Categorie: Italiae et Ecclesia

Il cardinale designato Menichelli: Credo in una Chiesa profetica, né muta né guerriera

Secondo il cardinale designato Edoardo Menichelli, le polemiche suscitate dall’ultimo Sinodo sulla famiglia sono “più frutto di unipotesi giornalistica, che non di una passione profonda per il magistero”

Assieme a Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, e a Luigi De Magistris, Pro-penitenziere emerito di Santa Romana Chiesa, Edoardo Menichelli è uno dei tre italiani che sabato prossimo riceveranno la berretta rossa da Papa Francesco.

Anche per l’imminente Concistoro, tra i nuovi porporati il Santo Padre ha scelto per lo più pastori “di periferia” o, quantomeno, non titolari di tradizionali sedi cardinalizie: la nomina di Menichelli conferma questa linea.

Raggiunto telefonicamente da Zenit, il neocardinale marchigiano ha raccontato la storia della sua vocazione sacerdotale, frutto di grande sacrificio, e la sua visione “profetica” della Chiesa Cattolica, vista più come entità spirituale, che come soggetto ‘politico’ o ‘strategico’.

La nomina mi ha preso di sorpresa e sono grato al Santo Padre”, racconta l’arcivescovo di Ancona, che l’anno scorso ha festeggiato vent’anni dalla sua ordinazione episcopale e che, il prossimo 3 luglio celebrerà mezzo secolo di sacerdozio.

Dopo tre anni trascorsi come parroco ed insegnante di religione nella sua città natale, San Severino Marche, Edoardo Menichelli, ha trascorso 26 anni a Roma, dove ha lavorato presso la Curia Vaticana, affiancandovi il proprio ministero pastorale nelle parrocchie, in particolare nella formazione al sacramento del matrimonio, e come cappellano in una clinica.

Menichelli è stato a lungo officiale della Segnatura Apostolica e, in seguito, della Prefettura delle Chiese Orientali, in entrambi i casi, a servizio del cardinale Achille Silvestrini.

Nel 1994, San Giovanni Paolo II lo ha nominato arcivescovo di Chieti-Vasto, poi, nel 2004 è stato ancora papa Wojtyla a trasferirlo all’arcidiocesi di Ancona-Osimo, di cui è tuttora titolare.

Eminenza, può raccontarci come è nata la sua vocazione sacerdotale?

Mio padre e mia madre erano molto credenti ma li ho persi entrambi entro i dieci anni. A quel punto la mia storia umana cambiò strada: dovetti abbandonare la scuola, ed iniziare subito a lavorare, una cosa in quegli anni abbastanza normale per i ragazzi poveri. All’interno di questa storia dolorosa, è iscritta quella che io chiamo la “mano misericordiosa di Dio”: attraverso l’opera di un sacerdote, che conosceva bene la mia famiglia, e di una persona di Roma che aveva anch’essa partecipato alle nostre sofferenze, si aprì per me la strada della ripresa degli studi. Quando ancora non pensavo ad alcuna vocazione sacerdotale, intorno ai 14 anni fui mandato in seminario, in un luogo più umano e più protetto. Iniziò dunque per me un cammino di discernimento: mano a mano, con l’aiuto dei responsabili della mia formazione, compresi che il sacerdozio era la mia strada, che fu poi accolta dalla Chiesa, nella persona del caro vescovo che mi ha ordinato, monsignor Ferdinando Longinotti. Dopo gli studi nel seminario regionale di Fano, fui ordinato il 3 luglio 1965: quest’anno sono quindi per me 50 anni di sacerdozio!

Lei ha compiuto da poco 75 anni: come proseguirà la sua vita pastorale, dopo la conclusione del suo incarico come arcivescovo di Ancona-Osimo?

Il mio futuro immediato sarà la prosecuzione di questo servizio per la mia diocesi per il tempo che il Santo Padre vorrà. Al compimento dei 75 anni, ogni vescovo rimette il proprio ministero nelle mani del Santo Padre, il quale, nella sua bontà, mi ha pregato di continuare ancora per un po’ di tempo. In seguito si vedrà, mettendo tutto nelle mani di Dio e nell’amore verso Santa Madre Chiesa, che si deve sempre distinguere per dare senso al nostro essere sacerdoti.

Sabato prossimo, Lei diventerà uno dei dieci cardinali italiani titolari o vicari di diocesi: quali sono, a suo avviso, i punti di forza e di debolezza della Chiesa italiana?

