Un gigante della musica, forse tra i più importanti batteristi della storia italiana. Si chiama Tullio De Piscopo, napoletano, collaboratore di grandi artisti italiani e internazionali, da Lucio Battisti a Chet Baker, da Pino Daniele a Max Roach.
Nel libro edito da Ares La mia vita è cambiata a Medjugorje, l’autore Gerolamo Fazzini riporta l’intervista fatta a De Piscopo: «nel corso degli anni Novanta», ha spiegato, «un mio collaboratore mi aveva parlato di Medjugorje. Sono sempre stato credente, sebbene ‘a modo mio’». Una fede per tradizione, dunque, non vissuta coscientemente.
Fino al 2012: «stavo girando la Campania, cosi andai a Salerno da un amico medico. Mi visita: lo vedo che cambia espressione e si fa serio: mi prescrive una serie di analisi, mentre tenta di sdrammatizzare. Ma in me cominciano a sorgere dubbi. Ritornato da Napoli a Milano per un concerto, mi sottopongo a nuovi esami e dalla Tac emerge che ho un tumore maligno, uno dei più brutti». A Tullio danno sei mesi di vita ma il male, al posto che allontanare da Dio come vorrebbe qualcuno, fa mettere da parte il superfluo e porta a pensare alla vita vera. «Fu in quei momenti che pensai fortemente alla Madonna che aveva architettato questo disegno per farmi prendere coscienza del valore del tempo, dell’esistenza. Quando siamo in tournée i mesi volano, gli anni passano velocemente e non te ne rendi nemmeno conto». Dal male, Dio, trae sempre un bene maggiore,se trova collaborazione nella libertà umana.
Nel 2013 De Piscopo si reca a Medjugorje, ritornandoci per altri due anni di seguito. «A Medjugorje sei sempre in preghiera: anche se non fai il segno di croce e non dici ‘Ave Maria’, sei come ‘avvolto’ dalla preghiera di tanti. Quando mi trovo davanti all’Ostia consacrata oggi mi sento pulito. Ma la verità e che non siamo mai puliti fino in fondo», ha spiegato il celebre musicista. «Sono più sereno nel cuore e nella testa. Ero un gran bestemmiatore. Bestemmiare il nome di Dio invano è la cosa più brutta, ma purtroppo chi va con lo zoppo impara a zoppicare e io mi trovavo immerso in un ambiente in cui la bestemmia era ‘facile’. Da tempo, pero, non bestemmio più». Racconta di aver invitato a Medjugorje anche Pino Daniele, «sono certo che sarebbe venuto anche lui, se la morte non l’avesse portato via prima».
Il famoso batterista è un esempio dei tanti frutti spirituali di Medjugorje di cui parlavamo qualche tempo fa, l’unica certezza rispetto a questo enigmatico fenomeno, sul quale la Chiesa deve ancora pronunciarsi. Un altro esempio è il giovane ingegnere Nicolò Manduci, passato dallo sballo notturno londinese e dall’indifferenza verso Dio alla testimonianza verso altri giovani sulla necessità di combattere le droghe. A Medjugorje ha imparato il valore dei sacramenti.
di Redazione Papaboys – Fonte: Uccronline
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