Il cammino verso Gerusalemme nella tradizione bizantina

VERSO LA DOMENICA DELLE PALME… Nella tradizione bizantina la domenica delle Palme è preparata dalla risurrezione di Lazzaro. S’intrecciano così i due ingressi del Signore: a Betania per la risurrezione dell’amico di Gesù e a Gerusalemme. La liturgia di questi giorni coinvolge la comunità nel cammino di salita verso le due città dove avverrà il dono della vita e della salvezza, per Lazzaro e per tutti i battezzati: «Andiamo incontro, o fedeli, alla festa delle Palme, cominciando già oggi a celebrarla splendidamente, per essere fatti degni di vedere la vivificante passione del Cristo. Viene, è giunto il Cristo a Gerusalemme come re, seduto sul puledro di un’asina. Ecco, il Cristo è già giunto, gioisci Betania, patria di Lazzaro, perché egli ti mostrerà un grande prodigio risuscitando Lazzaro dai morti».

I testi liturgici mettono in luce la gioia delle due città con vere e proprie professioni di fede nel Verbo di Dio incarnato. Inoltre in diversi tropari si sottolinea come l’ingresso di Cristo a Gerusalemme rappresenta la sua entrata nell’anima del credente: «Venite, prepariamo le palme delle virtù per andare incontro al Signore: così infatti lo accoglieremo nella nostra anima come nella città di Gerusalemme, adorandolo e celebrandolo».

I rami tagliati per festeggiare Gesù a Gerusalemme raffigurano le virtù con cui il cristiano lo accoglie nella propria vita: «Come prendendoli dal monte degli Ulivi, tagliamo i rami delle virtù dalla cima delle elemosine e prepariamoci alla venuta spirituale del Cristo fra noi, celebrandolo e benedicendolo per i secoli». Dall’immagine delle palme si passa così alla realtà del simbolo di cui sono cariche, cioè la misericordia: «Insieme ai fanciulli andiamo anche noi incontro al Cristo Dio: portando la misericordia al posto delle palme, offriamola con la preghiera del cuore e acclamiamo con rami: osanna, beneditelo per i secoli».

La settimana santa presenta poi la malattia che porterà Lazzaro alla morte in parallelo con la passione e morte di Cristo: «La malattia di Lazzaro viene resa nota a te, o Cristo. Oggi Lazzaro è spirato, e Betania lo piange: o salvatore nostro, fallo risorgere dai morti, per confermare in anticipo, nel tuo amico, ciò che è frutto della tua tremenda risurrezione: la morte dell’Ade e la vita di Adamo». Nel tropario viene così preannunciata la discesa di Cristo nell’Ade per riscattare Adamo dalla condanna.

Cristo risuscitando Lazzaro opera di nuovo come creatore, e la risurrezione dell’amico prefigura la ricreazione che Cristo porterà a termine nel mistero pasquale: «Oggi Lazzaro muore ed è sepolto, e le sue sorelle cantano il lamento; ma tu, o Cristo, che tutto sai in anticipo, avevi preannunciato l’evento, dicendo ai discepoli: Lazzaro si è addormentato, ma ora vado a destare colui che ho plasmato». La risurrezione diventa dono divino di Cristo all’amico: «Danza, Betania, perché a te verrà il Cristo per compiere un prodigio grande e tremendo: incatenata la morte, come Dio risusciterà il defunto Lazzaro, esaltante il creatore».

Vi è infine la presenza nella liturgia di due personaggi omonimi: Lazzaro l’amico di Cristo e il povero Lazzaro del sedicesimo capitolo del vangelo di Luca. I tropari alternano la lode del risorto e quella del povero glorificato alla fine nel seno di Abramo. «Non condannarmi, o Cristo, al fuoco della geenna, come il ricco a causa di Lazzaro, ma dona anche a me, che te lo chiedo in pianto, una goccia di amore per gli uomini, o Dio». Ma il povero è anche immagine dell’anima umana: «Emulando stoltamente il ricco spietato, volentieri mi do alle feste, affondando in piaceri e passioni; e, vedendo il mio intelletto che come un altro Lazzaro di continuo giace davanti alle porte del pentimento, passo oltre insensibile, lasciandolo affamato, malato e piagato per le passioni».

Lazzaro nel seno di Abramo diventa infine parabola della misericordia di Dio verso gli uomini e dell’incarnazione di Cristo: «Venite fratelli, accostiamoci al Dio compassionevole con cuore puro, occupiamoci della misericordia: per essa, infatti, come sta scritto, alcuni senza saperlo diedero ospitalità a degli angeli; nutriamo nei poveri colui che ci ha nutriti con la propria carne; rivestiamoci di colui che si avvolge di luce come di un manto». di Manuel Nin*

*Osservatore Romano

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