Categorie: Pax et Justitia

Il mistero della prigioniera americana dell’Isis. Casa Bianca: è propaganda

Con una nuova mossa a sorpresa, lo Stato islamico ha annunciato oggi la morte della donna americana che teneva in ostaggio, una cooperante. Ne ha per la prima volta rivelato anche il nome, Kayla Jean Mueller, fornendone anche l’indirizzo in Arizona.

Ma stavolta non ne ha rivendicato la responsabilità: la colpa, ha affermato, è della “fallita aviazione giordana”, che ha bombardato l’edifico dove era tenuta prigioniera, a Raqqa, nel Nord della Siria, “capitale” dello Stato islamico.

E soprattutto, questa volta non ne ha mostrato il corpo senza vita, e di certo non per pudore. Tanto che il Pentagono ha fatto sapere che “non ci sono prove” che la donna sia morta, mentre la Giordania ha sua volta affermato che si tratta di una trovata che ha a che fare con “la propaganda criminale” dello Stato islamico

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Anche diversi analisti parlano di un possibile “colpo di teatro” che sarebbe utile per l’Isis sotto diversi aspetti. Intanto, così i tagliagole dello Stato islamico potrebbero essersi liberati dal dubbio se mettere una donna a morte in maniera cruenta o meno.

L’Is ha in effetti già ucciso delle donne musulmane, ma mai ostaggi femminili, occidentali, e tantomeno ‘in diretta videò. Farlo, a parere degli esperti, potrebbe segnare una svolta radicale anche per un gruppo che ha fatto affidamento sulla propaganda sanguinosa per reclutare nuovi adepti. E addossando per una volta la colpa ad altri, i jihadisti potrebbero aver trovato anche un modo per fare un nuovo colpo “mediatico” dopo la serie di decapitazioni e la scioccante esecuzione del pilota giordano Muath al Kassasbe, bruciato vivo in una gabbia.


Del resto, anche i toni del proclama questa volta appaiono diversi. “La coalizione di criminali crociati ha bombardato oggi un sito alle porte della città di Raqqa, mentre i fedeli erano impegnati nella preghiera del venerdì”, hanno affermato i jihadisti, come a denunciare che i giordani uccidono i musulmani nel loro momento più sacro. “Gli assalti aerei sono continuati per oltre un’ora contro lo stesso luogo”. E alla fine il risultato è stato che “la fallita aviazione giordana ha ucciso un’americana tenuta in ostaggio”, mentre “nessun mujahid combattente) è rimasto ferito nel bombardamento e tutto il merito è dovuto ad Allah”.

Ci sono tre foto dell’edificio raso al suolo dove presumibilmente veniva detenuta Kayla Mueller, che aveva 26 anni ed era scomparsa nell’agosto del 2013 dopo essere entrata in auto in Siria assieme al suo ragazzo siriano.

Nel mirino della propaganda c’è chiaramente la Giordania, dopo che proprio oggi Amman ha annunciato l’avvio della ‘Operazione martire Muath’, ovvero la rappresaglia contro l’Is lanciata dall’aviazione giordana per la barbara uccisione del pilota al Kassasbe. In poche ore “decine di caccia” hanno centrato e “distrutto” postazioni jihadiste, hanno fatto sapere le forze armate giordane, senza precisare dove. “Pagheranno per ogni capello di Muath”, hanno tuonato, “li colpiremo ovunque”.


Di certo gli obiettivi colpiti dai piloti giordani sono stati concordati anche con gli Stati Uniti, i cui caccia di prassi accompagnano quelli degli altri Paesi della coalizione nei loro raid. Un alto funzionario della difesa Usa ha inoltre riferito al New York Times che i luoghi presi di mira vengono valutati con la massima attenzione e qualora ci sia anche una minima indicazione che uno degli ostaggi potrebbe essere nei paraggi, il sito viene depennato dalla lista.

Allo stesso tempo, la fonte ha sottolineato che, senza prove, l’annuncio della morte dell’ostaggio potrebbe essere solo un bluff per indurre gli americani, i giordani e gli altri Paesi della coalizione ad astenersi da massicci bombardamenti per evitare “danni collaterali”.

A cura di Redazione Papaboys fonti: Avvenire e La Stampa

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