(Dal suo Ufficio della Passione, salmo XV) – Quando si pone in relazione il Natale con Francesco d’Assisi, molti pensano spontaneamente al suo famoso presepio di Greccio. Ciò che egli, in quella notte santa del 1223 nel bosco vicino al paesino di Greccio,ha inscenato in modo così commovente, è da rileggere all’interno di un contesto più ampio. Infatti, Francesco recita ripetutamente durante tutto il tempo di Natale un salmo che egli stesso aveva composto.
Vogliamo innanzitutto addentrarci in questo testo sicuramente autentico del santo di Assisi, ma tuttavia poco conosciuto, e poi alla fine ritorneremo al bosco di Greccio.
Un ufficio proprio della Passione
Il salmo di Natale ha la sua origine nell’Ufficio della Passione “che il beatissimo padre nostro Francesco compilò a riverenza e memoria e lode della passione del Signore”, come si legge nella rubrica posta all’inizio di questa preghiera privata (FF 279).
I quindici salmi che compongono l’ufficio di san Francesco si distribuiscono lungo l’anno liturgico nel modo seguente: Sette salmi per il Triduo pasquale e per le settimane dell’anno feriale, due per il tempo di Pasqua, tre per le domeniche e le feste principali, due per il tempo di avvento e infine uno solo “Per il tempo della Natività del Signore fino all’ottava di Epifania”. Nella rubrica di questo salmo si legge: “Nota che questo salmo si dice dalla Natività del Signore fino all’ottava dell’Epifania a ciascuna ora” (Fonti Francescane. Nuova edizione, a cura di E. CAROLI, Padova 2004, p. 216; FRANCESCO D’ASSISI, Scripta / Scritti, ed. critica a cura di C. PAOLAZZI, Grottaferrata 2009, p. 107).
Diversamente dalle altre feste dell’anno liturgico, Francesco prevede dunque per il tempo di Natale un unico salmo, il quale resta invariato per tutte le Ore Canoniche. La sua preghiera privata da Natale fino a otto giorni dopo l’Epifania, era composta dalla recita di un unico salmo. Ciò lascia capire quanto fosse per lui importante questo salmo. Evidentemente egli credeva che le immagini intrecciate nel salmo fossero così profonde e piene di contenuto che il Salmo poteva essere recitato anche sette volte al giorno e questo durante le tre settimane del tempo natalizio.
Il Salmo di Natale
Nel testo qui offerto verranno indicate, trascritte in corsivo, le aggiunte personali, nelle quali Francesco spesso allude ai racconti evangelici dell’infanzia tratti dal vangelo di Luca o cita singole parole da questo o da quel testo liturgico. Invece le citazioni dei salmi utilizzati da Francesco saranno indicate in carattere tondo. – Come ogni salmo dell’Ufficio, così anche questo è introdotto e concluso con una Antifona mariana.
Antifona
1Santa Maria Vergine, nel mondo tra le donne non è nata alcuna simile a te,
2figlia e ancella dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo;
3prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le potenze angeliche dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro. (FF 281)
Salmo
1Esultate in Dio, nostro aiuto (S 80,2), *
giubilate al Signore Dio vivo e vero con voce di esultanza (cf. S 46,2).
2Poiché eccelso e terribile è il Signore, * re grande su tutta la terra (S 46,3).
3Poiché il santissimo Padre celeste, nostro Re prima dei secoli (cf. S 73,12), †i ha mandato dall’alto il suo Figlio diletto, * ed egli è nato dalla beata Vergine santa Maria.
4Lui lo ha invocato: “Tu sei mio Padre”; † ed Egli lo costituì suo primogenito, *
più alto dei re della terra (S 88,27-28).
5In quel giorno il Signore ha mandato la sua misericordia, *
e nella notte il suo cantico (cf. S 41,9).
6Questo è il giorno, che ha fatto il Signore: * esultiamo in esso e rallegriamoci (S 117,24).
