Sessant’anni fa, il 9 ottobre 1958, moriva a Castel Gandolfo Pio XII. Dopo l’elezione, il 2 marzo 1939, giorno del suo sessantatreesimo compleanno — Eugenio Pacelli era nato a Roma il 2 marzo 1876 — ci si domandò se sarebbe stato un papa religioso o politico.
E la risposta fu che era l’uno e l’altro, sempre che s’intendesse “politica” nel senso più nobile e alto. Il nuovo papa conosceva perfettamente la situazione internazionale, con i suoi problemi e le sue difficoltà, le sue crisi probabili e le sue soluzioni possibili. Tutto ciò che riguardava le nazioni, il futuro dell’umanità, le questioni terrene, tanto legate però a quelle spirituali, lo interessava.
Dinnanzi ai cambiamenti dello scenario internazionale, sempre più pressanti nel ventennio del pontificato, Pio XII accentuò la solitudine del suo governo, facendosi quasi segretario di stato di se stesso, nel quadro di un forte centralismo decisionale. Dopo la morte, nell’estate del 1944, del segretario di stato, il cardinale Luigi Maglione, non volle dargli un successore e portò avanti lui, in modo diretto, la gestione delle questioni pubbliche della Chiesa, con l’aiuto di due stretti collaboratori, monsignor Domenico Tardini, per gli Affari straordinari (cioè quelli internazionali), e il sostituto Giovanni Battista Montini, poi divenuto Paolo VI.
Il primo dichiarò, dopo la morte del papa, che Pio XII non voleva collaboratori, ma esecutori. Pacelli fu una figura straordinaria, un uomo di preghiera e un asceta severo, molto esigente con se stesso e con gli altri, una figura che concentrò nella sua persona tutta la responsabilità e il lavoro, facendo a meno di commissioni e tramiti curiali. Per molti anni nominò personalmente i vescovi e affrontò le questioni più delicate avvalendosi dell’aiuto di un ristretto gruppo di persone di massima fiducia, tra le quali figuravano cinque gesuiti tedeschi, e tra loro Augustin Bea, suo confessore e poi cardinale.
Nello stesso tempo il papa, nella sua solitudine dinnanzi al mondo, dispiegò un abbondante magistero, sui temi più diversi, dove fu costante il confronto tra la modernità e lo sforzo, che si potrebbe definire davvero profetico, per accogliere e rilanciare numerosi impulsi. Tra i due livelli resta tuttavia una sorta d’incomunicabilità, prevalendo nel governo la prudenza e la continuità con la tradizione, mentre l’eco del suo magistero alimentava le tendenze all’innovazione. Si sviluppò così un pontificato molto meno lineare e monolitico di quanto generalmente si crede, da cui rimase esclusa ogni possibilità di dialogo, e tanto meno di compromesso, con i regimi comunisti. Come invece avvenne durante il regno del suo immediato successore.
Gli ultimi anni del pontificato di Pio XII coincisero con la decolonizzazione, che interessò numerosi paesi dell’Africa e dell’Asia. Per questo il papa pose l’accento sul diritto dei popoli all’indipendenza e al tema dedicò diversi radiomessaggi natalizi. E dato che il fenomeno riguardava in modo diretto l’azione missionaria della Chiesa, il pontefice pubblicò la Evangelii praecones, nel 1951, e la Fidei donum, nel 1957, due encicliche che promossero la costituzione della gerarchia ecclesiastica autonoma, e al tempo stesso chiedevano al mondo cattolico la prosecuzione dell’impegno missionario, al fine di rafforzare quelle giovani comunità cristiane e difenderle dai rischi che potevano minacciarle, come le rivalità etniche, l’infiltrazione marxista e l’espansione islamica.
Anche in America latina, Pio XII promosse la cooperazione tra gli episcopati di quell’immensa parte del mondo, la cui prima espressione importante fu nel 1955 la conferenza di Rio de Janeiro. Il 21 aprile 1958, poi, sei mesi prima della sua morte, istituì la Commissione per l’America latina, per studiare in modo unitario i principali problemi della vita cattolica, della difesa della fede e dell’incremento della religione in America latina, favorire la stretta collaborazione tra i dicasteri della curia romana coinvolti e aiutare il Consiglio episcopale latino-americano.
L’attività magisteriale di Pacelli non ebbe precedenti e assunse particolare rilievo, una volta conclusa la seconda guerra mondiale, sotto forma di discorsi e radiomessaggi rivolti a persone di ogni sorta, in cui il pontefice espose la dottrina cattolica sulle più diverse questioni e problemi del momento. Pio XII, che parlava le principali lingue moderne, generalmente si rivolgeva ai fedeli di differente nazionalità che partecipavano alle sue udienze pubbliche nella loro lingua, per entrare così in una comunicazione più diretta con loro.
Uno degli aspetti più innovativi del pontificato di Pio XII fu il contatto personale con il popolo cristiano e con tutti gli uomini. Dei suoi immediati predecessori si era visto poco: fotografie, immagini nei cinegiornali. Per molti secoli il successore di Pietro per gran parte dell’umanità era stato un’idea e non una persona che si poteva vedere e salutare. Si sapeva che il papa viveva e operava in Vaticano, ma il suo aspetto fisico, il suo comportamento, il suo carattere erano di fatto un mistero, noto a pochissimi. Questa situazione si era acuita dopo il 20 settembre 1870, quando Pio IX rimase di fatto recluso nel palazzo vaticano e potevano accedere a lui soltanto cardinali e ambasciatori e qualche fortunato che otteneva un’udienza privata con il pontefice. Una situazione che rimase praticamente immutata fino all’inizio del pontificato di Pio XI.
Ma con Pacelli le cose cambiarono radicalmente perché il papa ebbe la fortuna di vivere in un’epoca in cui sia la radio sia il cinema avevano raggiunto grande sviluppo e ampia diffusione. Grazie a quei mezzi di comunicazione la gente poté vedere e conoscere il papa da vicino. Durante la seconda guerra mondiale, e anche dopo, Pio XII poté parlare direttamente alla gente, a differenza dei suoi predecessori, soprattutto Benedetto XV, che negli anni del primo conflitto mondiale aveva potuto trasmettere i suoi messaggi solo per scritto o attraverso i normali canali diplomatici.
Pacelli intensificò poi il dialogo tra la fede e la scienza, e un luogo appropriato fu la Pontificia accademia delle scienze, istituita dal suo immediato predecessore e che non interruppe le sue attività neppure in tempo di guerra.
In ambito liturgico, infine, il pontificato di Pio XII fu davvero innovativo perché introdusse modifiche volte a facilitare la pratica della vita cristiana, in circostanze che stavano mutando rapidamente. Il rinnovamento pacelliano si presentò come un’inversione di tendenza per molti aspetti e risvegliò l’interesse per un aspetto fondamentale della vita cristiana, promuovendo studi a carattere scientifico che fecero conoscere le fonti, congressi, conferenze, predicazioni. Grande diffusione ebbero i messali piccoli e grandi che misero a disposizione dei fedeli i testi liturgici della messa con la traduzione dal latino in diverse lingue. Con la messa dialogata, la riforma si estese nella Chiesa, preparando il grande rinnovamento realizzato dal concilio e dall’attuazione delle sue riforme.
di VICENTE CÁRCEL ORTÍ per l’Osservatore Romano
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