R. – Quando si avvicina il Natale, a me vengono sempre in mente due fatti che poi sono nel Vangelo. Il primo fatto è questo: l’Annunciazione avviene in una casa. Noi ci aspetteremmo che il grande evento avvenisse nel Tempio di Gerusalemme, che avvenisse in un luogo di culto… E invece, avvenne in una casa. Indubbiamente, Dio vuole sottolineare l’importanza della casa nella vita delle persone. E oggi si sta smarrendo, l’importanza della casa. Secondo fatto: la scena del Natale – non dimentichiamolo – è una famiglia. Non è solo il Bambino: è un padre – un padre giusto, come venne chiamato Giuseppe – una madre immacolata, come viene chiamata Maria, e il bambino sotto lo sguardo di Maria e di Giuseppe. Perché? Perché nel Natale il Figlio di Dio non ha voluto ricchezze? Non è un incidente: è una scelta di Dio. Non ha voluto neanche potere umano, ma ha voluto una famiglia, e soltanto una famiglia ha chiesto venendo in questo mondo. Chiaramente, per ricordarci l’importanza della famiglia. Se non capiamo questo, noi rischiamo di fare bei canti di Natale, accendere luminarie di Natale, ma di non cogliere il messaggio.
D. – Questo messaggio della famiglia che viene dalla Grotta di Betlemme si collega ovviamente a quello che la Chiesa sta vivendo in questa fase…
R. – Esatto. E proprio per questo, voglio sottolinearlo. Pensi che Santa Teresa di Lisieux, quando inizia il racconto della sua vita, dice: “A me sembra di essere nata in una terra santa”, e la “terra santa” erano il papà e la mamma. Lo dovrebbe dire ogni figlio: “Sono nato in una terra santa”. Papa Giovanni XXIII, quando iniziò a recitare l’Angelus alla finestra – era il 9 novembre 1958 – non dimentichiamo che è stato lui ad iniziare. Ma sapete perché? Lui ha detto: “Perché mi sta tanto a cuore, questa preghiera dell’Angelus, e non l’ho imparata in parrocchia, non l’ho imparata neanche in Seminario”, disse. “L’ho imparata dalla viva voce della mia mamma, e noi 13 figli rispondevamo alla preghiera della mamma. Dormivamo su pagliericci di foglie di grano turco, ma nella mia casa si iniziava con la preghiera e si terminava con la preghiera”. E aggiunse: “Eravamo poveri, la polenta quasi tutti i giorni, le scarpe solo per le feste, altrimenti scalzi o con gli zoccoli… Però, la mia casa era piena di Dio”. Chi lo può dire, oggi? Quanti figli possono ripetere la stessa cosa? Le faccio una confidenza. Nel 1970, io ero aiuto cappellano al carcere di Regina Coeli e ricordo che qualche giorno prima di Natale venne a trovarmi nella celletta dove ricevevo i detenuti, uno ad uno, un giovane che mi disse: “Quando si avvicina il Natale, io divento una bestia”. “E come mai?”. “Perché mi irrita, questa festa. E’ la festa della famiglia, ma io non ho avuto una famiglia!”. E mi disse: “Sono figlio di una prostituta, non conosco neanche chi è mio padre: che è il Natale, per me? Come posso celebrare il Natale? Io non ho neanche i connotati di una persona normale – ‘figlio di…, figlio di…’”. Disse: “La sera, quando mi addormento, io dico sempre alla Madonna: ‘Madonnina, se mi vuoi bene, portami via con te, tanto nessuno se ne accorgerà perché io non esisto’”. Perché gli è mancata la famiglia.
D. – E allora, vorrei chiederle un ultimo pensiero, dedicato proprio a quelle famiglie che, come dice lei, oggi non hanno più i connotati della famiglia. Quali sono i suoi auguri di Natale per loro?
R. – Io auguro loro di buttar via un po’ di orgoglio e un po’ di egoismo e sicuramente riemergeranno i connotati della famiglia – o per lo meno si recupera qualcosa. Madre Teresa di Calcutta, una donna che aveva un amore straordinario per la famiglia, soprattutto una gratitudine verso la sua famiglia, diceva: “Se buttiamo via una briciola di orgoglio, una briciola di egoismo, quello spazio l’occupa subito Gesù, ed è Natale”. Perché, se non facciamo spazio togliendo orgoglio ed egoismo, Dio non entra. La culla è sempre quella: l’umiltà e la generosità. (Radio Vaticana)
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