Il segreto del sacerdote, come di ogni cristiano, è quello di esserlo davvero «tutti i giorni», con la consapevolezza che è Dio a chiamare per primo. Lo ha detto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin che, da giovedì 13 agosto è a Dili come legato pontificio per celebrare i cinquecento anni di evangelizzazione di Timor Est. Il suo primo incontro è stato con la comunità del seminario. Il cardinale non ha mancato di esprimere subito la gioia di «celebrare la messa per la prima volta a Timor Est» proprio «con i seminaristi che rappresentano il futuro della Chiesa che li attende come pastori e guide spirituali per indicare alla gente la strada verso Dio fonte della nostra vita, della nostra fede e della nostra vocazione». Insieme, ha affermato il porporato, «rimaniamo saldi su questa importante verità: è Dio a sceglierci e, come Papa Francesco ha detto ai sacerdoti dell’Ecuador poco più di un mese fa: tutti i giorni rinnoviamo il sentimento che tutto è gratis». Proprio prendendo spunto dal «fraterno consiglio» del Papa, il cardinale Parolin ha proposto una semplice espressione, di tre parole, per la vita in seminario: «Tutti i giorni!» Per questo ha chiesto ai seminaristi «di vivere gli aspetti della vostra vita in seminario tutti i giorni con responsabilità e diligenza». Ma «che cosa vi si chiede di fare tutti i giorni? Prima di tutto di entrare profondamente nel processo di formazione, con impegno e sincerità. Sì, Dio vi ha chiamato e con coraggio e fede voi avete risposto. Siete venuti in seminario per vedere, capire e discernere la validità di questa chiamata. Quindi, la domanda fondamentale è: il Signore mi sta chiamando veramente?».
Per il cardinale la risposta a questa domanda «può soltanto arrivare» se ci si dedica «tutti i giorni all’intero processo di formazione che offre il seminario. A livello umano — ha raccomandato loro — dovreste poter sviluppare le vostre qualità sociali, specialmente nell’interazione con la gente. A livello intellettuale, sviluppare la vostra capacità di abbracciare le conoscenze, specialmente per acquisire la capacità di capire e risolvere le sfide. A livello spirituale, sviluppare il vostro rapporto con Dio, specialmente nell’approfondire il vostro dialogo con lui e nell’ascoltarlo». Inoltre, ha fatto notare, «la formazione ha come obiettivo la trasformazione dei cuori». In altre parole «tutti i giorni dobbiamo purificare i nostri cuori, sbarazzarci da tutti quei difetti che ci ostacolano nel raggiungimento di due obiettivi essenziali: amare Dio ed essere pronti ad amare senza esitazioni il popolo di Dio che sarà affidato a noi sacerdoti». Essenzialmente «la formazione al sacerdozio è imparare a essere discepoli del Signore, il che richiede un rapporto intimo con Gesù stesso e un desiderio ardente di essere inviati a servire». Proprio questa, ha rimarcato il porporato, «deve essere la nostra preghiera e il nostro lavoro tutti i giorni»: diventare quelli che Papa Francesco chiama “discepoli missionari”. «Essere un discepolo missionario — ha spiegato ai seminaristi — inizia con la scoperta della presenza di Cristo nelle nostre vite. La vostra formazione deve incentrarsi su quella relazione con il Signore che non delude mai “chi rischia” (Evangelii gaudium, 3) di seguirlo. Questo rapporto ci conduce alla scoperta di chi è veramente Gesù, perché egli “è il volto della misericordia del Padre” (Misericordiae vultus, 1)». Del resto «il discepolato non è semplicemente una relazione privata» ha affermato. «Al contrario, più profonda è la nostra relazione con Cristo, più siamo spinti ad andare avanti, a essere missionari, a portare ciò che abbiamo ricevuto e cioè l’amore e la misericordia di Dio agli altri, specialmente a coloro che vivono ai confini della società, agli emarginati, a coloro che sono dimenticati». E «questo è il primo e fondamentale obiettivo del nostro ministero e della nostra attività sacerdotale: sì, andare ai margini da coloro che vivono nelle periferie, come ha detto il Papa, fisicamente, socialmente, psicologicamente e spiritualmente, in altre parole, coloro che la società espelle, per farli rientrare nella famiglia di Dio e nella società cui appartengono». Redazione Papaboys (Fonte L’Osservatore Romano)