La guarigione della piccola Chiara dalla leucemia è un vero trionfo del Cielo e di Medjugorje
Simona ha un drammatico passato familiare. La grave leucemia che colpisce la figlia più piccola e la rabbia che le sale contro il Cielo, nulla hanno potuto di fronte alla Mamma Celeste che l’ha scelta per condurla sulla strada d’amore di Suo Figlio Gesù, insieme a tutta la sua famiglia.
È la storia di un vero e proprio trionfo del Cuore Immacolato di Maria in una semplice famigliola di Roma, che però è passato attraverso una via ben precisa: la via della Croce, che Simona ha dovuto percorrere sino in fondo, prima di vedere la luce e di rinascere a vita nuova.
Era giugno del 2014. Un pomeriggio vado a prendere all’asilo Chiara, la mia terza figlia, e la maestra mi dice che la bambina ha un dolore forte al collo del piede e per tutto il giorno si è sempre e solo lamentata. Inizialmente penso ad una slogatura o ad una botta presa giocando, però, una volta tornati a casa, noto che Chiara è sempre più dolorante. La sera si accuccia chiedendomi di stringerle forte il piedino e la mattina seguente si sveglia urlando e piangendo: “Aiutatemi! Portatemi da un dottore!”
Andiamo subito all’ospedale Umberto I di Roma e i medici iniziano a fare su Chiara una serie si esami sempre più approfonditi, ma non riescono a formulare una diagnosi. Intanto Chiara sta sempre peggio, nel tempo ha perso la mobilità degli arti inferiori, che ciondolano come morti. Inoltre, nonostante i forti dolori, i dottori non le possono somministrare alcuna medicina, perché non vogliono alterare i risultati dei test in corso.
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Dopo circa cinque giorni di ricovero, il primario ci chiama e ci dice: “Io mi auguro che vostra figlia abbia una leucemia, in tal caso saprei come procedere. Altrimenti, con le analisi che ho in mano, io vi dovrei dimettere e mandare in mezzo ad una strada, perché non ho mai visto nulla di simile”. In pochi istanti, la mia vita viene completamente stravolta: mi trovo su un lettino di ospedale a sperare che mia figlia di tre anni, che credevo perfettamente sana, abbia la leucemia. E così accade: non fanno nemmeno in tempo ad estrarle il midollo che la diagnosi è palese. Nella tragedia, però, ci fu una prima grande grazia…
Nonostante ci trovassimo di fronte ad una leucemia che si era diffusa rapidamente e senza manifestare sintomi, tanto che si era nascosta persino agli esami del sangue, dai primi accertamenti si scoprì che non erano ancora stati compromessi gli organi vitali. L’oncologa ci disse che, se ci fossimo presentati un solo mese più tardi, la situazione sarebbe stata disastrosa. Da quel momento iniziò per noi un vero e proprio lockdown che durò due anni, il primo dei quali senza mai uscire dall’ospedale.
La mia reazione iniziale fu di ribellione e di totale rabbia, il dolore era davvero troppo grande, anche perché io ero già reduce da una situazione durissima che aveva coinvolto la mia famiglia d’origine e che mi aveva psicologicamente distrutto. Arrivai proprio ad arrabbiarmi con Dio e rimasi in questo stato per molto tempo.
Intanto bisogna dire una cosa: appena Chiara si ammalò, venni a sapere che un sacco di gente aveva iniziato a pregare, ad offrire Messe, a fare digiuni per lei.
Macché… io, in quel momento, ero quanto di più lontano da una vita di fede.
Un caro amico di mio marito che faceva parte di un gruppo mariano e, saputa la notizia, aveva iniziato a far pregare tutti per nostra figlia. La cosa non mi toccava particolarmente: se volevano pregare, che pregassero, mi dicevo. Ma non potevo sapere che quello era solo l’inizio…
Dopo un po’ di tempo mio marito iniziò a dirmi che, non appena i medici ci avessero dato il permesso, saremmo andati a Medjugorje: il gruppo di preghiera, infatti, voleva portare Chiara sul Krizevac (il monte di Medjugorje dove c’è la Croce Bianca, ndr). Tenga conto che, a quell’epoca, se io sentivo parlare di posti come Lourdes, Fatima o, appunto, Medjugorje, mi si rizzavano i capelli dal nervoso. Inoltre, Chiara stava ancora facendo i cicli di chemioterapia, quindi per me il problema non si poneva nemmeno: in pellegrinaggio non ci saremmo mai andati, punto.
Quando aprono le iscrizioni queste persone iniziano ad insistere fino a che arrivano persino a pagarci l’intero pellegrinaggio, viaggio compreso.
Prendo il telefono e chiamo subito quest’uomo, che al tempo viveva in un Paese lontano, e gli dico senza tanti giri di parole che a quel pellegrinaggio noi non ci saremmo mai andati.
Lui, con una pace disarmante e sorridendo, mi dice: “Simona, ma non sono io che ti invito, è la Madonna. Ci vediamo a Medjugorje”. Poi riappende il telefono. A quel punto io non ci vedo più dalla rabbia e dico a mio marito che solo delle persone irresponsabili possono pensare di portare una bambina di tre anni e mezzo, con la leucemia, in una terra sperduta, con le terapie da somministrare e il rischio grave di infezioni etc etc… Mi reco persino dalle oncologhe per farmi forza con il loro parere medico e invece…
Invece le oncologhe danno il loro benestare: la bambina – dicono – può partire per il pellegrinaggio a Medjugorje. Io non ci potevo credere.
