Il 2 aprile lo stato di salute di Francesco era così aggravato che fu chiamato il parroco per confessarlo. Egli temeva di morire senza poter ricevere la prima Comunione e questo pensiero gli causava una grande pena. Ma il parroco lo accontentò somministrandogli per la prima volta l’Eucarestia la sera stessa. L’indomani Francesco diceva alla sorellina Giacinta: “Oggi sono più felice di te, perché ho Gesù nel mio cuore”. E insieme si misero a recitare il santo Rosario. A notte salutò Lucia, dandosi un arrivederci in Cielo. Poi disse alla madre: “Guarda, mamma, che bella luce là, vicino alla porta!… Adesso non la vedo più…”. Il suo volto si illuminò di un sorriso angelico e, senza agonia, senza contrazione, senza un gemito, spirò dolcemente erano le 10 di sera. Ancora non aveva 11 anni.
Messaggero di preghiera e penitenza-. Lucia descrive Francesco come un bambino vivace, ma non capriccioso, aveva un carattere pacifico; nei giochi, se sorgeva qualche discussione, lui cedeva senza resistere; era di poche parole e anche per fare la sua preghiera e offrire sacrifici gli piaceva nascondersi perfino dalla sorella e da Lucia. Quando andava a scuola, arrivando a Fatima, gli piaceva restare in chiesa “vicino a Gesù”, come egli diceva: “Per me non vale la pena di imparare a leggere, fra poco vado in Cielo. Quando torni da scuola vieni a chiamarmi”. Francesco Marto non fu solo l’ambasciatore di un invito alla preghiera e penitenza, ma con tutte le forze si sforzò di incarnare nella sua vita tale messaggio, che proclamò al mondo più con le opere che con le parole. Non perdeva nessuna occasione per unirsi alla Passione di Cristo e così cooperare alla salvezza delle anime, alla pace nel mondo e alla crescita della Chiesa. L’altra pietra miliare del suo apostolato fu la preghiera: sentì che la sua missione era di pregare incessantemente secondo le intenzioni della Madonna. Nutrì una speciale devozione all’Eucarestia e trascorreva molto tempo in chiesa ad adorare il Santissimo Sacramento, che chiamava “Gesù nascosto”. Ogni giorno recitava i quindici misteri del S. Rosario e spesso ne aggiungeva altri per soddisfare i desideri della Vergine.Quando il pastorello prese ad andare a scuola a volte diceva a Lucia: «Senti, tu va’ a scuola. Io resto qui, in chiesa, vicino a Gesù nascosto. Per me non vale la pena di imparare a leggere; fra poco vado in Cielo. Quando torni, vieni a chiamarmi» . Allora si metteva vicino al Tabernacolo e, interrogato su cosa facesse tutte quelle ore, egli affermava: «Io guardo Lui e Lui guarda me».Pregava per consolare Dio, per onorare la Madre del Signore, per suffragare le anime del Purgatorio, per sostenere il Sommo Pontefice nella sua missione di pastore universale; pregava per le necessità del mondo sconvolto dall’odio e dal peccato. Era la primavera del 1916 quando l’Angelo del Portogallo (così si identificò) comparve ai pastorelli, anticipando l’arrivo di Nostra Signora di Fatima. Lucia e Giacinta (come accadrà anche con la Madonna), potevano vedere e sentire; la prima poteva anche colloquiare, mentre Francesco vedeva soltanto. L’Angelo, che portò l’Eucaristia e li comunicò, per tre volte pregò: «Mio Dio! Io credo, adoro, spero e Vi amo. Vi chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano». Poi disse: «Pregate così. I Cuori di Gesù e di Maria stanno attenti alla voce delle vostre suppliche».
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Francesco aveva un carattere mite, umile, paziente. Nel gioco accettava la sconfitta benevolmente e tendeva ad isolarsi, non si dava cura e pensiero se veniva emarginato. Era sempre sorridente, gentile, condiscendente. Quando qualcuno si ostinava a negargli i suoi diritti di vincitore, si piegava senza resistere: «Credi di aver vinto tu?! E va bene! A me non me n’importa!» e se qualcuno degli altri bambini insisteva nel togliergli qualcosa che gli apparteneva, diceva: “Fa’ pure… a me che me n’importa?!”». E davvero nulla gli importava, se non le realtà celesti. Amava il silenzio e non mancava occasione per mortificarsi con atti di eroismo. Dopo il pascolo, la sera, Francesco e Giacinta andavano nell’aia della famiglia di Lucia per giocare e, insieme, aspettavano che la Madonna e gli Angeli accendessero le loro «lucerne», così definivano la luna e le stelle, e allora Francesco si animava nel contarle, ma nulla lo entusiasmava di più che l’osservare il sorgere e il tramontare del sole, che identificava come la lucerna del Signore, mentre Giacinta amava maggiormente quella della Madonna. La sensibilità di animo di Francesco e di Giacinta, che traspariva dalla naturalezza dei loro gesti, con le apparizioni, raggiunse un livello di straordinario misticismo: la grazia corrisposta diede vita ad altezze di virtù. Quella di Francesco fu anima di profonda preghiera. Mentre Giacinta faceva penitenze per salvare anime peccatrici dall’Inferno, Francesco pensava a consolare il Signore e la Madonna. Ricordando la promessa di Maria Vergine, della quale aveva sempre un’immensa nostalgia, di portarlo presto in Cielo con Giacinta, gioiva dicendo: «lassù almeno potrò meglio consolare il Cuore di Gesù e di Nostra Signora». La fama di santità, già goduta in vita, si consolidò e si accrebbe dopo la sua morte; molti fedeli e devoti, dopo averlo invocato, dichiaravano di essere stati esauditi. Il 13 maggio 1989 (72° anniversario di Fatima) il Papa proclamò l’eroicità delle virtù di Francesco e Giacinta e successivamente approvò e promulgò l’autenticità di un miracolo attribuito alla loro intercessione. Infine, Giovanni Paolo II li ha proclamati Beati, proprio a Fatima, luogo delle apparizioni. a cura di Ornella Felici
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