Opuscoli nazionali e progetti formativi con gli enti locali: sono alcune tra le iniziative della campagna sull’educazione alla diversità nelle scuole targate con la «teoria gender- scrive Zema». Obiettivo annunciato? «Un insegnamento più accogliente delle differenze», recitano i libretti preparati dall’Istituto Beck per conto dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) istituito presso la Presidenza del Consiglio. «Valorizzare le differenze», si legge nel progetto del Campidoglio «Le cose cambiano\@Roma » per contrastare il bullismo omofobico. Ma sarà vero? «La vera discriminazione è negare le differenze, ed è questo che viene fatto».
Tonino Cantelmi, psicoterapeuta e docente alla Gregoriana, ne è convinto fermamente. Tanto da pubblicare, insieme al collega Marco Scicchitano, un libro che sembra quasi una provocazione, «Educare al maschile e al femminile» (che sarà presentato venerdì 28 alle 20.30 presso la Chiesa Nuova), rivolto a genitori, educatori, insegnanti. Ma che il coautore si limita a definire «una ricerca scientifica e culturale di buon senso». Un esempio? «C’è un modo di giocare diverso in bambini e bambine. Un maschietto attiva alcune aree cerebrali quando punta un oggetto, la femminuccia ne attiva altre. Il sistema cervello-mente maschile/femminile è diverso. Costringere un bambino a negare certe abilità è discriminarlo». Come pretenderebbero di fare le linee guida suggerite nei libretti dell’Istituto Beck agli insegnanti. «Orientamenti scientificamente infondati e a tratti ridicoli – tuona Cantelmi – che non rispecchiano la vita reale dei bambini.
Quello dell’Unar è un colpo di mano ideologico». Concorda Elisa Manna, sociologa, responsabile delle politiche culturali del Censis: «Non dobbiamo dimenticare che gli esseri umani nascono dall’incontro tra un maschio e una femmina, e che la società sopravvive grazie a quest’incontro». Roba del passato, a quanto pare, per certe correnti di pensiero. «Operazioni come questa dell’Unar richiedono riflessione e condivisione», dice Cantelmi, che invoca il coinvolgimento delle associazioni dei genitori, a cominciare dal Forum famiglie. E bolla come «ideologico» anche il progetto gratuito del Comune di Roma contro il bullismo omofobico, che si avvale dell’intervento di rappresentanti del mondo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali).
Un terreno su cui «sale in cattedra» pure il Circolo omosessuale Mario Mieli, attraverso un progetto nelle scuole in collaborazione con la Asl Roma E e con il contributo della Regione Lazio. «Il sindaco Marino – incalza lo psicoterapeuta – è accecato dall’ideologia. Il bullismo omofobico è una piccola parte del bullismo. I progetti educativi del Comune sono terribili perché, con la motivazione di combattere il bullismo, propongono una visione confusa dell’uomo». «Il bullismo – aggiunge Manna – è una forma di narcisismo infantile. È la prevaricazione del diverso, del debole, ed è al rispetto del diverso, in generale, che occorre educare. Ovviamente gli omossessuali devono essere rispettati, deve essere riconosciuta la loro dignità e i loro diritti in quanto persone, ma questo non significa promuovere proposte educative legate alla “teoria del gender”, che creano confusione per un’identità fragile come quella di un ragazzo». E la confusione si fa anche con le parole.
«Quando anni fa si parlava di un’attenzione alla cultura di genere – afferma Manna – si voleva sottolineare l’attenzione alle problematiche della condizione femminile e c’era un movimento nella società e nelle istituzioni per affermare i diritti delle donne. Ora quest’attenzione è stata “sorpassata in curva” da quella per il mondo Lgbt, una minoranza di persone. Esigenze spinte da opinionisti e dai media». L’esempio più recente arriva proprio da questo settore, che Manna conosce bene in qualità di vicepresidente del Comitato Media e Minori. «Da tempo si discute di un Codice di autoregolamentazione per la corretta rappresentazione dei generi nel sistema dei media. Obiettivo: la tutela dell’immagine femminile. Purtroppo, nell’iter di questo Codice, l’interpretazione della parola “genere” è cambiata fino a perdere l’originaria connotazione».
L’ambiguità la fa da padrona, insomma. «Serve invece un approccio educativo chiaro – sottolinea Cantelmi -. La scuola faccia il suo mestiere, insegnando alla tolleranza e all’amicizia. E occorre dare voce alle famiglie». «Bisogna educare ai sentimenti – esorta Manna -. Gli adolescenti sono assolutamente soli e la cronaca ce lo conferma ogni giorno. Naturalmente bisogna rifuggire dagli stereotipi ma è innegabile che esista uno specifico maschile e uno femminile e che l’educazione ne debba tenere conto». In fondo, lo diceva, e lo cantava, anche un artista come Gaber che bigotto certo non era: «Un grande amore che ora sto cercando non è il richiamo dell’ennesima poesia ma un credo più profondo perché senza due corpi e due pensieri differenti finisce il mondo».
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