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Il cardinale Francesco Montenegro, un vescovo in sella.. Alla Vespa

La rivista “Credere” lo aveva intervistato un anno fa, poco dopo la sua nomina ad Arcivescovo di Agrigento e una delle domande al cardinale Francesco Montenegro riguardava proprio una sua singolare abitudine: “Continuerà a girare la diocesi con la Vespa blu?” le aveva chiesto la giornalista Vittoria Prisciandaro.

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La risposta di mons. Montenegro è stata: «Fino a quando ce la fa a portarmi… La stazza è quella che è. Non so perché dovrei cambiare stile di vita: ho sempre fatto le cose senza volere apparire, quindi non so perché non posso utilizzare ancora la Vespa. E il casco l’ho sempre usato».

Come testimonia questa fotografia, scattata nella splendida Valle dei Templi in occasione del centenario degli Scout, l’Arcivescovo ha mantenuto la sua promessa! Persino papa Francesco, di recente, ha chiesto se girasse ancora in Vespa…

Ecco il testo dell’intervista, pubblicata sul numero 3/2015 di “Credere”:

Il neocardinale di Agrigento è senza scorta e senza cattedrale. “Don Franco” è messinese, ha 68 anni, è stato presidente di Caritas Italia, oggi guida la commissione migrazioni della Cei e la fondazione Migrantes. La nomina a cardinale «mi è calata addosso come un secchio d’acqua ghiacciata. Non sapevo assolutamente niente. A fine Messa, mentre celebravo, un prete mi ha invitato a dare la notizia. Gli ho detto di smetterla di scherzare. Mi sono sentito confuso: era qualcosa di inaspettato, ma anche di gradito, un gesto di attenzione e non posso che dire grazie al Papa che si è fidato di me, che sono solo un uomo che cerca di portare avanti il suo lavoro».
Francesco Montenegro ha un linguaggio semplice per dire cose difficili, uno stile che lo rende vicino alla sua gente, come la Vespa che usa per girare Agrigento. Ma non fa sconti: quando è arrivato in diocesi ha rimesso in circolazione la parola “mafia”, assente nei discorsi dei preti e nella catechesi; e, un paio di anni fa, ha negato la celebrazione eucaristica ai funerali religiosi di un vicecapo della mafia. Si è anche trovato senza cattedrale, inagibile perché posta sul lato nord della collina dell’antica Girgenti, che continua inesorabilmente a scivolare a valle. «Se si chiude il centro storico, Agrigento muore», ha più volte detto Montenegro, rivendicando la volontà di non abbandonare il quartiere. «Sarebbe più comodo, ma se andiamo via noi cosa resta?». Per mettere tutto in sicurezza ci vorrebbero due milioni di euro, che la Regione ha promesso da tempo. Nell’attesa la Chiesa continua a tenere i riflettori accesi e a promuovere iniziative per animare la città antica.

Due anni fa, in un’intervista al mensile Jesus, lei diceva che in tutte le classifiche «Agrigento è all’ultimo posto. Solo per il tasso di infiltrazione mafiosa siamo i primi, rischiando di essere dimenticati o lasciati indietro». Questa nomina oggi che cosa rappresenta?

«Siamo sempre gli ultimi, è una terra che continua a essere povera, anche più di prima, perché l’emigrazione sta aumentando. Questa mia nomina credo sia l’attenzione che il Papa ha voluto dare a un territorio come questo e diventa un segno di speranza. Il lavoro fatto in questi anni – lo dico serenamente – è in sintonia con la proposta che Francesco va facendo di una Chiesa per strada, attenta ai bisogni, alle periferie. Oggi ci viene chiesto di continuare, semmai di aumentare un po’ la velocità. Per me rappresenta un impegno maggiore in questa terra che va amata. So che non posso prendermi tempo libero, devo continuare a lavorare sempre di più».

Lei si definisce un «tifoso» di don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta. Con Francesco don Tonino sarebbe diventato cardinale?

«Questo è nel piano di Dio. Il problema non è essere o non essere cardinale: il problema è essere fedele al Vangelo, e Tonino Bello in questo è stato straordinario, ha saputo leggere il Vangelo con occhi puliti, di chi ama la Chiesa. Tifo per lui perché credo che questa è la vocazione che io devo avere e che nella Chiesa dobbiamo avere tutti».

Tra le tante riforme messe in atto da Francesco, quali quelle che l’hanno più colpita?

«È una macchina che si è messa in movimento. Il Papa sta camminando e sta sempre più accelerando perché la fedeltà al Vangelo sia vissuta dalla Chiesa e dai cristiani. Quando parla, ovunque punti l’obiettivo, è sempre una novità ed è sempre una proposta: è tutto il pacchetto che è interessante».

In questo pacchetto, quali le priorità in relazione alla Chiesa che è in Italia, anche in vista del convegno ecclesiale di Firenze?

«Il Papa sta dicendo in tutte le maniere che l’uomo va messo al centro, soprattutto chi nella società conta poco. Il Vangelo è pieno di figure di poveri: se dovessimo togliere le pagine sui poveri dal Vangelo  resterebbe solo la foderina. Se Firenze e questo impegno che il Papa ci dà riescono a diventare un unico binario sarà un bella realtà per la Chiesa italiana».

La visita del Papa a Lampedusa, nella sua diocesi: oggi, a un anno e mezzo di distanza da quell’evento, che cosa ha significato?

«Con quella sua prima visita fuori dal Vaticano, con la scelta di un luogo ai confini dell’Europa, alla porta che guarda l’Africa, il Papa ha smosso la terra, come l’aratro. Come Chiesa quella presenza ha significato una nuova attenzione agli immigrati, che sono spalmati su tutto il territorio e quindi interpellano tutte le Chiese. Anche chi non è credente, dopo quella visita, è stato costretto a riflettere sulla situazione dell’immigrazione».

Dopo la nomina, ha sentito il Papa?

«Nel pomeriggio abbiamo fatto una chiacchierata. Quando si parla con Francesco sembra di essere tra vecchi amici. Mi ha confortato e, nella confusione, ho sentito la voce di un padre, di un fratello, di un amico che mi incoraggiava. La parola che lui ha usato è questa: “Sei chiamato a vivere un servizio”. E io così lo vedo: non credo sia un salto di carriera, ma un impegno di servizio maggiore».

Continuerà a girare la diocesi con la Vespa blu?

«Fino a quando ce la fa a portarmi… La stazza è quella che è. Non so perché dovrei cambiare stile di vita: ho sempre fatto le cose senza volere apparire, quindi non so perché non posso utilizzare ancora la Vespa. E il casco l’ho sempre usato».

Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Vittoria Prisciandaro)

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