Italiae et Ecclesia

Il Crocifisso del Gargano mi sorrise, e compì in me il miracolo più strepitoso

Giacomo Gaglione nasce a Marcianise, in provincia di Caserta, il 20 luglio 1896. È il primogenito di una famiglia molto nota. Suo padre, Valerio, è avvocato e continua una professione di famiglia che, di padre in figlio, si tramanda fin dal 1600. La madre, Amelia Novelli, proviene da un casato molto ricco e anche nobile. Giacomo cresce coccolato da tutti, in un ambiente sereno e agiato dove ogni suo più piccolo desiderio viene esaudito ancor prima di essere espresso.

È un bimbo sano, bello, estroverso, intelligente, generoso.

Dopo le elementari affronta il ginnasio e diventa un giovane invidiato da tutti. Ama lo studio ma soprattutto lo sport. In particolare il calcio e il ciclismo, che in quegli anni comincia a diventare popolare. Giacomo partecipa perciò a gare in bicicletta e ne vince parecchie. La vita per lui è perfetta. Ama le feste, i balli, corteggiare le ragazze. È un signorino ricco e bello, e diventa quindi il sogno di tutte le sue coetanee.
Nel 1912, mentre sta preparando gli esami di licenza ginnasiale, comincia ad avvertire strani dolori al tallone destro. Nei giorni successivi gli si gonfiano le articolazioni dei piedi e delle gambe. I dolori sono atroci. Dopo pochi mesi lo stesso avviene per le braccia e Giacomo finisce paralizzato. Immobile a letto, per nutrirsi deve essere imboccato da sua madre. La famiglia Gaglione è ricca, non ha problemi economici di alcun genere e la guarigione di Giacomo diventa l’obiettivo da raggiungere a tutti i costi. Vengono interpellati i più celebri specialisti, intraprese cure, bagni caldi, massaggi, soggiorni nelle stazioni termali. E poi interventi chirurgici. Ma è tutto inutile. Il tempo passa e l’immobilità imprigiona sempre più il corpo di Giacomino. Ogni piccolo movimento gli costa dolori indicibili. Non può stare seduto e neppure disteso. Trova un po’ di sollievo su una speciale sedia a sdraio, costruita appositamente in ferro, con un’inclinazione di 45 gradi.

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La malattia, che viene chiamata poliartrite acuta, intaccando le articolazioni, blocca totalmente il suo corpo, e Giacomino finisce con il poter muovere soltanto le mani e gli occhi.

Ma non si perde d’animo. Dimostra una forza di carattere indomabile, lotta con i denti, è pronto ad affrontare qualunque sacrificio perché vuole guarire. Ama la vita, sogna le belle ragazze, vuole tornare a essere il «re delle feste» che tutti i coetanei invidiavano e che tutte le ragazze sognavano. Verso i diciannove anni si innamora di una cugina che abita nello stesso palazzo. Se ne innamora pazzamente. Tutti i giorni si fa portare nell’appartamento della zia per stare vicino alla ragazza. Si mette anche a fare progetti di matrimonio, perché è sicuro di guarire. Riempie la ragazza di regali: anelli, collane, bracciali d’oro.

Quella cugina diventa la ragione della sua vita e accanto a lei Giacomino dimentica perfino di essere tanto malato. All’inizio le famiglie dei due giovani lasciano correre. Ma, a un certo momento, la madre della ragazza si rende conto che le cose stanno prendendo una brutta piega. La malattia di Giacomino non dà speranze e lei non vuole che la propria figlia si leghi per sempre a un infermo. Interviene decisamente, affronta la cognata, la madre di Giacomino, e le chiede che il giovane tronchi ogni rapporto con la ragazza. La signora Amelia comprende, ma sa che, per il figlio, rompere quel legame affettivo significa la morte. Cerca di temporeggiare, chiede aiuto al parroco per il quale Giacomino ha grande stima. Con molta delicatezza il sacerdote tenta di spiegargli la situazione.

Giacomino, quando capisce che cosa vogliono dirgli, lancia un grido, afferra un paio di forbici che sono sul tavolo e tenta di tagliarsi la gola.

Da quel momento entra in una crisi terribile. Non vuole più vivere. Si ribella contro il destino, impreca, bestemmia, offende anche la madre, non vuole mangiare, desidera solo morire. È necessario non lasciarlo mai solo per impedirgli di compiere gesti tragici.
La crisi, tremenda e spaventosa, che turba profondamente tutta la famiglia, dura fino al giugno del 1919, quando Giacomino legge sul Mattino di Napoli l’articolo del giornalista Renato Trevisani dedicato a Padre Pio, alle sue stimmate e alle guarigioni che il religioso compie. Nel cuore di Giacomino Gaglione torna la speranza. «Voglio andare da Padre Pio» dice in famiglia. Parla del religioso con grande entusiasmo. È convinto che da San Giovanni Rotondo tornerà guarito. Riprende a parlare della cugina e fa ancora progetti di matrimonio. Tanto entusiasmo spaventa i genitori del giovane infermo. Pensano alla possibilità che il loro figlio non ottenga la guarigione e sanno che questo rappresenterebbe certamente la fine per lui. Perciò tentano di dissuaderlo dal compiere quel viaggio, adducendo che San Giovanni Rotondo è lontano e sarebbe molto faticoso per lui raggiungerlo. Ma Giacomino non intende ragioni, vuole partire a ogni costo. Allora viene organizzato un viaggio in comitiva, in modo che siano presenti diverse persone amiche del giovane, pronte a consolarlo e a confortarlo se non dovesse ricevere il miracolo della guarigione. Con lui partono quindi i genitori, alcuni zii, diversi amici e anche il medico di famiglia. Il viaggio è drammatico. Sei ore di treno, in uno scompartimento pigiato. E poi cinque ore di attesa nella stazione di Bari, mentre si cerca un’automobile adatta a portare Giacomino a San Giovanni Rotondo. Quindi, altre cinque ore di viaggio in auto, su una barella, legato allo schienale del sedile, con la testa fuori dal finestrino di destra, sotto un temporale furioso.