7Poiché il santissimo bambino diletto è dato a noi; † e nacque per noi (cf. Is 9,6) lungo la via e fu posto nella mangiatoia,* perché egli non aveva posto nell’albergo (cf. Lc 2,7).
8Gloria al Signore Dio nell’alto dei cieli, *
e pace in terra agli uomini di buona volontà (cf. Lc 2,14).
9Si allietino i cieli ed esulti la terra, † frema il mare e quanto racchiude, * gioiscano i campi e quanto contengono (S 95,11-12).
10Cantate a lui un cantico nuovo; * cantate al Signore da tutta la terra (S 95,1).
11Poiché grande è il Signore e degno di ogni lode,* è terribile sopra tutti gli dei (S 95,4).
12Date al Signore, o terre dei popoli, † date al Signore la gloria e l’onore; * date al Signore la gloria del suo nome (S 95,7-8).
13Portate in offerta i vostri corpi † e prendete sulle spalle la sua santa croce (cf. Lc 14,27) *
e seguite sino alla fine i suoi santissimi comandamenti (cf. 1 Pt 2,21).
Gloria al Padre… Come era nel principio… (Scripta / Scritti, 105/107; cf. FF 303).
Un testo composito
Come gli altri salmi dell’Ufficio della Passione, anche il salmo di Natale è il risultato di un mosaico di citazioni tratte dal Salterio e dalla liturgia, con aggiunte personali. Quest’ultime nel salmo di Natale sono più numerose che negli altri salmi, composti da Francesco per contemplare la vita e le sofferenze di Gesù. E questo perché evidentemente il mistero dell’incarnazione lo ha impressionato in modo molto profondo, o anche perché nel parlare di questo mistero egli non ha trovato molti modelli nei salmi dell’AT. Le aggiunte personali del santo sono molto ispirate al vangelo di Natale. Lo stile adottato nel ripresentare l’annuncio del Natale è essenziale: La nascita di Gesù a Betlemme non viene narrata né in modo letterale né in modo completo; gli angeli, i pastori e Giuseppe non sono nominati espressamente; manca anche ogni rinvio alla strage degli innocenti e alla fuga in Egitto. In primo piano invece sta il mistero della notte santa: il Padre santissimo ci dona il suo unico figlio attraverso la vergine Maria. Questo è il motivo di gioia per tutta la creazione.
Interpretazione
Scorrendo i singoli versetti, si scoprono i pensieri conduttori che hanno ispirato e guidato Francesco nella composizione del salmo. In modo molto ordinato all’invito al giubilo ripetuto tre volte (v. 1.6.10) segue la motivazione, introdotta da “poiché” (v. 2-3.7.11). L’invio da parte dell’altissimo Dio del suo amato Figlio dall’alto costituisce il centro della professione di fede fatta da Francesco in questo salmo.
Già nella prima parola, il versetto 1 esprime la gioia che si origina dal Natale. Quasi come un titolo il versetto annuncia che il salmo invita alla gioia poiché nella notte di Natale Dio si è manifestato come “nostro aiuto” e, come aggiunge Francesco, come “Dio vero e vivo”. Questa aggiunta che richiama 1 Ts 1,9 e anche il Canone romano della Santa Messa, sottolinea, come per Francesco Dio non sia una idea astratta, ma una presenza vivente, una realtà indiscutibile a partire dalla quale e nella quale egli vive e agisce.
