La drammatica storia di Cristina Magni, 37enne trevigliese che abita nel Bergamasco. Ora vive per la figlia di dieci anni: «Anna non voleva credere che il suo eroe, il papà carabiniere, non ci fosse più
Nel giro di una settimana Cristiana Magni, 37enne trevigliese che vive a Brignano Gera d’Adda (Bergamo), ha perso prima il padre e poi il marito. In entrambi i casi per colpa del coronavirus. Il coniuge si chiamava Claudio Polzoni, aveva 46 anni ed era un carabiniere con il grado di appuntato scelto qualifica speciale in servizio alla centrale operativa dell’Arma di Bergamo, una delle città italiane più colpite dalla pandemia.
«Un ultimo sguardo prima che salisse sull’ambulanza, poi non l’ho più visto», ha raccontato Magni a L’Eco di Bergamo. La donna ha accolto i giornalisti nel giardino di casa con guanti e mascherina, a distanza di sicurezza. Anche lei è positiva al virus che le ha portato via i due uomini della sua vita, ma che per fortuna ha risparmiato la figlia Anna, 10 anni.
«Tutto è cominciato quando il papà ha iniziato a stare molto male. Lo hanno ricoverato ma non c’era posto in terapia intensiva e il solo ossigeno poteva non bastare. Sono andata a trovarlo e almeno sono riuscita a dirgli “Papà ti voglio bene”», ricorda la 37enne. Ponzoni, nato a Sesto San Giovanni e arruolatosi nell’Arma dei Carabinieri a 21 anni, è stato presente in centrale fino al 29 febbraio. Dopo la scomparsa del suocero si era preso qualche giorno di riposo per stare vicino alla moglie. Non immaginava che non sarebbe più rientrato al lavoro. I primi sintomi influenzali sono comparsi giovedì 5 marzo.
«Credevamo che fosse solo influenza, ma la situazione peggiorava di giorno in giorno. Di ora in ora. Fino a quando una sera Claudio stava male, non respirava. Ho chiamato l’ambulanza una prima volta, ma il medico al telefono ha deciso che non aveva bisogno di ricovero. Ha voluto parlare con Claudio e alla fine ha deciso che respirava abbastanza bene», ha spiegato la vedova. «Col senno di poi avrei dovuto impormi, urlare, fargli capire che sbagliava, ma ho rispettato la decisione del medico. E ora me ne pento. Continuo a ripensarci. Claudio è rimasto a letto a dormire, io sul divano con Anna, come ormai facevamo da settimane per via dell’isolamento. Ma al mattino l’ho trovato malissimo. Non respirava. Ho chiamato di nuovo l’ambulanza e questa volta sono venuti a prenderlo».
In seguito a diversi giorni a casa con febbre alta e problemi respiratori sempre più gravi, il 13 marzo Ponzoni è stato ricoverato all’ospedale di Treviglio e quindi trasferito d’urgenza al Policlinico di San Donato Milanese, dove è arrivato l’esito del tampone: positivo. Da quel momento moglie e figlia non l’hanno più visto. «È stato tutto veloce. Ero concentrata sulle operazioni dei sanitari. Avrei voluto dirgli tante cose, anche rassicurarlo. Ma in quel momento lì invece non ci siamo detti nulla, ci siamo solo scambiati uno sguardo. L’ultimo. Nei giorni successivi avevo sue notizie solo grazie all’interessamento del colonnello Paolo Storoni che chiamava il medico e mi aggiornava. Poi una sera è andato in arresto cardiaco. Io non ho più visto Claudio». L’appuntato è morto giovedì 19 marzo.
Adesso la donna vive per la figlia: «È lei che fa coraggio a me. È tutto quello che ho. So cosa sta passando perché io a nove anni ho perso la mamma. Anna non voleva credere che il suo eroe, il papà carabiniere, non ci fosse più. Ha voluto che venisse il colonnello a dirglielo. E gli ha regalato un disegno con la scritta ”Grazie Carabinieri”». Come riporta L’Eco di Bergamo, quel disegno ora si trova sul tavolo nell’ufficio del comandante Storoni. «I colleghi di Claudio mi stanno vicino. Quando dicono che l’Arma è una famiglia è proprio vero. Io però vorrei riavere la mia famiglia»
Andrea Federica de Cesco per il Corriere della Sera