Giorgio Napolitano ha firmato la lettera di dimissioni e lascia, dunque, il Quirinale dopo quasi nove anni di mandato. Le dimissioni sono state lette in Aula alla Camera dalla presidente Laura Boldrini ed è partito un lungo applauso e una standing ovation dai banchi della maggioranza.
Ora si apre ufficialmente la corsa al suo successore, mentre il presidente del Senato Piero Grasso – che si è appena spostato da Palazzo Madama a Palazzo Giustiniani, che diventa sede della presidenza – svolgerà per il tempo necessario le funzioni di capo dello Stato. Matteo Renzi, intanto, stringe i tempi sulla successione.
“Ragionevolmente a fine mese – dice a margine della presentazione di un libro – avremo il prossimo presidente della Repubblica”. E avverte, dopo quanto accaduto prima della rielezione di Napolitano, questa volta “non possiamo fallire“. Renzi ribadisce di non voler parlare di nomi ma di un profilo. “E’ ridicolo per le istituzioni discutere sui nomi. Dobbiamo discutere il profilo di un grande arbitro che aiuti il Paese a crescere. Il prossimo presidente deve avere le caratteristiche costituzionali che chiamano i gruppi dirigenti di tutti i partiti a una scelta di grande responsabilità”
Il premier ha salutato Napolitano twittando #GraziePresidente.
Il Papa ha espresso a Napolitano “sincera stima e vivo apprezzamento per il suo generoso ed esemplare servizio alla Nazione italiana”, svolto “con autorevolezza, fedeltà e instancabile dedizione al bene comune”
UNO SGUARDO SUI 9 ANNI (A cura di Roma Sette)
Nei 9 anni del suo mandato Giorgio Napolitano ha affrontato in modo costante molti temi: dall’unico messaggio alle Camere dedicato al carcere alla disabilità; dai morti sul lavoro al diritto alla cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri
Il carcere e l’intollerabile sovraffollamento nelle celle, le morti sul lavoro e l’invito più volte ripetuto a non considerarle come una inevitabile fatalità, l’attenzione alle persone con disabilità e il richiamo costante alla tutela e al rispetto dei loro diritti. Ma anche la povertà, l’infanzia, il servizio civile, la scuola, e con essi alcuni temi più controversi, come la cittadinanza automatica ai bambini nati in Italia da genitori stranieri o la legislazione sui temi bioetici e del fine vita in particolare. Sono stati anni (quasi nove, otto anni e otto mesi) di grande attenzione ai temi sociali quelli del doppio mandato, da presidente della Repubblica, di Giorgio Napolitano. Non un’attenzione sporadica e generica, ma una vera e propria strategia di attenzione, di ascolto, di intervento, anche concreto, significato fin dal principio con la creazione al Quirinale di un “Ufficio per la coesione sociale”.
Un solo messaggio alle camere: sul carcere. In nove anni di presidenza, Giorgio Napolitano ha sfruttato solamente in una circostanza uno dei poteri indicati dalla Costituzione (art.87), quello di inviare dei messaggi alle Camere. Una possibilità che nella storia repubblicana aveva avuto nove precedenti (un messaggio a testa per Segni, Leone, Scalfaro e Ciampi; cinque messaggi per Cossiga) ma che mai aveva riguardato in modo esplicito un argomento di stretto profilo sociale. Se in passato gli inquilini del Quirinale avevano richiamato l’attenzione del Parlamento su temi come la giustizia, le funzioni del Csm, l’elezione dei membri della Corte Costituzionale, le riforme istituzionali, il pluralismo dell’informazione, Napolitano firma (era l’ottobre 2013) un intervento molto netto sul carcere, e in particolare sulla necessità di «porre rimedio al sovraffollamento» degli istituti di pena. Un intervento che segue la condanna sul tema inflitta all’Italia dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che «rappresenta la mortificante conferma della perdurante incapacità del sistema italiano di garantire i diritti elementari e la sollecitazione pressante ad imboccare una strada efficace». Una situazione «drammatica» per risolvere la quale occorre «ricorrere a pene alternative», diceva Napolitano, e anche se per arrivarci «la via maestra è il rapido iter delle sentenze», è bene valutare anche «rimedi straordinari», e cioè «indulto e amnistia». Che, per inciso, il Parlamento decise poi di non adottare.
«Basta morti sul lavoro!». Al di là dei messaggi istituzionali, Napolitano fa sentire la propria voce nella miriade di interventi, discorsi e incontri che segnano la sua vita quotidiana da Capo dello Stato. E dimostra nel tempo non solo di affrontare con cognizione alcuni importanti temi, ma anche di seguirli nel loro divenire, ripetendo e ribadendo concetti da lui ritenuti fondamentali. Come il senso «di indignazione e di dolore» di fronte allo «sconvolgente succedersi degli incidenti sul lavoro e soprattutto di quelli mortali». Napolitano ne parla in innumerevoli circostanze, consegna “Stelle al merito del lavoro alla memoria” a molti parenti delle vittime, decide fin dal 2008 di onorare quei caduti recandosi ogni Primo Maggio davanti alla sede Inail di Roma per un omaggio davanti al monumento ai caduti sul lavoro. «Se ho di frequente preso la parola in proposito – diceva già sette anni fa – è perché ho ogni volta sentito personalmente indignazione e dolore, pena e solidarietà per i famigliari delle vittime, volontà di reagire, di fermare una tragica catena di morte. Anche solo una vita persa è una perdita irreparabile ed una sconfitta per noi tutti: basta! Non può continuare così, non ci si può rassegnare a queste morti come ad una inevitabile fatalità».