I versetti 2-3 danno il motivo della gioia: il Signore è l’altissimo e tuttavia non ritiene troppo alto e umiliante inviare il suo Figlio. Diventa chiaro qui che con le espressioni “Signore” e “Dio”, presenti nei vv. 1 e 2, si intende il Padre. Mediante concetti contrapposti Francesco sa ammirare la grandezza del mistero: l’altissimo e santissimo Padre e re dei secoli invia il suo Figlio nella bassezza di questo nostro mondo e nel nostro tempo. I termini “Padre santo” e “Figlio diletto” esprimono l’intima relazione tra Padre e Figlio, come è descritto nel NT (cf. Gv 17) e come viene percepito da Francesco. Anche negli altri salmi dell’Ufficio del Poverello l’invocazione “Padre santissimo” costituisce una tipica parola chiave. Francesco non riusciva a dire semplicemente “Padre nostro”, ma vi aggiungeva sempre l’aggettivo santo o il suo superlativo santissimo. Anche l’altra espressione, quella di “Figlio diletto” è per lui tipica. Santissimo manifesta di più la trascendenza del Padre, mentre diletto esprime maggiormente la vicinanza del Figlio nei confronti dell’uomo. – Mediante la nascita di Gesù, cioè del Figlio di Dio, Maria partecipa alla santità del Padre; per questo egli la esalta come beata e santa.
Mentre nei versetti 1 e 2 l’orante si è attenuto di più al modello del salmo, ora nel versetto 3 emergono con più libertà elementi personali. Per proclamare l’altezza e l’eternità di Dio, solo alcune parole sono prese dal salmo 73, tutto il resto è una sua composizione, la quale nel suo contenuto e nel suo vocabolario si appoggia direttamente alla Scrittura e alla liturgia. Questo versetto (e anche il v. 7) è il centro e il nucleo del mistero di Natale, è il credo di Francesco, il credo della Chiesa.
Il versetto 4 può venir compreso solo se posto in relazione con il salterio. Nel salmo 88 parla Davide, il quale si ricorda che egli, quale figlio più giovane di Iesse, venne innalzato da Dio stesso a Re di Israele (cf. 1Sam 16,1-13). Francesco applica queste parole a Gesù che invocò Dio come suo “Abba, Padre” (Giov 17,1.11.24; Lc 23,46) e che per questo fu da lui innalzato quale primogenito sopra tutti i re della terra. Se questa interpretazione è giusta, allora, nella memoria della nascita di Gesù, risuona già il tema della sua signoria regale. Una conferma ci viene dal salmo per il Venerdì santo dove Francesco prega: “Il Signore ha regnato dal legno” (Dominus regnavit a ligno) (FF 288). – La parola “primogenito” potrebbe essere stata la causa dell’uso del salmo 88,28; infatti, ricorrendo il termine nel vangelo di Natale (Lc 2,7), è possibile che Francesco abbia pensato al verso del salmo in cui esso ricorre.
Il versetto 5, tratto dal salmo 41,9, annuncia che Dio offrì giorno e notte la sua misericordia. Tuttavia per adeguare completamente il verso al mistero della festa, Francesco aggiunge un pronome dimostrativo: “in quel giorno”, indicando quasi con il dito il giorno di Natale. E il cantico che “nella notte” si è udito, lascia pensare agli angeli della notte santa.
Dopo che il verso 5 ha innalzato la notte di Natale come dono della misericordia di Dio, ora il versetto 6 la celebra come “giorno del Signore”, e questo mediante l’impiego di un noto versetto del salmo 117. Lo sguardo ad un altro salmo di Francesco ci rivela una linea di pensiero comune: il mattutino di Pasqua caratterizza il giorno di Pasqua con la stessa espressione del salmo 117. Per Francesco sia il Natale che la Pasqua sono giorni “fatti dal Signore”. Solo la motivazione cambia: nel salmo pasquale Francesco resta legato alle parole dei salmi dell’AT; non lo spinge ad una partecipazione propria e soggettiva. Il motivo di ciò risiede sicuramente nel fatto che il mistero della risurrezione è molto più sottratto alla sensibilità umana che la nascita del bambino divino. Quanto di più il Natale abbia toccato l’“araldo del gran Re” – come amava definirsi Francesco – e abbia suscitato il suo sentimento, emerge dal versetto seguente che dà la motivazione dell’invito ad essere nella gioia e nel giubilo.
