R. – La solidarietà per sua natura deve aprirsi al mondo e deve rispondere a tutte le esigenze, a tutte le necessità e a tutti i bisogni. Credo che, quindi, questa sia in un certo senso la strada normale, ovvia, in cui si deve muovere il Bambino Gesù, proprio perché nasce da questa intuizione di carità che poi i Papi hanno ricevuto ed hanno fatto propria ed hanno continuato sostenere ed incoraggiare nel corso del tempo.
D. – L’emergenza oggi nasce soprattutto al Sud dell’Europa: intervenire nei confronti dei più deboli della società che sono i bambini, soprattutto se malati e soprattutto se arrivano dopo le vicende drammatiche che conosciamo …
R. – Certamente. Oggi l’emergenza è quella delle migrazioni, di tutti questi profughi che bussano alle porte dei nostri Paesi tra i quali si trovano anche molti bambini. Direi questo: pensiamo da quali situazioni spaventose di conflitto, di violenza, di guerra, di miseria queste persone fuggono. Credo che se ci mettiamo in questa prospettiva, forse anche le nostre reazioni e i sentimenti del nostro cuore possano cambiare.
D. – In questa situazione è possibile far coincidere valori morali, valori religiosi e valori scientifici?
R. – Credo di sì, sempre a partire dall’idea profondamente cristiana della centralità della persona umana. Tutto quello che si fa, anche a livello di ricerca scientifica, deve servire per l’aiuto concreto alla persona umana nelle sue varie necessità.
Gianni Cardinale, per Avvenire, ha intervistato Mariella Enoc, nuovo presidente dell’Ospedale Bambino Gesù:
«Il Bambino Gesù deve essere un segno straordinario di attenzione della Chiesa ai poveri. Chi è malato, a qualunque fascia sociale appartenga, è comunque povero. E tutti i bambini, senza distinzione di censo, hanno diritto ad essere curati al meglio».
Mariella Enoc spiega così la missione che le è stata affidata tre mesi fa dal cardinale Pietro Parolin, quando l’ha chiamata a presiedere il CdA del famoso nosocomio pediatrico di proprietà della Santa Sede, subentrando a Giuseppe Profiti che ricopriva l’incarico dal 2008. Lo spiega ad Avvenirealla vigilia del Convegno che si tiene oggi – presente Parolin – nell’Auditorium della Sede di San Paolo Fuori le Mura, nella ricorrenza dei 30 anni dal riconoscimento come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico.
«Il nostro compito – sottolinea – è curare al meglio i bambini, essere attenti alle persone che vi lavorano, garantire una grandissima trasparenza, così che l’ospedale sia davvero come una casa di vetro dove tutti possono vedere e valutare quanto si fa».
In queste prime settimane di lavoro cosa ha potuto mettere in cantiere?
Al prossimo CdA presenterò un modello che introduce una riorganizzazione della governance e ci saranno certamente anche alcuni cambiamenti che però non intaccheranno l’ossatura della struttura che ha un grandissimo valore e dove tutti stanno lavorando
Recentemente ha tracciato le luci e le ombre della sanità cattolica, storicamente così radicata ma non senza difficoltà in questo momento…
La sanità cattolica in effetti si trova in una fase di grande ripensamento. Bisogna che ciascuna struttura con coraggio si ripensi e ritrovi la sorgente del carisma originario che l’ha generato in un contesto, come quello attuale, completamente cambiato. Per questo ci vuole molto coraggio e bisogna essere capaci di scelte un po’ rivoluzionarie: lavorare in rete, capire anche come oggi, essendoci una vera povertà di salute intorno a noi, queste istituzioni possono intervenire.
Cioè?
Prima di tutto cercando la loro sostenibilità, perché se non riescono a sostenersi non riescono neanche a lavorare bene. E per fare questo c’è bisogno di cambi nella governance, nel management e nelle visioni che si debbono avere. I tagli oggi ci sono per tutti, per il pubblico, il privato, per la sanità cattolica. Di questo dobbiamo renderci conto e dobbiamo trovare idee nuove per sopperire a questo momento difficile. Ma queste idee nuove devono tenere conto della nostra visione cristiana. Noi non possiamo fare solo quello che tutti fanno.
Concretamente, che vuol dire?
Dobbiamo essere presenti sul territorio, anche nelle zone periferiche e marginali dove è più difficile e complicato lavorare ma dove, per noi, ha più senso esistere.
Negli anni scorsi il Bambino Gesù ha allargato la sua presenza in alcuni centri pediatrici nel Sud Italia. Si continuerà su questa strada?
No, non nasceranno nuovi piccoli Bambino Gesù. Questa iniziativa continuerà semplicemente con delle consulenze, quando ci verranno chieste da ospedali pubblici che si rivolgeranno a noi per avere l’apporto dei nostri migliori scienziati e clinici.
A volte la ricerca scientifica nella sanità cattolica viene raffigurata come limitata perché vincolata all’etica cristiana…
La nostra è una ricerca rispettosa dell’uomo e dei principi a cui ci ispiriamo, ma, tenuto conto di questo, non ha nessun limite nella capacità di studiare e di operare.
Come conciliare l’eccellenza nella ricerca scientifica con la disponibilità ad accogliere i meno abbienti?
La nostra missione primaria è accogliere i più poveri. E siccome abbiamo verificato che in questa fase si è registrata una diminuzione di bambini delle fasce più deboli che accedono all’Ospedale, allora abbiamo deciso di andare noi da loro. Con una cooperativa stiamo attrezzando due mezzi mobili che andranno ad operare nelle periferie, nei campi rom, laddove i bambini non riescono ad essere curati. È il nostro modo di essere presenti sul territorio.
E la ricerca?
Ha i suoi fondi. E La Fondazione Bambino Gesù, che tra poco avrà un nuovo statuto, partirà con una grande campagna di raccolta fondi.
Lei è la prima donna a presiedere il Bambino Gesù…
Ho fatto, come donna, tante cose per la prima volta. La presidente di Confindustria Piemonte e la vice-presidente della Fondazione Cariplo, ad esempio. Credo, e spero, che non sia stata scelta in quanto donna. Ritengo comunque che sia un bel segnale anche alla luce di quanto Papa Francesco dice sulla valorizzazione delle donne.
A cura di Redazione Papaboys fonti Avvenire e Radio Vaticana
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