Riassumiamo la testimonianza di un canadese che una decina di anni fa, per un anno, ha fatto parte della setta di derivazione induista Self-Realization Fellowship (SRF) – o Comunità dell’autorealizzazione – fondata dal guru Paramahansa Yogananda.
È molto interessante, perché fa notare l’incompatibilità di questo movimento orientale (e delle sue dottrine e pratiche) con il cristianesimo, nonostante i suoi adepti vogliano far credere il contrario.
Ci sono stati in realtà diversi tentativi di penetrazione delle sue attività in ambienti cattolici, come successo nel marzo 2015 in un istituto religioso di Madrid attraverso una conferenza che però – in seguito agli avvertimenti della Rete IberoAmericana di Studi sulle Sette – non si è tenuta.
L’incontro con una nuova dottrina
Sono cresciuto insieme a una madre nominalmente cattolica (mio padre era assente perché i miei erano divorziati). Dopo aver ricevuto il sacramento della Cresima a 13 anni, ho smesso di andare in chiesa (una parrocchia abbastanza liberale in merito alle questioni liturgiche, come molte altre in Canada).
Al liceo il mio unico obiettivo era quello di farmi amici a tutti i costi, e ho così buttato molti anni della mia vita bevendo e assumendo droghe.
Mi sono poi trasferito in un’altra città, dove viveva mio padre, per ripartire da zero e concludere i corsi che mi mancavano. Ho finito tutto con ottimi voti, ma la cosa più importante è stata che non avevo intorno cattive amicizie e avevo molto tempo per me stesso.
Ho quindi iniziato a tenere un diario personale e a riflettere sulla natura della realtà e della percezione. Ho letto molti libri di scienza.
Un bel giorno una delle mie insegnanti, percependo in me una qualche sensibilità spirituale, mi ha regalato un libro di preghiere. Erano citazioni prese dalle opere di Paramahansa Yogananda.
Mi hanno fatto bene all’anima: lui – pensavo io – diceva cose sensate, benché molto semplici. Inoltre citava spesso il Nuovo Testamento (diventando ancora più credibile, dato che inconsciamente collegavo la sua figura all’autorità religiosa della mia seppur tortuosa infanzia) ma citava anche molto il Bhagavad-gītā, dando ai suoi testi un tocco di esotismo (che io ho apprezzato, dato che non mi fidavo delle autorità tradizionali).
Uno yoga “speciale”
Un giorno ho trovato l’autobiografía dello swami Paramahansa Yogananda. L’ho acquistata, l’ho letta e l’ho passata ad un amico. Abbiamo quindi deciso di unirci all’organizzazione, diventando entrambi dei discepoli.
Ho iniziato a ricevere su base regolare delle lettere con gli insegnamenti del fondatore. Mi istruivano su come fare kriya yoga, che secondo loro è la forma più avanzata e reale di fare yoga.
E non si trattava di mero contorsionismo fisico. L’unica posizione che dovevo adottare era quella che mi permetteva di meditare profondamente.
I miei mentori mi hanno espressamente chiesto di non parlare del contenuto di quelle lettere con altre persone, perché lo avrebbero potuto fraintendere. Il settarismo e l’alone di segretezza preoccupavano i miei genitori.
Il kriya yoga è diverso dalla meditazione intesa in senso cristiana. Si trattava di concentrare l’attenzione sul ‘mistero alla base di tutti gli altri’ svuotando la mente delle cose superflue per godere di ciò che è al di là del bene e del male. Guidandomi verso l’estasi, verso la beatitudine, verso un’espressione di Dio che “permea” l’universo.
Mi insegnavano anche delle tecniche di respirazione. Da quando ho adottato queste pratiche fino ad oggi (nonostante sia passato molto tempo dal giorno in cui ho smesso di seguirle) ho difficoltà a respirare di notte.
Credo che sia una sorta di apnea del sonno, ma finora è stato difficile fare dei trattamenti medici. Le due cose non sono necessariamente collegate, ma la coincidenza è sorprendente.
Qualche anno fa ho letto in un blog che le tecniche di respirazione proposte non sono altro che dei modi per privare il cervello dell’ossigeno per dare alla mente la sensazione di praticare un’intensa meditazione.
Meditavo seduto su un cuscino. Una o due volte ho avuto la sensazione di levitare, o perlomeno di non sentire nulla sotto di me.
Concentravo la mia attenzione sul “terzo occhio”… dopo cinque o dieci minuti di meditazione sentivo come se tutto il mio corpo, a partire da questo “punto cardinale”, si riempisse di luce. È difficile spiegarlo.