Il versetto 7 abbandona completamente l’involucro dei salmi con i quali Francesco fin qui ha rivestito le sue parole. Ora egli esprime il centro del suo pensiero con l’aiuto delle letture della festa liturgica. Mediante piccole trasformazioni e adattamenti egli unisce in un’unica frase espressioni prese da Is 9,6 e da Lc 2,7. Così il santo collega, in modo impercettibile, il vecchio e il nuovo testamento, fa passare la promessa alla realizzazione. Se confrontato con la setta a lui contemporanea dei Catari, i quali rifiutavano l’Antico Testamento, non è senza significato l’unità qui testimoniata della Scrittura. In questo importante versetto del salmo natalizio si rimane colpiti da come Francesco accentui l’avvenimento storico: il bambino è veramente nato e posto nella mangiatoia. Francesco supera anche il testo di Luca quando aggiunge l’espressione in via. Questa particolarità gli è venuta forse dai vangeli apocrifi o più probabilmente dalla lettura dell’Homilia VIII di Gregorio Magno, incentrata sul Vangelo di Luca 2,1-14 e riportata nel breviario (PL 76, p. 1104). Sebbene l’aggiunta sia piccola, tuttavia essa getta una chiara luce sul concetto di Francesco della povertà e dell’essere pellegrino. Gesù è per lui modello ed esempio. Nell’espressione in via è riassunto ciò che è raccontato brevemente nei vangeli, e più ampiamente nelle rappresentazioni natalizie e cioè il difficile cammino verso Betlemme e l’incerta ricerca di un alloggio. Gesù è nato pellegrino, non in casa dei genitori, ma lungo la via. Fu posto nella mangiatoia degli animali, perché egli non aveva posto nell’albergo. Il non habebat locum di Francesco rinforza il non erat eis locus di Lc 2,7, quasi a mostrare che fin dalla nascita “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,58). A partire da ciò si comprende meglio perché Francesco abbia scelto per sé e i suoi compagni di seguire Gesù in povertà, umiltà e itineranza: “I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia” (Rb 6,1-2: FF 90). E nel suo biglietto autografo scritto per frate Leone, Francesco si riferisce alle “parole che ci siamo scambiate lungo la via (in via)” (FF 250).
In questo verso 7, centrale nel salmo, occorre ancora tener presente un altro aspetto importante: Nel verso 3, Francesco aveva nominato Gesù il “Figlio diletto”, ora il suo cuore e la sua affettività lo portano a creare una nuova invocazione: “santissimo bambino diletto”. Egli tuttavia non cade nel sentimentalismo. Il bambino neonato resta per lui il “bambino santissimo” a cui si avvicina con riverenza e allo stesso tempo con tenerezza. L’intimità con cui egli gli si avvicina, non gli fa dimenticare che Gesù è nato “per noi”. Due volte ricorre questo “noi”, che include in se tutti coloro che leggono il salmo. L’affetto amoroso di Francesco al bambino che giace nella mangiatoia non si esprime mediante la forma “io-tu”, ma attraverso il più ampio “noi”. Nel bambino divino tutta la famiglia umana ha ricevuto un dono. Per questo, come mostrano i seguenti versetti, tutti i popoli e perfino l’intera creazione devono rendere lode e onore a Dio.
Il versetto 8 riporta, come una specie di risposta al credo natalizio, il famoso canto degli angeli “Gloria in altissimis Domino Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis”. Di nuovo è introdotta una parola: “dominus”. Tali particolarità dimostrano che Francesco è il compositore del salmo, poiché spesso nelle sue preghiere tramandate si incontra l’aggiunta “Signore (Dominus)”, la quale è una parola prediletta del Santo di Assisi, come lo dimostra anche il suo Testamento (Test 1-41).
