R. – Direi che l’importanza di questo viaggio è legata essenzialmente a tre fattori: il primo è il fatto che il Papa, per la prima volta, si reca nell’Estremo Oriente, una regione del mondo che acquista una rilevanza sempre più accentuata nella politica e nell’economia mondiale. Va il Papa per rivolgersi a tutto il continente, non soltanto alla Corea. Certo, il viaggio è per la Corea, però ha come destinatari tutti i paesi del continente, grazie proprio a questa celebrazione della giornata asiatica della gioventù, che si svolgerà in Corea e alla quale parteciperanno rappresentanze dei giovani dei paesi vicini. E poi, il terzo aspetto, è quello del futuro, la gioventù rappresenta il futuro, quindi il Papa si rivolge al futuro di questo continente, si rivolge al futuro dell’Asia.
D. – Cuore del viaggio sarà l’incontro di Papa Francesco con i giovani dell’Asia, che spesso, in una società molto competitiva, si allontanano dalla Chiesa per cercare il successo a scuola. Quale messaggio porterà loro il Papa?
R. – Il messaggio che io credo il Papa porterà a questi giovani è che devono diventare protagonisti della vita della Chiesa. Quindi una presenza attiva, una presenza partecipe, una presenza fatta di collaborazione e di corresponsabilità. La Chiesa ha bisogno dei giovani, ce lo ricordava san Giovanni Paolo II, ce lo ricorda Papa Francesco. Quindi un protagonismo all’ interno della Chiesa e un protagonismo anche nella missione. I giovani, e questa è la chiamata fondamentale, devono diventare, evangelizzatori dei loro coetanei, quindi siamo sempre sulla linea della evangelizzazione, ed è questo il messaggio che il Papa porterà, oltre naturalmente, all’insistenza sul non lasciarsi abbagliare dai valori effimeri delle nostre società e del nostro modo e di trovare in Gesù la vera risposta i loro interrogativi e alle loro inquietudini.
D. – Quale testimonianza possono dare alle giovani generazioni di cattolici asiatici i martiri coreani che Papa Francesco beatificherà a Seoul?
R. – Questo è un altro motivo per il quale il Papa va in Corea, per la beatificazione dei 124 martiri coreani. Credo che va sottolineato il fatto come all’interno di questo gruppo c’è soltanto un sacerdote, mentre gli altri sono laici, che esercitavano le più svariate e differenti professioni, dalle più umili alle professioni più in alto nella scala sociale, e questo ci riporta ad una delle caratteristiche della Chiesa coreana, e cioè il fatto che è una Chiesa nata dalla testimonianza e dall’impegno dei laici, che hanno saputo conservare e trasmettere la fede. Credo che questo è il messaggio fondamentale, e cioè che nella Chiesa tutti siamo chiamati a collaborare alla missione di annunciare il Vangelo e tutti siamo chiamati alla santità, una santità che si può manifestare in diverse forme ma che deve caratterizzare l’impegno di ciascuno.
D. – Papa Francesco incontrerà i superstiti e i parenti delle vittime del naufragio del Sewol. La pastorale della tenerezza e della vicinanza a chi soffre può lasciare il segno anche in Corea?
R. – Sì, certamente. Sappiamo che questo avvenimento drammatico, luttuoso, ha suscitato tanto dolore. Ha aperto tante ferite e suscitato tante polemiche nella società coreana. Il Papa vuole dimostrare appunto che il metodo per lenire questi dolori e per cercare di curare queste ferite, è proprio quello di stare vicino alle persone, questo è il segno chiaro, questa vicinanza, che è la vicinanza di Gesù a tutti coloro che soffrono, che dev’essere la vicinanza della Chiesa a tutti coloro che soffrono. Quindi va anche in questo senso proprio questo gesto di carità e di amore nei confronti dei familiari delle vittime di questa tragedia.
D. – Il Papa chiuderà il suo viaggio in Corea, che i vescovi definiscono “l’ultima vittima della guerra fredda” con una messa per la pace e la riconciliazione. Questo viaggio potrà aprire nuovi canali di dialogo tra i leader delle due Coree e dare speranza ai cattolici della Corea del Nord?
R. – Questa è sempre stata la grande speranza della Santa Sede che si è impegnata anche concretamente in questa direzione. E’ una constatazione più che ovvia che la penisola è ancora percorsa da molte tensioni e che la penisola ha bisogno di pace e di riconciliazione. Io credo che il viaggio del Papa aiuterà anche in questo senso, nel senso di continuare in questa opera di solidarietà, nei confronti delle popolazioni che si trovano nel bisogno, nella necessità, e di favorire, nella misura del possibile, aperture di spazi di comunicazione e di dialogo, perché io credo, ed è una convinzione che il Papa ha ribadito tante volte, che soltanto attraverso questa comunicazione e questo dialogo si possono anche risolvere i problemi che ancora esistono, e che se c’è buona volontà da parte di tutti canali se ne trovano sempre.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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