Da quel giorno di febbraio invece, dopo un periodo di qualche mese a Castelgandolfo, la salute del Papa emerito è andata migliorando e stabilizzandosi. Chi lo conosce da vicino dice che “non potrà più tornare a giocare a pallone” ma che, per il resto, sta benissimo. In effetti Papa Benedetto sembra avere, oltre agli acciacchi dell’età, solo problemi alle gambe. Mantiene un’assoluta lucidità mentale che usa per leggere, studiare, seguire la corrispondenza ma non per scrivere libri: altrimenti, sembra dica scherzando, avrei continuato a fare il Papa. Insieme a Georg Gänswein e a quattro Memores Domini (le suore laiche di Comunione e Liberazione) conduce una vita tranquilla, quella che ogni pensionato sogna. Diversamente da come lo presenta la stampa, non fa vita da monaco. L’equivoco probabilmente nasce perché è andato a vivere in una casa interna al Vaticano di nome “Monastero Mater Ecclesiae”. L’edificio, fatto costruire da Giovanni Paolo II, effettivamente svolse compiti di monastero a partire dagli anni ’90. Il predecessore di Ratzinger, che si rendeva conto della corruzione del Vaticano e della chiesa, volle che un gruppo monastico di suore vivesse accanto a lui. Si alternarono, a periodi di cinque anni, prima le clarisse, poi le carmelitane, poi le benedettine, poi le visitandine.
Quando nell’estate 2012 Papa Benedetto confidò a un ristrettissimo numero di collaboratori la sua decisione di lasciare il pontificato, si iniziarono i lavori di ristrutturazione necessari per consentire a lui e alla sua “famiglia” di vivere lì. Da allora il Papa emerito celebra per loro, lì, la mattina, la Messa in latino con le letture in italiano e prosegue poi la giornata nel modo tranquillo che tutti gli anziani vorrebbero. Preghiera e lavoro, sì, ma anche qualche passo per il giardino, poche visite e un po’ di Mozart. I rapporti con Papa Francesco sono ottimi, quelli che si hanno con “un nonno” (anche se per la verità Francesco ha solo nove anni meno di Benedetto).
Il mio racconto c’entra col Giubileo della misericordia perché le “periferie esistenziali” della grandissima parte di noi, cioè della gente qualsiasi, sono gli anziani, i nonni per chi ha la fortuna di averli. I nonni sono il volto della pazienza, della saggezza, della prudenza e dell’amore gratuito, quello pieno di “vizi”. I nonni sono il sacramento dell’unità e dell’amore che dovrebbero essere le due gambe su cui si regge la famiglia e ogni relazione degna di questo nome. I nonni sono i depositari della liturgia della famiglia: le pastarelle la domenica, il cenone di magro a Natale, il presepe il 25, la busta con i soldi per i nipotini ormai grandi “così compri quello che ti piace”. I nonni sono la liturgia del tempo, i nonni hanno sempre tempo, sono sempre a casa. I nonni sanno solo attendere.
I nonni sono veri. Sono veri perché hanno tante storie da raccontare. Perché la vita di un ex ragazzo del 1900 è una storia per un nipote di oggi. Va bene, lo so, sto raccontando un mondo che non c’è. Lo so anch’io che i nonni oggi sono anche diversi. Lavorano. Fanno sport. Fanno le vacanze più dei figli perché loro hanno una pensione sicura che glielo permette. Lo so. Ma so anche di quel mio amico che mi raccontava che la figlia di 3 anni, guardando una signora anziana, capelli bianchi, schiena curva, sorriso dolce, gli ha detto: io voglio una nonna così. Papa Francesco vuole un nonno così, un Papa Emerito così. Lo invita davanti nelle Messe importanti e poi va a prendere il the da lui e si scambiano gli auguri. E magari, io non lo so anche se “ne sono certo”, parla un po’con lui delle cose importanti e difficili quando è nei guai per davvero.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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