I versetti 9-12 possono essere presi insieme in quanto derivanti dallo stesso salmo 95. Esso è un salmo di lode che veniva cantato nel mattutino di Natale e dell’Epifania. Dopo aver citato il canto delle schiere celesti che udirono i pastori nei campi (cf. Lc 2,9.13), Francesco continua dicendo: “Si allietino i cieli…, gioiscano i campi…”. – Egli pone insieme dei versi che contengono l’invito a tutto il cosmo a dar lode a Dio: cielo e terra, mare e campagna, tutti i popoli e le nazioni devono dare a Dio la lode che gli spetta. – Il triplice invito del versetto 12, che dice “date (afferte)”, fa pensare all’Offertorio e ai (tre) Magi dell’Oriente che offrono all’infante i loro preziosi doni. Così la festa di Natale viene prolungata fino alla festa di Epifania e il vangelo di Natale viene collegato con quello dell’appa¬rizione di Dio davanti a tutti i popoli (cf. Mt 2,1-11). Infatti, il tempo di Natale ha il suo apice nell’Epifania!
Il versetto 13 è di nuovo più personale. L’invito iniziale “portate in offerta” si ricollega al versetto precedente e conduce avanti il salmo 95,8 già citato. Tuttavia invece di continuare con le parole “Portate offerte ed entrate nei suoi atri” (S 95,8b), Francesco passa al mondo spirituale del Nuovo Testamento: la vera offerta consiste nel dono totale di tutti noi stessi a Dio e cioè dell’anima e del corpo (cf. Rom 12,1), portando su di noi la croce di Cristo. Il portare la croce e la sequela di Gesù vengono qui collegati – come già nel Vangelo (cf. Lc 14,27). Come Gesù chiede di portare giorno per giorno la nostra croce, così anche Francesco: “… seguite sino alla fine i suoi santissimi comandamenti!” Così è conservata la radicalità evangelica. Spesso Francesco esige questa perseveranza per tutta la vita. Il capitolo 21 della regola non bollata, per esempio, conclude con l’ammonimento: “Guardatevi e astenetevi da ogni male e perseverate nel bene sino alla fine” (Rnb 21,9: FF 55).
Il salmo di Natale non si ferma, dunque, solo all’invito alla lode di Dio, ma sfocia nell’esortazione all’azione, e a un agire che coinvolge tutto l’uomo. La vera lode di Dio spinge all’azione la quale a sua volta verifica ciò che è stato celebrato. Solo la fedeltà continua nella donazione di sé al Signore e il compimento della sua volontà mostra se e fino a che punto abbiamo compreso il mistero di Natale.
Il porre insieme in modo inscindibile presepe e croce è la caratteristica emergente nel salmo natalizio del Santo di Assisi. Egli non si compiace solo di una gioia sganciata dalla vita, ma pone in evidenza la serietà dell’evento compiuto da Dio, evento che richiede la nostra risposta di vita e il nostro impegno di una perseverante sequela di Gesù Cristo. È una cosa stupenda come Francesco, nel suo breve salmo, unisca la maestà e l’umiltà di Dio, la mangiatoia e la croce, la lode e la sequela, l’uomo e il cosmo. Una visione quasi completa del credo cristiano!
La festa di Natale a Greccio
Ritorniamo ora a Greccio, nel luogo che noi uniamo di solito con il Natale francescano. Greccio ci mostra soprattutto il lato affettivo degli avvenimenti. Come ha celebrato Francesco la nascita del redentore?
