Marco Guerra – Città del Vaticano
Non si placa l’escalation di combattimenti nel nord-ovest della Siria, tra l’esercito governativo siriano e le truppe della Turchia che sostengono le ultime roccaforti dei ribelli nella provincia di Idlib. Dopo il raid aereo di ieri costato la vita a 33 soldati di Ankara, oggi il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha riferito di una violenta rappresaglia con cui sono stati “neutralizzati”, cioè uccisi o feriti, 329 soldati di Damasco e colpiti oltre 200 obiettivi nemici, tra cui 5 elicotteri, 23 tank, 10 mezzi armati e numerosi depositi e armi.
La comunità internazionale, l’Unione Europea e in particolare i partner Nato della Turchia, come Germania e Stati Uniti, ora chiedono a gran voce una de-escalation del conflitto. Il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg ha espresso piena solidarietà alla Turchia e ha chiesto al governo siriano di fermare l’offensiva e di tornare al cessate il fuoco. E le pressioni della Turchia sulle diplomazie straniere fanno leva anche sul fronte umanitario. “La comunità internazionale deve agire per proteggere i civili e imporre una no-fly zone” altrimenti sarà un “genocidio” ad Idlib, scrive su Twitter il capo della comunicazione della presidenza turca.
Il ministro degli Esteri turco paventa anche un maggiore flusso di migranti siriani verso i confini dell’Europa in caso di peggioramento della crisi. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) sono 950mila i civili siriani sfollati nella regione nord-occidentale di Idlib. Di questi 569mila sono minori e 195mila sono donne. Donne e bambini compongono l’81% dell’intera comunità di sfollati siriani a Idlib.
Intanto proseguono i colloqui ad Ankara tra le delegazioni militari e diplomatiche di Turchia e Russia sulla crisi a Idlib. I rispettivi presidenti Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin hanno discusso in una telefonata stamani dell’escalation militare. La Turchia prova a rinsaldare l’amicizia con la Russia, insistendo per il rispetto dell’accordo di Sochi, ma Mosca non intende ritirare il proprio sostegno a Damasco contro quelli che definisce “terroristi ribelli”, tra cui diversi gruppi jihadisti che si sono rifugiati nel territorio di Idlib.
Riguardo alla situazione nel nord della Siria abbiamo intervistato l’arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo, monsignor Boutros Marayati, il quale ha riferito che nella sua città non arrivano molti profughi provenienti dalla provincia di Idlib, interessata dall’offensiva, ma solo le persone che hanno parenti ad Aleppo. Tuttavia nella seconda città siriana resta l’emergenza umanitaria legata alla “mancanza di elettricità, gasolio, medicine” e beni di prima necessità. Anche gli aiuti che arrivano solitamente dal Libano sono più scarsi, a seguito della crisi economica che attanaglia il Paese dei Cedri, fa sapere ancora il presule.
In merito all’evolversi del conflitto, monsignor Boutros Marayati ha confermato che si parla di un’avanzata dell’esercito siriano verso Idlib e che le truppe di Damasco hanno riconquistato molti territori sotto il controllo dei ribelli jihadisti. “Ad Aleppo si percepisce l’allontanamento del fronte dei combattimenti – aggiunge – perché da due settimane non cadono più bombe sulla città”, ma la guerra “purtroppo non è finita ad Idlib”.
Monsignor Marayati crede sia possibile ricostruire il mosaico della convivenza tra etnie e religioni della Siria, ma ritiene che siano necessari il ritiro dell’embargo internazionale, che affama il popolo, la riapertura delle ambasciate dei Paesi occidentali per monitorare sul processo di pace. Infine un pensiero sull’inizio della Quaresima in Siria. L’arcivescovo invita il popolo, già provato da stenti e privazioni, a vivere la preparazione alla Pasqua con le parole di Cristo “non abbiate paura”.
Credito: Vatican News
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