«I soldi non sono tutto. Gli ospedali in Cina sono un incubo», spiega il centrocampista belga oggi al Borussia Dortmund
Un anno e mezzo in Cina, con la maglia del Tianjin Quanjian, poi il ritorno in Europa al Borussia Dortmund. Un ritorno in Occidente, nonostante un ingaggio stratosferico da 18 milioni di euro a stagione, nel periodo nel quale disse di no a mezza Europa. Adesso è stato proprio il belga a svelare il motivo che lo ha spinto, nell’agosto 2018, a rientrare nel Vecchio Continente accettando l’offerta del Borussia Dortmund, nonostante un contratto di 4 anni e mezzo con il club cinese: «Mia figlia aveva una malattia molto dolorosa all’intestino.
Negli ospedali internazionali presenti in città non avevano gli apparecchi per curarla. Dovevo quindi decidere se portarla in un ospedale cinese oppure se andare fino a Pechino che però era a due ore di macchina. La situazione era delicata: avevamo poco tempo a disposizione perché la malattia poteva diventare pericolosa. Siamo quindi andati in uno degli ospedali cinesi, ma la situazione era surreale. Abbiamo preso un numeretto all’entrata e abbiamo aspettato, ome se fossimo in fila al supermercato. Abbiamo aspettato circa 3 ore. Dopo quell’esperienza ho detto a mia moglie che finiti i Mondiali del 2018 saremmo tornati in Europa. I soldi sono importanti, ma non danno la felicità», ha raccontato in un’intervista rilasciata a Dazn.
Nella sua intervista, Witsel ha spiegato anche il rifiuto alla Juventus nel 2016, come riporta il Corriere. «Avevo il contratto in scadenza con lo Zenit e volevo trasferirmi a Torino. Avevo superato le visite mediche, mancava solo la firma sul contratto. Aspettai tutto il giorno nella sede della Juventus ma, a un certo punto, lo Zenit mi disse di rientrare in Russia. Un anno fa, quando decisi di rientrare dalla Cina, avevo diverse offerte, potevo andare a Parigi o a Manchester, ma avrei dovuto aspettare. Per il Dortmund invece ero la prima scelta. Col senno del poi ho fatto bene a venire qui».
Di Salvatore Riggio per Corriere.it
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