Questa più che una mia riflessione vuole essere una testimonianza vocazionale: quattro anni fa nel pieno della settimana santa il Signore mi chiamò a seguirlo più da vicino in un cammino che ora mi vede proiettato al sacerdozio. Per me la vocazione ha proprio una dimensione simile a quella della conversione di san Paolo sulla via di Damasco: nel giorno di Pasqua dopo l’intensa settimana santa vissuta in parrocchia nasce in me il desiderio di seguire per sempre Gesù. Quel giorno è rimasto nella mia memoria come un sigillo del Signore. A quattro anni di distanza il Signore mi ha fatto percorrere tanto cammino, attraverso le mie debolezze mi fa crescere sempre. Non a caso in questa giornata per me particolare ho vissuta un’esperienza in una periferia esistenziale dove le ferite abbondano e mi è venuta in mente un’icona che ritrae san Francesco d’Assisi ferito al costato. San Francesco è l’uomo ferito, si lascia ferire da Gesù e dal Suo Amore: non è chiuso in se stesso, non si è costruito una fede fatta di formalismi e maschere. Se la vocazione è questione d’amore allora non può che ferire il cuore. La mia esperienza è quella di un semplice ferito: nella mia debolezza sperimento e gusto il Suo Amore; ma anche negli occhi lucidi di padri di famiglia, nella vivacità di giovani impegnati nel sociale, nelle mani “unte” di preti felici, nei sorrisi materni di anziane suore. Il 4 aprile 2010 il Signore mi ha ferito perché possa trasmettere agli altri quello che io stesso ho sperimentato. I libri servono fino a quando il cervello cede il posto al cuore e la parola al silenzio. Di un prete ciò che mi colpisce è il suo cuore: se prega con il cuore, se si commuove davanti ai drammi della sua gente, se confessa con misericordia … Confido di sentire che il Signore mi chiama non per la mia gloria, ma per consolare, infondere tenerezza e promuovere la giustizia. Mi ha chiamato per rendermi felice di far felice. di Roberto Oliva
Il ferito felice
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