La sala di meditazione del SRF della mia città era sobria, semplice e amena. Al centro vi era una sorta di altare con sei immagini: i sei “santi” dell’organizzazione.
Al centro vi erano Gesù e Krishna; a sinistra Lahiri Mahasaya e il suo maestro Mahavatar Babaji.
Nella sua autobiografia Yogananda sostiene che quest’ultimo sarebbe quasi come un dio, che avrebbe vissuto più di mille anni sulla terra e che si troverebbe ancora oggi in una grotta dell’Himalaya. Sarebbe molto potente nel mondo soprannaturale, avendo persino il potere sulla vita e sulla morte.
A destra c’era il fondatore Yogananda e il suo maestro Swami Sri Yukteswar, risorto dai morti.
Per quanto riguarda Gesù Cristo, si parlava molto di lui ma quando veniva citato era in riferimento ad alcuni versetti che interpretavano a modo loro.
Yogananda sostiene ad esempio che in Matteo 6:22, il Signore si riferisca al “terzo occhio” che incontriamo in molte espressioni religiose orientali. Questo è uno dei tanti esempi che si potrebbero fare per spiegare in che modo Yogananda parlasse di Cristo ai propri discepoli, ritenendo addirittura di conoscerlo più dei cristiani.
Questi ultimi avrebbero usurpato gli insegnamenti di Gesù, facendo di Lui una mente piccola, una persona chiusa, un dogmatico.
Gesù sarebbe andato in India, dove avrebbe raggiunto la auto-realizzazione (la stessa che la setta promette agli adepti, cioè la perfetta comprensione di se stessi), per poi insegnare la stessa filosofia in Palestina. In questo modo – sostiene la SRF – si può raggiungere la perfezione.
Oltre a questo, un altro concetto di Cristo abbondantemente utilizzato da loro era quello della “coscienza di Cristo “.
Ricordo che, durante un ritiro a Washington, cantavamo insieme: “Oh mio Cristo, Gesù Cristo, vieni, Cristo”. Non stavamo invocando il Gesù Cristo dei cristiani. La chiamavamo “coscienza di Cristo”, cioè la mente di Dio che permea l’universo.
Si potrebbe dire che la teologia della SRF è in parte panteista e, in un certo senso, adozionista, dato che quest’uomo di nome Gesù avrebbe ricevuto – o, meglio, raggiunto pienamente – questa coscienza cristica, facendosi uno con essa, diventando perfetto.
Ogni uomo potrebbe dunque raggiungere ciò che ha raggiunto Cristo; la Sua natura non sarebbe superiore alla nostra, ma Egli sarebbe semplicemente un essere perfettamente illuminato. Anche gli uomini dovrebbero dunque tendere verso questa conoscenza.
Nella sua autobiografia Yogananda sostiene, sulla base di Matteo 17:11-13, che Gesù e Giovanni Battista siano la reincarnazione di Eliseo e di Elia, a ruoli inversi (il maestro, nella sua seconda venuta, si sarebbe fatto discepolo mentre colui che prima era discepolo si sarebbe fatto maestro).
Come si può notare, interpretando alcuni testi biblici in un modo talmente singolare, si arriva a sostenere questa teologia ma non senza fare violenza al resto della rivelazione divina.
Gradualmente ho perso interesse nel gruppo. Deluso e scoraggiato, sapevo dell’esistenza di Dio (dato che la SRF parlava di un Dio personale) e che riuscire a conoscerlo fosse lo scopo principale della vita.
Sapevo anche che era un giusto e che si sarebbe potuto vendicare di me, ma io comunque non avevo la forza per superare i miei atteggiamenti sbagliati.
È capitato che un mio amico, anch’egli coinvolto nelle filosofie orientali, si è convertito al cristianesimo in seguito a un miracolo ricevuto.
Dopo essersi convertito il mio amico ha cambiato stile di vita e ha manifestato una gioia e uno zelo fuori dal comune e letteralmente contagiosi. Parlava con tranquillità di Gesù a tutti quelli che erano attorno a lui.
Mi ha incoraggiato affinché anche io cercassi Dio, ma lo ha fatto con umiltà e rispetto.
Non ho potuto fare a meno di notare la nuova felicità del mio amico, ma non volevo dargli ragione. Avrei dovuto ammettere di dovermi convertire al cristianesimo, una religione che non ha elementi “esotici”.
