“La guerra non ha futuro: il futuro della guerra è la pace!” nota monsignor Marcianò in apertura della Lettera, nonostante “l’esperienza, la storia, persino la cronaca dei nostri giorni sembrano affermare esattamente il contrario. Non sembra duratura la pace, la guerra non sembra aver fine”. Occorre pertanto “guardarci attorno”, perché “sentiamo le armi proporsi come minaccia o scatenarsi con forza in tanti Paesi del Medio Oriente, dell’Africa, dell’Asia e della stessa Europa. Guerre di diversa entità, che assommano motivazioni politiche, discriminazioni etniche, intolleranze religiose e altre cause”. E al contempo “guardarci anche dentro” e “lasciare che il dramma della guerra ci raggiunga e ci tocchi nel profondo, persuadendoci che la pace non è pace finché anche un solo popolo nel mondo sarà in guerra, ma anche che la pace non può celare, dietro l’apparente assenza di guerra, quelle ingiustizie, discriminazioni, prevaricazioni e violenze di ogni genere delle quali, peraltro, tutti rischiamo di essere protagonisti o almeno complici”.
L’arcivescovo offre quindi una serie di spunti di riflessione, tratti anche dal Magistero di Papa Francesco, inquadrandoli in alcune dimensioni della pace: dimensione politica, sociale, antropologica, pedagogica, evangelica ed ecclesiale. Sono “suggerimenti che – spiega – provano a valorizzare una sorta di vocabolario di speranza nel nostro mondo militare”.
Quanto alla dimensione politica, non bisogna “fare la guerra”, ma piuttosto “lavorare per fermare le violenze, le guerre”, ricordando che “oggi i confini della nostra Patria, particolarmente in Italia, non sono trincee da difendere ma porte da aprire, per uscire e soccorrere coloro che, in altre parti del mondo, dalla guerra sono afflitti; soprattutto, per accogliere chi dai propri confini fugge perché rifiutato, calpestato, violato proprio in Patria”. La dimensione sociale si esplica in un invito a tener presente che “perché un popolo sia in pace è necessario, anzitutto, recuperare il senso di ‘popolo’, costruire il popolo, diventare popolo: e questo è molto più che essere parte di una realtà geografica o politica”; mentre la dimensione antropologia richiama che “la vera cultura della pace nasce dal considerare l’altro come un ‘prossimo’ vero il quale andare incontro”, sconfiggendo quella che Francesco chiama la “cultura dello scarto”. “Bisogna riconoscere dignità di persona ad ogni persona – osserva monsignor Marcianò –. E questo richiede, a livello del singolo, una lotta al soggettivismo, all’autoreferenzialità, alla discriminazione, alla smania di possesso, di successo, di potere che – se ci pensiamo bene – sono poi i meccanismi che innescano ogni guerra. (…) La guerra si combatte prima di tutto sul fronte dell’egoismo umano, il cui graduale superamento apre il cuore all’altro, seminando sentimenti di misericordia, di tenerezza, di perdono”. La dimensione pedagogica comporta la necessità della formazione: “è il cuore umano che vale la pena di amare e di educare sempre, anche nel buio disumanizzante della guerra”, imparando “l’arte difficile e paziente del dialogo” e rendendo “feconda di gesti di compassione la quotidianità”. La dimensione evangelica rimanda alla “logica dell’offerta, del dono di sé, l’unica in grado di superare veramente l’egoismo, l’autoreferenzialità e il soggettivismo. È la logica del Vangelo, per questo è la logica della pace”. E infine la dimensione ecclesiale della pace, con l’impegno dei cappellani militari, il cui compito “è, primariamente, la costruzione della comunità, l’impegno a far crescere la coscienza di Chiesa e rendere comunità le nostre caserme, gli uffici, le missioni in Italia e all’estero”.
(Santo Marcianò, Il Dio che stronca le guerre, LEV 2014, 32 pagine, euro 5,00)
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