Che la mia rabbia cresce ancora di più: ovunque andassi si parlava solo della Croce, di come accettare la Croce, di come amare la Croce. Chiara invece non la riconoscevo: faceva le chemio come se bevesse acqua fresca e saliva sui monti come uno stambecco, era davvero felice e spesso cantava. Solo tempo dopo, mi resi conto che, anche in me, era stato gettato un seme. Oggi posso dire che da quel pellegrinaggio la Madonna lavorò lentamente e instancabilmente dentro di me, senza mai sbagliare un colpo. Infatti da quel momento Medjugorje è diventata come una seconda casa, ci andiamo ogni anno, e la Madonna è diventata la vera Regina della nostra famiglia.
La Madonna ha avuto molta pazienza con me, è stato un cammino per piccoli passi, che dura ancora oggi. Comunque, ci sono stati due fatti determinanti. Il primo accadde qualche mese dopo il nostro rientro da Medjugorje, quando Chiara arrivò ad un passo dalla morte.
Dopo il primo anno di ospedale, Chiara inizia un secondo anno di chemioterapie a casa, con un reinserimento pilotato in società. Un giorno, nonostante sia apparentemente in forma, mi accorgo che ha 38 di febbre. Chiamo subito le oncologhe, le quali mi dicono di portarla in ospedale. Qui però occorre fare un passo indietro e raccontare un fatto importante, accaduto a Medjugorje.
Durante il pellegrinaggio, Chiara e mio marito Ambrogio vanno con un gruppetto di persone alla statua del Cristo Risorto, io invece rimango in albergo. La sera stessa, mentre guardiamo tutti insieme le foto della giornata, una signora del gruppo mi dice: “Caspita! Ma non hai visto sulla foto di tua figlia che cosa c’è?”.
Dopo un giorno intero di esami, l’oncologa mi dice che dobbiamo trattenerci anche per la notte. Io cerco di spiegarle che abitiamo vicini e che siamo abituati a fare avanti e indietro dall’ospedale. Ma l’oncologa mi blocca subito: “No, signora, questa volta non fareste in tempo a tornare indietro”. Io insisto per rincasare, ma a quel punto la dottoressa mi gela: “Signora, sua figlia sta morendo! Gli esami che ho davanti sono un disastro, tutti i valori di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine sono quasi a zero e la bambina potrebbe avere un’emorragia da un momento all’altro”. Gli esami sembrano indicare in modo univoco che la leucemia sia giunta ad uno stadio gravissimo e irreversibile. Io perdo completamente la testa, sento il mondo che mi crolla addosso e per la prima volta scoppio a piangere davanti a Chiara. A quel punto faccio una cosa che non ho mai fatto prima…
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Chiamo “il gruppo” e imploro preghiere per nostra figlia.
La mattina seguente, nonostante fosse il suo giorno di riposo, l’oncologa torna in ospedale per fare immediatamente a Chiara un esame del midollo. Nel frattempo la bambina aveva iniziato una cura di immunoglobuline che la faceva stare malissimo: non si reggeva in piedi, vomitava in continuazione e sembrava una larva nel suo lettino. Ebbene, finito l’esame del midollo, sento la dottoressa in corridoio che grida: “Signora, signora! L’Angelo ha salvato sua figlia!”. Inizialmente non capisco, anzi, rimango interdetta dal fatto che una simile dottoressa, tutta di un pezzo, mi parli in quel modo. Dopodiché vengo a sapere che mio marito, tempo addietro, le aveva mostrato la foto di Medjugorje, e così lei mi spiega: “Signora, mi creda, l’Angelo di quella foto ha salvato sua figlia perché gli esami del midollo sono perfetti”. Non vi era infatti nessun letale peggioramento della leucemia, solo una quinta malattia in fase acuta, che di lì a pochi giorni, guarì.
La seconda volta “l’angelo” lo incontro in farmacia.
Un giorno, quando Chiara era già in fase remissiva della malattia (ad oggi sono tre anni che la bambina sta bene, ndr), mi reco in farmacia perché Chiara ha mal di gola. Lì incontro un dottore il quale, dopo avermi spiegato quali medicine somministrare alla bambina, mi dice: “Infine mi raccomando, faccia la cosa più importante! Ci siamo capiti?”. Rimango molto perplessa. Poi vedo spuntare dal suo camice un rosario e, parlando, scopro della sua conversione avvenuta proprio a Medjugorje, tempo addietro. Mi stava chiedendo di pregare e, pregando, di affidarmi completamente alla Volontà di Dio.
Quell’uomo mi guardò e senza sapere praticamente nulla di me, della mia famiglia, della mia vita, mi disse: “Vostra figlia piccola si è ammalata, lei è l’altare, è la porta per la vostra conversione. Quello che vi sta succedendo è una grazia, è un dono per la vostra salvezza”. Queste parole furono per me come uno schiaffo, per un giorno intero rimasi come stordita, e allo stesso tempo sentii che toccarono profondamente il mio cuore. Era come se il mio cuore attendesse esattamente quelle parole. Mi creda, non so nemmeno io spiegare il perché, ma per la prima volta nella mia vita, da quel momento, iniziai a sentire dentro di me una profondissima gratitudine per tutto quello che ci era successo, per la nostra storia, per tutta la nostra vita.
(www.lanuovabq.it – Costanza Signorelli)
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