Il primo biografo di Francesco, Tommaso da Celano, nella sua Vita beati Francisci (1 Cel 84-86: FF 466-470) descrive, pieno di entusiasmo, la celebrazione del Natale avvenuta a Greccio nell’anno 1223. Al racconto di Tommaso si rifà anche Bonaventura, il quale nella sua Legenda maior (1262) narra, in un modo più organizzato, l’avvenimento (LegMai X,7: FF 1186). Da essi veniamo a sapere come Francesco ha celebrato la festa della nascita del Signore: Il più fedelmente possibile egli volle creare una seconda Betlemme, con l’asino e il bue, con la mangiatoia come culla per il bambino Gesù, all’aperto e durante la notte. A questo evento egli invitò tutti i suoi frati che stavano nei romitori circostanti e anche la gente del borgo di Greccio e dei dintorni. Con essi il Santo si portò con ceri e fiaccole in solenne processione nel luogo già in antecedenza preparato e lì iniziò una sacra rappresentazione dell’incarnazione di Dio. La festa notturna celebrata all’aperto era unita a una Messa, dove Francesco ufficiò come diacono. Cantò con voce commovente il vangelo della nascita di Gesù e poi predicò. La sua predica non fu una esposizione professorale, ma innanzitutto gestuale e quasi mimica. Predicò con il cuore e con le mani, con il volto e i gesti, con la parola e con la sua presenza. L’intero corpo espresse la pienezza entusiasta delle esperienze interne. Come racconta il Celano, egli dava l’impressione di un bambino balbettante o di una pecora belante quando egli pronunziava le parole “Ge-sùuu” e “Bet-lee-heem”.
Dopo l’incomparabile e inimitabile annuncio della parola, nel quale Francesco più che interpretarlo con parole, mimò ed espresse in gesti il mistero della nascita del figlio di Dio, il frate sacerdote, che con Francesco salì all’altare posto sopra la spaccatura di una roccia, continuò la celebrazione eucaristica. Il mistero dell’incarnazione sfociò in quello della redenzione e della presenza sempre nuova del Gesù glorificato nell’Eucarestia.
Dopo aver visto come Francesco abbia compreso e annunciato la nascita di Cristo, riesprimendola quasi in modo visibile attraverso i gesti e tutto il suo corpo, possiamo ora immaginarci con quale offerta di sé egli salutò il Salvatore che scende sull’altare, e con quanta devozione lo adorò e lo ricevette nella santa comunione.
Ciò che è stato celebrato a Greccio fu più che una rappresentazione sacra. Mediante la connessione con la Santa Messa il gesto divenne una celebrazione liturgica quasi drammatica, il cui elemento principale non è la rappresentazione di un evento, ma l’attualizzazione e la rivitalizzazione di un mistero di fede. Infatti, come racconta ancora il Celano, venne ridestata a nuova vita quella fede che era spenta nel cuore di molti.
La liturgia natalizia di Greccio non resta fissata a ciò che accadde a Betlemme, ma segue Gesù fino al Golgota e lo riconosce come colui che è risorto e glorificato, e che oggi nuovamente si abbassa e si dona a noi nella comunione. In questo modo il presepe, la croce e l’altare vengono uniti in una unica e medesima festa. Non è difficile qui scoprire una connessione con il salmo natalizio, nel quale la nota caratteristica era appunto la visione d’insieme tra presepe e croce. Nella celebrazione di Greccio la linea è stata tirata ancora più avanti fino all’eucarestia, nella quale Dio continua a donarsi a noi nel suo Figlio. L’umiltà di Dio altissimo, verificatasi a Betlemme, si prolunga nella storia e si attua in ogni eucarestia, come Francesco espone mirabilmente nella Prima Ammonizione: “Ogni giorno egli si umilia (…), ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. (…) E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli, come egli stesso dice: «Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28,20)” (Amm 1,16-22: FF 144-145). La presenza eucaristica è una presenza natalizia.
La notte santa di Greccio fu una festa unica. Infatti non sarebbe facile ripeterla nella sua intensità, originalità e vivacità. Accanto allo splendore festoso di Greccio e nello stupore di quella meravigliosa celebrazione inscenata dal Poverello, vale tener presente il suo sobrio e serio salmo natalizio che invita alla sequela; un salmo che Francesco e i suoi compagni hanno recitato più volte giorno per giorno nel tempo di Natale. Questa salmo-meditazione caratterizzava la giornata intera e faceva emergere dalla loro quotidianità ciò che accadde a Greccio in quella quasi irripetibile celebrazione.
A cura di fra Leonard Lehmann