Un’esperienza forte quella vissuta dai circa 30 ragazzi della diocesi francese di Viviers, ricevuti nella mattinata di ieri in Vaticano. Un mese in Argentina, nella diocesi di La Rioja, a camminare sui passi di preziosi testimoni della fede che hanno pagato con la vita il loro sì a Dio e che provenivano proprio dalla diocesi di Viviers: padre Gabriel Longueville e padre Carlos Murias, uccisi insieme durante la dittatura, nel 1976. Entrambi erano animati dal magistero di mons. Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja, prossimo alla beatificazione.
Papa Francesco consegna il discorso preparato in cui è racchiuso in poche parole il senso di ciò che hanno vissuto i giovani: “Farsi servi e amici del Signore abbracciando i rischi della missione alla quale Lui ci chiama”. Nel testo Francesco ricorda i martiri, testimoni di “Gesù, Lui che per amore ha dato la vita per tutti gli uomini e per ognuno di noi”. Oltre ai religiosi anche il vescovo Angelelli e un laico, Wenceslao Pedernera, tutti assassinati.
Il Papa, lo scorso 8 giugno, ha firmato il decreto della Congregazione delle Cause dei Santi, riconoscendone il comune martirio perché uccisi in odio alla Fede.
Rientrando a casa i giovani desiderano seguire i loro insegnamenti e il Papa, nel discorso preparato, li incoraggia invitandoli a perseverare e a chiedere aiuto allo Spirito Santo per essere “costruttori di ponti tra gli uomini” e “prossimi dell’umanità ferita, esclusa, per rendere visibile l’amore del Padre e la gioia del Vangelo”
Consegnati i fogli, in Sala Clementina il Papa ha dato vita ad un dialogo franco con i giovani offrendo risposte chiare a interrogativi maturati nel corso del loro lungo pellegrinaggio. Nelle cinque domande rivolte a Francesco i ragazzi chiedevano come mettersi in ascolto della Parola di Dio, come pregare, come mantenere una vita aperta agli altri in un mondo dove le persone sono concentrate su se stesse. E poi quale rapporto vivere con la Chiesa e quale la modalità prioritaria dell’evangelizzazione.
Nella prima risposta sulla Parola di Dio, Francesco ricorda che i poveri la comprendono meglio perché non pongono alcuna barriera, hanno il cuore aperto per riceverla. “La Parola di Dio – afferma – non si sente solo attraverso l’orecchio, entra attraverso l’orecchio ma si sente con il cuore”. Pregare insieme rende la preghiera più forte: sottolinea il Papa che ricorda come a volte sia necessario essere da soli davanti a Dio per incontrarlo. Ma è una solitudine fisica – evidenzia – perché dobbiamo essere consapevoli “che tutta la Chiesa è con me, tutta la comunità è con me”. E’ la certezza che anima lo stesso eremita che sa di essere unito al popolo di Dio.
Il Papa sottolinea l’importanza di vivere in comunità anche se si ritorna, dopo il pellegrinaggio, alla solita routine. E’ necessario confrontarsi, “ricordare e rinnovare” l’esperienza. I giovani – afferma – vanno accompagnati con cose e sfide concrete. Significa dare valore alla “comprensione reciproca”, alla “cooperazione” e alla “preghiera insieme”. “Un dialogo per essere un gruppo – ribadisce – deve essere un dialogo con la mente, per sapere di cosa state parlando, con il cuore e con le mani”. Per i giovani – dice – è più semplice sporcarsi le mani, impegnarsi.
“Evangelizzare lungo la strada”: è la via da percorrere oggi. L’evangelizzazione va fatta con gioia. Riprendendendo l’Evangelii Nuntiandi, Francesco sottolinea che non si può essere “evangelizzatori tristi, scoraggiati, senza illusione, con la faccia da aceto”. Infine un ricordo di padre Gabriel Longueville e del vescovo Angelleli “che – aggiunge il Papa – ci ha predicato il ritiro spirituale il 13 giugno 1973 in cui sono stato eletto provinciale. Lo incontrai lì e capii quel consiglio: ‘un orecchio per ascoltare la Parola di Dio e un orecchio per ascoltare il popolo’. Non c’è evangelizzazione di laboratorio, l’evangelizzazione è sempre ‘corpo a corpo’ con il popolo di Dio e con la parola di Dio”.
In molti chiamano così il vescovo di La Rioja Enrique Angelelli, figlio di emigranti italiani, uomo di Dio scomodo per la dittatura argentina per il suo impegno al fianco dei poveri e degli operai. Come il vescovo salvadoregno anche Angelelli venne ucciso ma ufficialmente morì in un incidente d’auto, il 4 agosto 1976. L’episodio si rivelò una messa in scena, la verità venne accertata dopo 38 anni, quando per l’omicidio di Angelelli furono condannati all’ergastolo due alti ufficiali. Su di lui era in atto da tempo una campagna diffamatoria con tanto di aggressioni. Diverse volte padre Bergoglio lo incontrò e Angelelli affidò proprio al giovane gesuita la formazione di alcuni suoi seminaristi alla facoltà di San Miguel.
Prima del vescovo Angelelli, vennero orrendamente ritrovati massacrati e mutilati i corpi di due dei suoi preti più impegnati: il giovane francescano conventuale Carlos Murias e il parroco di Chamical, don Gabriel Longueville, sacerdote francese, insieme collaboravano nella parrocchia Chamical. Padre Carlos era da tempo controllato dai militari per il suo impegno al fianco dei contadini. Venne prelevato il 18 luglio da un gruppo di uomini armati e il suo amico padre Gabriel non lo lasciò solo, poco dopo il ritrovamento dei corpi senza vita. Il 25 luglio, il contadino Wenceslao Pedernera, organizzatore del “Movimiento rural catolico”, venne assassinato in casa da uomini incappucciati, davanti alla moglie e alle tre figlie.
Benedetta Capelli e Adriana Masotti – Città del Vaticano per Vaticannews.va
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