Ero molto orgoglioso e l’idea di diventare un “santo” alla maniera di Yogananda continuava ad affascinarmi. Volevo, in questo modo, essere diverso da tutti gli altri ragazzi del mio ambiente.
Il mio amico mi ha regalato un Nuovo Testamento tascabile. L’ho portato con me in un lungo viaggio con la mia famiglia.
Durante quel mese che ho trascorso viaggiando ho avuto molto tempo per leggere i Vangeli. Leggendoli mi sono reso conto che quel Gesù non era lo stesso della SRF.
Mi sono reso conto di aver davvero bisogno di convertirmi. Gesù parlava di inferno, della grande miseria dell’uomo; in ogni parabola ho trovato una forte sensazione di urgenza, perché ognuno di noi corre un grave pericolo: nessuno di chi rifiuta di prendere la croce per seguire Lui può essere salvato.
Allo stesso tempo ho incontrato anche una tenerezza e un’affabilità mai sperimentate prima… tenerezza che – a differenza della limitata consolazione spirituale vissuta nella SRF – era accompagnata anche da un’autorità paterna, un’autenticità e una sincerità che possono venire soltanto da Dio.
Durante quel viaggio ho incontrato uno sconosciuto in un ristorante e abbiamo iniziato a parlare a lungo di Gesù.
Mi ha mostrato qualcosa di totalmente nuovo: grazia e misericordia. Non mi sarei potuto salvare con i miei sforzi. Avevo bisogno della grazia, del perdono, della misericordia. E l’unica cosa che avrei dovuto fare per ottenere tutto questo era…chiederlo. Non avrei mai potuto guadagnarlo con i miei sforzi.
Per tre anni sono andati con i protestanti. Sono diventato molto più fervente, allegro, fiducioso… ho conosciuto sempre di più Gesù.
Ho letto libri straordinari, oltre alla Bibbia (che ho comunque potuto conoscere molto più approfonditamente). Libri sulle storie moderne di “santi” protestanti (in Cina, in Romania), storie dipersecuzione, storie di conversione di musulmani.
Ho partecipato anche all’opera di evangelizzazione nel campus universitario. Nutrivo molto zelo per le anime, per le conversioni, per Gesù, per la predicazione. Volevo diventare un missionario.
Ma i miei peccati mi stavano trattenendo. Non riuscivo a vincerli. Ho provato a risolvere la cosa da me ma senza riuscirvi. Pensavo che solo un miracolo divino avrebbe potuto liberarmi dal peccato.
Non riuscivo a vincere i miei peccati, e volevo evangelizzare. Ma come avrei potuto evangelizzare se non ero santo? E poi a cosa avrei dovuto convertire le persone? Ad una filosofia? Ad una comunità cristiana locale? In tal caso a quale? Perché ve ne erano molte, ognuna con i propri vizi e le proprie virtù.
Il senso di inutilità della mia vita cristiana da protestante e la disperazione in cui vivevo mi hanno spinto a cercare delle soluzioni.Avevo bisogno di una Chiesa sola: quella di sempre. Ho quindi iniziato a cercarla.
E ho conosciuto dei cattolici che erano davvero pieni di Spirito Santo, qualcosa mai visto prima.
Questa religione di fariseismo, di ritualità vuota – questo era ciò che ci veniva insegnato nei circoli protestanti – rendeva sante le persone. E questo ha acceso in me una autentica curiosità.
Ho letto molto in siti web di apologetica. Ho letto citazioni dei santi Padri e le ho vagliate alla luce della mia ragione.
Mi sono infine convinto della necessità di ricevere i sacramenti, dopo aver scoperto la loro validità storica.
Avevo fame dell’Eucaristia, del perdono della Penitenza. Ma più di ogni altra cosa è stata la testimonianza d’amore di alcuni cattolici a darmi lo stimolo iniziale per intraprendere il cammino.
Redazione Papaboys (Fonte it.aleteia.org/
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Mettere il copyright su Dio è del tutto inutile. Proprio perché amo Gesù non mi sento di giudicare chi tenta di raggiungerlo con altre vie (e la meditazione a mio avviso può senza dubbio rientrare tra queste, per chi la ritenga più efficace per sè). Il percorso verso il divino è intimo e personale e riscopre nell'amore per gli altri la via privilegiata per essere degni suoi figli, prescindendo da qualsiasi appartenenza umana. Dio non abita le istituzioni, ma le persone che lo cercano con sincerità. Essere cattolici con questa convinzione profonda di rispetto e libertà non può che supportarci nel nostro cammino di fratellanza e di fede. Buona fortuna a tutti!
Paolo