Finalmente il giovane infermo si trova di fronte a Padre Pio. Si confessa.

«Dopo la confessione – racconterà in seguito – Padre Pio mi guardò con i suoi occhi tanto profondi e tanto belli e mi sorrise, con un sorriso di bambino innocente che ho sempre nel cuore… Vedere padre Pio e dimenticare il motivo del viaggio fu tutt’uno».
Aveva atteso quell’incontro per mesi, per chiedere la guarigione da una malattia che lo teneva immobile da sette anni. Solo un nuovo evento grandioso può averlo distratto al punto da dimenticare la ragione di quel viaggio.
E l’evento sta nell’aver scoperto il «senso profondo» della propria vita. Giacomino Gaglione, di fronte a quel religioso, che porta sul proprio corpo i segni della Passione e Morte di Gesù, «intuisce» il mistero e il valore della sofferenza. Comprende la grandezza di Padre Pio e «sente» di essere, in qualche modo, simile a lui, cioè crocifisso. Il Padre porta i segni della crocifissione nelle mani, nei piedi, nel costato; lui è immobilizzato su una croce di ferro. Sente la «vocazione» a un’impresa spirituale straordinaria: soffrire per collaborare, con la sofferenza, alla Redenzione di Cristo. La chiamata è forte e chiara attraverso lo sguardo e il sorriso di Padre Pio. Ed egli risponde accettando. Dimentica di chiedere la guarigione perché ha trovato un tesoro ben più grande. Racconterà in seguito: «Durante quell’incontro Padre Pio mi ha fatto un’operazione chirurgica: mi ha tolto una testa e me ne ha messa un’altra. Se è miracolo far camminare un giovane paralitico, ancora di più è miracolo fargli accogliere con gioia per tutta la vita la volontà di Dio».

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Giacomino Gaglione torna a casa trasformato.

Nella sua casa, a Marcianise, hanno lavorato per cambiare disposizione ai mobili convinti di rivederlo guarito. Rimangono male quando torna, invece, malato come quando era partito. Ma si accorgono che è diventato un’altra persona. Ora è allegro, gioioso come non lo era mai stato dal l912, cioè da quando si era ammalato. Ride, scherza, il suo viso è illuminato da una strana gioia interiore. Per Giacomino Gaglione inizia una nuova esistenza. L’incontro con Padre Pio ha fatto scoccare in lui la scintilla di un’intesa, di una collaborazione: la missione della sofferenza accettata e sopportata per la salvezza dei fratelli.


Padre Pio ha le stimmate, e soffre per la salvezza del mondo; Giacomino è in croce.

Padre Pio avrebbe potuto chiedere a Dio di togliere a quel giovane le sofferenze. Ma guardandolo capisce che quel giovane possiede la stoffa dell’eroe: animo forte, cuore ardimentoso, volontà tenace, un eroe capace di affrontare il calvario. Gli sorride, quasi a voler suggellare un patto. Diventano amici per sempre. Lavoreranno per la stessa causa. Da quel giorno Giacomino Gaglione sarà un «crocifisso con il sorriso». Dedicherà l’intera esistenza agli ammalati, per insegnare loro il valore immenso della sofferenza. Per cinquant’anni Padre Pio porterà le stimmate sul proprio corpo. Per cinquant’anni Giacomino Gaglione giacerà crocifisso su quella sedia di ferro. Padre Pio fonderà la Casa Sollievo della Sofferenza, un grande ospedale dove gli ammalati possano essere curati e assistiti con amore. Giacomino fonderà l’«Apostolato della Sofferenza», un movimento che riunisce le persone martoriate nel fisico dalle malattie, offrendo loro ideali straordinari.

A causa della loro condizione si sentono inutili, tollerate dal mondo, mortificate nelle loro aspirazioni, ma egli svela loro che, attraverso il mistero del Corpo mistico di Cristo, esse possono diventare dei grandi protagonisti della storia dell’umanità, degli autentici salvatori del mondo. Giacomino sarà il figlio spirituale di Padre Pio a lui più simile. Rappresenterà uno dei «miracoli» più strepitosi compiuti da Dio per intercessione del Padre. Lui e Padre Pio resteranno sempre legati, sempre in contatto, sempre in comunicazione. Spesso Giacomino, nel proprio letto di dolore a Marcianise, «sente» il famoso profumo di Padre Pio, il «segno» che il Padre è lì, vicino a lui. E spesso lo «vede» anche. Molte persone vanno a trovarlo, a chiedergli consigli. Può muovere solo le mani e le usa per consolare e istruire: scrive una media di tremilacinquecento lettere l’anno ad ammalati che hanno bisogno del suo incoraggiamento, pubblica articoli per varie riviste, fonda un periodico, partecipa e guida pellegrinaggi a Lourdes, a Loreto, a San Giovanni Rotondo.

Muore il 28 maggio 1962.

Una grande folla partecipa ai suoi funerali, facendo capire quanto bene egli abbia silenziosamente compiuto. Da San Giovanni Rotondo, Padre Pio invia un telegramma: «Con Gesù sulla croce, con Gesù nel santo Paradiso». A un figlio spirituale che in quei giorni gli chiede se ritiene che Giacomino sia un santo, Padre Pio risponde: «Un santo? Giacomino è un grande santo».

Renzo Allegri,
Padre Pio, il Santo dei miracoli

Fonte www.settimanaleppio.it

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