L’emarginazione come priorità politica. Emarginazione e povertà vengono ricordate in moltissime occasioni. Napolitano afferma che «la lotta alla povertà e all’esclusione» devono diventare «una grande priorità politica e civile», anche per fare in modo che «i gravi fenomeni della disoccupazione di lunga durata e le forme estreme di precarietà non si trasformino in esclusione sociale». E chiedeva – era il 2009 – «scelte politiche coraggiose e investimenti lungimiranti». Attenzione alta, su questo fronte, specialmente rispetto ai più piccoli: «Si deve compiere ogni sforzo – avrebbe detto tre anni dopo, nel 2012 – perché non venga meno la tutela delle famiglie più vulnerabili e venga sostenuto il ruolo centrale della scuola e dei servizi per l’infanzia, affinché siano in grado di fronteggiare con sempre maggiore efficacia tutte le situazioni di difficoltà ed emarginazione». Nella consapevolezza che «difendere i diritti dei bambini (e dunque contrastare abusi, prevaricazioni e condizioni di sfruttamento) significa non solo riconoscere anche ai più piccoli cittadini la loro dignità di persone ma anche salvaguardare il futuro civile del nostro Paese».
Un’attenzione piena per la disabilità. Per i disabili, la tappa al Quirinale dal presidente Napolitano diventa negli anni un appuntamento fisso di ogni 3 dicembre, giorno in cui si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità: dal Colle arriva un’attenzione piena e costante, che spazia sui grandi temi dei diritti e dell’inclusione ma che promuove anche iniziative concrete come gli stage di lavoro offerti proprio al Quirinale a ragazzi con disabilità intellettive e relazionali. Un’attenzione alla disabilità che non manca neppure nello sport, con Napolitano che puntualmente in occasione delle varie edizioni dei Giochi olimpici e paralimpici chiama al Quirinale tutti gli atleti, sottolineando così l’unità di tutto lo sport italiano. «Avete onorato il Paese, mi avete ringiovanito», diceva agli azzurri medagliati di Londra 2012, invocando «pari dignità» per le Paralimpiadi e sottolineando la «grande lezione di vita» che era arrivata dagli atleti protagonisti di «storie personali di eccezionale passione e sacrificio».
Il sostegno al servizio civile. Il Capo dello Stato – che secondo Costituzione è anche il capo delle Forze Armate – non ha mancato in questi anni di sottolineare anche il «vitale, prezioso e meritorio contributo offerto quotidianamente al Paese» dai giovani impegnati nel servizio civile, indicata nel 2010 come «una fra le realtà più ammirate a livello internazionale». Da lì in avanti ci sarebbero stati anni duri per quell’esperienza, con Napolitano che non ha mai mancato di chiedere «scelte organizzative» che garantissero il proseguimento dell’esperienza «pur nel generale contenimento delle risorse».
L’immigrazione e l’orgoglio per Mare nostrum. Innumerevoli in questi nove anni anche le circostanze in cui il presidente della Repubblica chiede di tutelare i diritti di tutti gli immigrati presenti in Italia, coniugando il necessario rispetto della legalità con l’accoglienza. In modo particolare verso rifugiati e minori non accompagnati, le categorie più fragili. Napolitano ha espresso più volte la convinzione che «la politica italiana e non solo italiana verso il fenomeno dell’immigrazione economica debba basarsi su due pilastri»: da una parte «la regolazione dell’immigrazione legale e la lotta contro l’immigrazione illegale» («non una politica delle porte spalancate, ma una politica di regolazione degli ingressi legali in raccordo alle possibilità e alle esigenze che presenta il mercato del lavoro in Italia»); dall’altra il riconoscimento del «diritto di chi fugge da situazioni di guerra o di persecuzione ad essere accolto in paesi in cui questi diritti fondamentali sono garantiti». E su questo non sono mancate parole nette per segnalare il fatto che «la mancanza di una politica comune europea per l’asilo e l’immigrazione è una carenza grave» nelle politiche europee. Parole molto nette, di recente, per esprimere l’orrore per le stragi nel Mediterraneo e l’orgoglio per i risultati raggiunti dall’operazione “Mare Nostrum”.
«Assurdo negare la cittadinanza a chi è nato in Italia». Controversa la presa di posizione sul tema della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri: «Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione», disse nel novembre 2011 in uno dei tanti interventi sul tema che hanno sempre suscitato reazioni contrapposte da parte della politica.
Esperienza vissuta anche sulle tematiche della bioetica: non solo la vicenda Englaro (sfociata in un vero e proprio scontro istituzionale fra Palazzo Chigi e Quirinale quando Napolitano rifiutò di controfirmare il decreto legge sul tema approvato dal governo Berlusconi), fino più di recente ai richiami al Parlamento a legiferare perché «il silenzio osservato negli ultimi tempi non può costituire un atteggiamento soddisfacente rispetto a problemi la cui complessità e acutezza continua a essere largamente avvertita». Fonte: RomaSette