Il giudice Livatino, «martire della giustizia e della fede»

«Si è affermato, a partire della metà degli Anni ’60, che il magistrato possa e debba interpretare la norma scegliendo il significato che, a suo giudizio, meglio asseconda le trasformazioni della società. In realtà, il compito del magistrato è e rimane quello di applicare le leggi che la società si dà attraverso le proprie istituzioni. Il giudice non può e non deve essere un protagonista occulto dei cambiamenti sociali e politici. (…) L’indipendenza del giudice è anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta dentro e fuori delle mura del suo ufficio. Solo se il giudice realizza in sé stesso queste condizioni, la società può accettare ch’egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha». 

L’autore di queste affermazioni, fatte in una sua conferenza pubblica tenuta nell’aprile 1984, è

Rosario Livatino, ucciso per mano mafiosa il 21 settembre di 25 anni fa, mentre si recava al lavoro sulla strada per Agrigento: tre anni dopo S. Giovanni Paolo II incontrò i suoi genitori durante un viaggio apostolico in Sicilia, poco prima del memorabile e duro invito alla conversione rivolto agli «uomini della mafia», nella Valle dei Templi, e nella circostanza definì quel magistrato «martire della giustizia e indirettamente della fede». Nell’aprile 1986 Livatino svolgerà un’altra conferenza, sul rapporto fra fede e diritto: «Decidere è scegliere», è uno dei passaggi della sua relazione, «e a volte scegliere fra numerose cose o strade o soluzioni; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione. Nella consapevolezza che per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta».

Di Rosario Livatino si parlerà in un convegno organizzato dal Centro studi che – alla sua prima uscitapubblica – ha scelto di intitolarsi a lui. Nell’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari alla Camera venerdì 18 settembre, con inizio alle 15 (ingresso previa registrazione a cerimoniale.adesioni@camera.it da via Campo Marzio entro le 14.30), vi saranno anzitutto i saluti del presidente del Senato Pietro Grasso, del ministro della Giustizia Orlando, della presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e del questore della Camera Stefano Dambruoso. Quindi svolgeranno relazioni il procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Lo Voi, il presidente di sezione della Cassazione Mario Cicala, il prof. Mauro Ronco, ordinario di diritto penale a Padova, don Giuseppe Livatino, cugino e postulatore della causa di beatificazione del magistrato, e monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale. Coordineranno i giudici Alfredo Mantovano e Domenico Airoma e il prof. Filippo Vari, tutti e tre vicepresidenti del Centro Studi. 

Di Livatino Lo Voi tratterà il profilo di eccezionale professionalità, Cicala la coscienza di “essere”giudice prima che di “fare” il giudice, e quindi la coerenza con l’etica, Ronco l’incidenza della fede nel suo lavoro quotidiano, monsignor Pennisi l’affidamento totale alla volontà di Dio, attestato – fra l’altro – dalle tre lettere che adoperava su ogni suo scritto “S.T.D.”, sub tutela Dei. Il convegno costituisce l’occasione per presentare pubblicamente il Centro studi Livatino, che si propone – come ha già iniziato a fare – di approfondire le tematiche di vita e famiglia in un quadro di riferimento costituito dal diritto naturale.


Redazione Papaboys (Fonte www.lanuovabq.it/ Walter Santi)

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