Molto in sintesi, io credo che dobbiamo ricordarci che i punti di forza nascono dall’Alto, dalla forza di Dio, dalla nostra fede in Lui, dal nostro servizio, dalla nostra parola e dalla grazia di Dio. Le debolezze appartengono all’umano e, quindi, anche alla Chiesa che è fatta di persone concrete, anch’esse peccatrici; nascono da ciò che non riusciamo a vivere in compiutezza e pienezza. A tutti noi, talvolta, manca la passione per l’uomo e per la comunità e, soprattutto, per il Vangelo. Allora, dentro questa lettura, che rispecchia il senso della Chiesa, sovrannaturale ed umana, eterna e storica, si giocano sia i punti di forza che i punti di debolezza. Dobbiamo essere capaci di vivere il ministero di Cristo nella sua Incarnazione, stare nel tempo della Sua Morte e Resurrezione che ci abitua a guardare in Alto e ad avere questa Speranza che nasce nel cuore di Dio.

Lo scorso ottobre, Lei è stato uno dei padri sinodali all’ultima assemblea straordinaria sulla famiglia. Può raccontarci qualcosa di questa esperienza?

Essere stato scelto dal Santo Padre per l’ultimo Sinodo è stata per me una grazia ed un’esperienza molto arricchente, specie per le testimonianze che ho ricevuto, in particolare dai padri sinodali più esperti. È stata un’esperienza ecclesialmente significativa, durante la quale abbiamo approfondito alcune tematiche riguardanti la famiglia, la sua identità e la sua soggettività pastorale, la sua sacramentalità e, naturalmente, le sue ferite. Ciò che abbiamo fatto diventerà tema propedeutico per il prossimo Sinodo e, naturalmente, tocca a noi pregare, perché Dio apra il cuore e la mente di tutti noi, in un servizio pieno e vero alla famiglia.

In occasione dell’ultimo Sinodo si sono scatenate nel mondo cattolico, vivaci polemiche in merito a presunte innovazioni in materia matrimoniale, a partire dalla comunione ai divorziati e risposati e dall’apertura alle coppie omosessuali. Qual è la sua opinione in merito?

Quando parliamo di cose ecclesiali che riguardano Dio, Gesù Cristo, lo Spirito Santo e noi, dobbiamo porci in un’altra prospettiva: quella di essere fedeli a Cristo Signore. Gesù Cristo ci ha consegnato Se Stesso e ci ha rivelato il Padre sotto due sguardi: lo sguardo della Verità e lo sguardo della Misericordia. Nel tempo, la Chiesa ha sempre avuto il compito di coniugare Verità e Misericordia per l’umanità che incontra: questa è la “fatica” e la “grazia” della Chiesa e di una pastorale, che non riguarda solo la famiglia ma anche la quotidianità di tutti noi, ovvero di chiunque voglia accogliere la verità di Dio, che è immodificabile, e la Sua misericordia, che passa nel cammino della Chiesa e che è rivolta a tutti. Le polemiche sono quindi più frutto di un’ipotesi giornalistica, che non di una passione profonda per il magistero.

Papa Francesco sta portando avanti un’epocale riforma della Curia Romana ed insiste sulla vocazione della Chiesa “per i poveri”…

Anche su questo punto, dobbiamo sempre ricordare una regola: Ecclesia semper reformanda. Ciò significa che la Chiesa di cui facciamo parte è sempre posta all’interno di una “riforma” che verifica se, come Chiesa, siamo fedeli alla Parola di Dio e al ministero che ci ha affidato. Non c’è stato, quindi, un tempo in cui la Chiesa era santissima e un tempo in cui era piena di peccati; siamo impastati contemporaneamente di povertà e di magnificenza. Oggi il Papa chiama senz’altro la Chiesa a compiere percorsi di maggiore attenzione a quella che è la sofferenza dell’uomo, a essere capace di immergersi, come ha fatto Dio, dentro le ferite della storia. E allora la Chiesa è chiamata ad essere profetica. Una Chiesa muta non serve a nessuno, una Chiesa ‘guerriera’ non è evangelica. È necessaria, piuttosto, una Chiesa profetica che porti avanti la Parola del Signore, una Parola che talvolta è amara ma che dà beatitudine se è ascoltata e se è vissuta.

[box]Leggi anche gli altri articoli del nostro speciale: #Concistoro2015 chi sono i nuovi Cardinali? [/box]

A cura di Redazione Papaboys fonte: Zenit

 

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