Tweet e contrazioni. La capofila del “travaglio 2.0” è Ruth Iorio, blogger californiana che lo scorso 26 dicembre ha raccontato in diretta su Facebook il parto del suo Nye postando stati e foto, alcune delle quali censurate da Cupertino e ripubblicate con sdegno dalla neomamma su Twitter. A seguire le orme di Ruth è stata Claire Diaz-Ortiz, che il 5 aprile ha cinguettato momento per momento il parto di Lucia conquistando in poche ore l’attenzione di oltre 330mila follower. Allargando la prospettiva alla gravidanza tout-court, la condivisione sul web di pancioni, diatribe per il nome, conti alla rovescia è un fenomeno tutt’altro che saltuario. “Se prima – dichiara Giovanni Boccia Artieri, docente di Sociologia dei new media all’Università di Urbino – per diffondere un contenuto felice come la nascita contavamo su un mezzo di comunicazione classico come il fiocco, oggi il fiocco va in rete e incrocia reti sociali molto diverse tra loro”.
Gestazione social. “Il web 2.0 – spiega Piermarco Aroldi, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – fa qualcosa che altri media e i processi offline non fanno, rende visibili su scala potenzialmente globale e in modo permanente pratiche che altrimenti scomparirebbero nell’istante stesso dell’interazione faccia a faccia. Il web cambia il modo di dare senso: pensando al fiocco azzurro, la sostanza dell’esperienza non cambia in relazione alla rete, cambia il modo in cui la si condivide e condividendola la si racconta e raccontandola la si interpreta”. A mutare non è l’evento, ma la forma e con essa la comunicabilità dello stesso. “Ci sono elementi – conferma Boccia Artieri – che fanno uscire la dimensione dell’attesa dall’intimità familiare e la portano a un’intimità connessa” perché, aggiunge Aroldi, “l’esperienza diviene più pubblica, si configura non tanto come evento della propria vita, lo è già di per sé, ma in quanto tratto esteriore attraverso il quale ci si caratterizza davanti agli altri”.
Edonismo ed emozione. La modalità espressiva che si produce rischia di apparire più un’esibizione edonistica che una narrazione di sé. “Quanto c’è – controbatte Aroldi – di narcisistico nelle forme tradizionali di esibizione della maternità? Anche lì c’è un tratto esibizionistico, nella nostra cultura queste forme hanno bisogno di una visibilità e condivisibilità particolari. La novità è che non ci accontentiamo più delle forme tradizionali”. Un upload permette di comunicare le proprie emozioni e di ricevere dalla propria rete sostegno in un momento impegnativo. “La coppia – commenta Boccia Artieri – fa un sovrainvestimento emotivo: oggi la nascita è sempre più un evento straordinario, fuori dalla routine”. Tanto più in un’Italia che nel 2013 ha toccato il record negativo di natalità dal 1926 (proiezione Istat).
Netiquette. Se comunicare è lecito, non tutte le comunicazioni sono equiparabili e lo dimostra la censura in cui è incorsa Ruth Iorio. La rete è un ambiente in cui agiscono centinaia di milioni di persone che per lo più non si conoscono pur vedendo i contenuti pubblicati l’una dall’altra. Per questo occorre rispettare una “netiquette” – il bon ton 2.0 – che però nel caso del racconto della gravidanza non è condivisa, nonostante ci sia chi propone un decalogo suggerendo di tenere per sé ad esempio “la foto del test di gravidanza”, “il piano del parto”, “i particolari delle visite ginecologiche” (Pianetamamma.it). “È interessante – sostiene Aroldi – capire le norme sociali che il web 2.0 sta ridefinendo. Le varie netiquette cambiano in funzione di gruppo, contesto culturale, contesto sociale”. E della situazione: come comportarsi di fronte al dolore di un aborto spontaneo che si sovrappone all’annuncio della dolce attesa? “L’elaborazione – riflette Boccia Artieri – richiede un lavoro lento, anche di rimozione. Nel momento in cui ho creato un blog per raccontare la gravidanza, il dato memoriale e il carico emotivo sono molto alti e si fa più complessa l’elaborazione del lutto. D’altra parte il web può offrire una rete di solidarietà”. Un altro dubbio morale-normativo è a chi appartenga l’identità web del nascituro. “Alcuni genitori aprono un account Instagram apposta per il figlio: sarà in conflitto con il profilo del singolo? Il problema è molto complesso, ma stiamo ancora ‘giocando’ con queste forme e una risposta non c’è”.
Di Giuseppe del Signore per Agensir
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