Papa Francesco: il Signore ci riempia di pentimento per i peccati commessi
Barbara Castelli – Città del Vaticano
“Dio di misericordia” donaci “il coraggio di dire la verità e la sapienza per riconoscere dove abbiamo peccato”, “riempici di pentimento sincero e donaci il perdono e la pace”. Con queste parole Papa Francesco introduce la celebrazione penitenziale, a conclusione della terza giornata dell’Incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”. Uno dei momenti più toccanti nella sala Regia, è la testimonianza di una vittima di abuso, “l’umiliazione più grande”, precisa, “che un individuo possa subire”. Ai presenti l’uomo latinoamericano chiarisce la “solitudine” a cui sono condannati i sopravvissuti, che, senza volerlo, si trovano a vivere “due vite”. Chi subisce una violenza, spiega, è costretto a vivere con “un fantasma”: non “c’è sogno senza ricordi di ciò che è successo”, “nessun giorno senza rievocazioni (flashback)”.
I tentativi di ritornare al sé più vero, e partecipare al mondo “precedente”, come prima dell’abuso, sono altrettanto dolorosi dell’abuso in sé. Si vive sempre in due mondi allo stesso tempo. Vorrei che gli aggressori potessero comprendere di creare questa scissione nelle vittime. Per il resto della nostra vita.
Dopo la testimonianza della vittima, il Pontefice introduce l’esame di coscienza, richiamando i tre giorni appena trascorsi.
“Abbiamo bisogno di esaminare dove si rendono necessarie azioni concrete per le Chiese locali, per i membri delle Conferenze Episcopali, per noi stessi. Ciò richiede di guardare sinceramente alle situazioni creatasi nei nostri Paesi e alle nostre stesse azioni”.
La celebrazione segue con la confessione delle colpe:
“Chiediamo la grazia di superare l’ingiustizia e di praticare la giustizia verso le persone affidate alle nostre cure”.
L’allocuzione, invece, prima della testimonianza, la pronuncia mons. Philip Naameh, arcivescovo di Tamale e presidente della Conferenza episcopale del Ghana, che traccia un parallelismo tra la situazione che oggi la Chiesa si trova ad affrontare e la parabola del Figlio prodigo. Abbiamo “tradito la fiducia che era stata riposta in noi”, rimarca, “abbiamo distrutto la speranza e la gente è stata brutalmente violata nel corpo e nello spirito”. Il passo evangelico, prosegue il presule, raccontato spesso, divenuto quasi un’abitudine “nelle nostre congregazioni e nelle nostre comunità”, dovremmo applicarlo a noi stessi, “figli prodighi”. “Proprio come il figlio prodigo del Vangelo”, aggiunge, “abbiamo chiesto la nostra parte dell’eredità, l’abbiamo ricevuta e ora la stiamo sperperando con impegno”. L’arcivescovo di Tamale riconosce che pur avendo ricevuto “la gestione dei beni della salvezza”, troppo spesso i fratelli nell’episcopato sono “stati fermi”, guardando dall’altra parte per evitare conflitti, “troppo compiaciuti” per confrontarsi con “il lato oscuro della Chiesa”.
Abbiamo perciò tradito la fiducia che era stata riposta in noi, in particolare riguardo all’abuso nell’ambito della responsabilità della Chiesa, che è sostanzialmente la nostra responsabilità. Non abbiamo garantito alle persone la protezione a cui hanno diritto, abbiamo distrutto la speranza e la gente è stata brutalmente violata nel corpo e nello spirito.
“Il figlio prodigo del Vangelo perde tutto”, insiste mons. Philip Naameh, così non deve stupire se oggi “la gente parla male di noi, se c’è sfiducia nei nostri confronti, se alcuni minacciano di ritirare il loro sostegno materiale”.
Non dobbiamo lamentarcene; piuttosto, chiederci cosa dovremmo fare in modo diverso. Nessuno si può esimere, nessuno può dire: ma io personalmente non ho fatto niente di male. Noi siamo fratelli (nell’episcopato) e non siamo responsabili solo di noi stessi, ma anche per ciascun altro membro della nostra fratellanza e per la fratellanza in sé stessa.
E’ grazie all’umiltà che la “situazione cambia” nella vita del figlio prodigo, parimenti la Chiesa è chiamata oggi ad assumersi le proprie responsabilità, a rendere conto di quello che succede in modo trasparente. La strada da percorre è lunga “per attuare veramente tutto questo in maniera sostenibile e appropriata”, conclude il presidente della Conferenza episcopale del Ghana, “l’Incontro attuale è stato soltanto un passo di tanti”: “non crediamo che solo perché abbiamo iniziato a scambiare qualcosa tra di noi, tutte le difficoltà siano eliminate”.
E come per il figlio del Vangelo che ritorna a casa, non tutto è risolto – quanto meno, dovrà riconquistare suo fratello. Noi dovremo fare la stessa cosa: dobbiamo riconquistare i nostri fratelli e sorelle nelle congregazioni e nelle comunità, riconquistare la loro fiducia e ri-ottenere la loro disponibilità a collaborare con noi, per stabilire insieme il Regno di Dio.
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