di governo; non è infatti né repubblicana né monarchica: è piuttosto un ordinamento civile (non politico) che riconosce l’importanza dei corpi intermedi, il concetto di diritto coniugato con quello di dovere, la difesa dell’idea di libertà personale e privata, che non neutralizza, non emargina l’idea del diritto, bensì la richiama a sé in una visione equilibrata, per cui dovere e diritto non sono due momenti antitetici, bensì due facce della medesima realtà. Chiede inoltre l’integrazione della giustizia commutativa con la giustizia distributiva, onde superare la difesa pura e semplice della libertà giuridica nominale e giungere a quella giuridica virtuale, ossia all’inveramento realizzabile quando vi sia un concreto supporto alla crescita delle persone.

In sintesi, due più di altri sembrano i temi meritevoli di approfondimento e di ulteriore riflessione.

i) La diffusione delle conoscenze economiche nell’ambito del movimento cattolico italiano, e segnatamente dell’Opera dei congressi, si deve al magistero diretto o indiretto di Giuseppe Toniolo, che muove da un giudizio di insufficienza sulla staticità con cui la teoria classica (e neoclassica) affronta il problema dell’allocazione delle risorse, presumendo che le forze equilibratrici siano sempre dominanti e che gli squilibri rappresentino dei semplici fenomeni di attrito.

ii) La distinzione tra i due capitalismi (normale e deviato) che il Toniolo segnala non è una sottigliezza erudita. Infatti, la recente dottrina sociale della Chiesa (Centesimus annus, 42) dichiara che se per capitalismo si intende un sistema economico che riconosce il ruolo «fondamentale e positivo dell’impresa», del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, il giudizio su di esso è positivo. Non così, se tali componenti mancano e se il sistema non è inquadrato in un solido contesto giuridico a servizio «della libertà umana integrale».

di Paolo Pecorari per Osservatore Romano, 6 ottobre 2018

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