«Noi cristiani paragoniamo Gesù Cristo con il sole, e la luna con la Chiesa, la comunità; nessuno, eccetto Gesù, brilla di luce propria». Così Papa Francesco ha detto appena sbarcato all’aeroporto di Quito. Poche parole calibrate, con cui il vescovo di Roma ha voluto marcare l’incipit del suo impegnativo viaggio sudamericano suggerendo a tutti qual è la natura propria della Chiesa, e quindi l’agire che le conviene.
Alle immagini di Cristo-sole e della Chiesa-luna il successore di Pietro è arrivato ricordando che proprio in Ecuador si trova la montagna del Chimborazo, chiamato «il luogo “più vicino al sole”, alla luna e alle stelle» perché la sua cima, proprio la sua collocazione equatoriale, rappresenta il punto della crosta terrestre più distante dal centro della terra. Ma l’annotazione orografica è stata solo un pretesto per ripetere ancora una volta un’immagine a lui cara, che scandisce come una nota di fondo tutto il suo magistero.
Sulla Chiesa Papa Bergoglio, con le parole e i gesti, con i pronunciamenti e le omelie, ripete una cosa sola: che essa non vive di luce propria. La Chiesa è di Cristo. Cresce nel mondo in forza della Sua grazia. Vive nel mondo come riflesso della Sua luce. Tale intuizione del mistero sorgivo della Chiesa era stata già condensata nei primi secoli dai Padri d’Oriente e d’Occidente nell’immagine del mysterium Lunae, il mistero della luna, espressione rilanciata anche dagli studi di Hugo Rahner, il patrologo gesuita tanto caro a Bergoglio. «Fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine», scriveva già Sant’Ambrogio. Come la luna, la Chiesa splende non di luce propria, ma di quella di Cristo. Mentre per Cirillo d’Alessandria «La Chiesa è circonfusa dalla luce divina di Cristo, che è l’unica luce nel regno delle anime. C’è dunque una sola luce: in quest’unica luce splende tuttavia anche la Chiesa, che non è però Cristo stesso». La stessa percezione del mistero della Chiesa è stata espressa dal Concilio Vaticano II, a partire dal suo testo fondamentale, la Costituzione Lumen gentium. «La luce delle genti» scriveva il teologo Gerard Philips nel suo commento a quel testo conciliare, di cui era stato il principale estensore, «si irradia non da essa, ma dal suo divino Fondatore: pure, la Chiesa sa bene che, riflettendosi sul suo volto, questo irradiamento raggiunge la umanità intera».
Per Papa Francesco, la riscoperta della natura della Chiesa come «luce riflessa» ha a che vedere col presente e col futuro della missione affidata da Cristo ai suoi discepoli. L’immagine della Chiesa-luna era già al centro del breve intervento svolto da Bergoglio nel pre-Conclave, che impressionò molti cardinali. In quell’occasione, l’allora arcivescovo di Buenos Aires aveva parlato dell’auto-referenzialità delle istituzioni ecclesiastiche e del «narcisismo teologico» come patologie che si sviluppano quando la Chiesa «crede involontariamente di avere una luce propria». Quando ciò accade, si eclissa «la certezza di mirare il mysterium lunae», e si va verso il male della «mondanità spirituale» che consiste nel vivere, anche nella Chiesa, «per dare gloria degli uni agli altri».
Dopo più di due anni di Pontificato, il magistero di papa Francesco continua a non considerare la frase di Gesù «senza di me non potete far nulla» come un semplice modo di dire. Il Papa argentino insiste nel dire che la natura imparagonabile della Chiesa come riflesso della grazia di Cristo continua a essere contraddetta da tutti discorsi e i progetti che immaginano la compagine ecclesiale come soggetto impegnato a costruire e a rivendicare da se stesso la propria rilevanza della storia. Una pulsione che Bergoglio aveva registrato e denunciato anche nelle sue forme latinoamericane «neoclericali», quando ancora era arcivescovo di Buuenos Aires.
Adesso, da Successore di Pietro, ripete continuamente che il coraggio apostolico da chiedere per la Chiesa non è un programma di proselitismo. Tanto meno un progetto di egemonia culturale. E se non riaffiora una nuova familiarità con la natura della Chiesa come realtà tenuta in vita dalla grazia, anche i discorsi sulla riforma delle strutture e dei meccanismi ecclesiali rischiano di trasformarsi in questioni di mera ingegneria istituzionale, sull’esempio dei programmi di aggiornamento delle multinazionali.
Il richiamo alla luce e alla grazia di Cristo come forza sorgiva della missione cristiana, e la denuncia dell’autoreferenzialità come indizio del venir meno di ogni autentico dinamismo ecclesiale continuano a essere declinate da Bergoglio nelle loro conseguenze più concrete e «destabilizzanti» per la tranquillità degli apparati ecclesiastici auto-appagati. Lo scorso 30 novembre, tornando dalla visita a Istanbul e dall’abbraccio col Patriarca ecumenico Bartolomeo, Papa Francesco attribuì la fine dell’unità dei cristiani proprio all’atrofizzarsi della familiarità con il «Mysterium Lunae» della Chiesa: «Il problema» disse quella volta conversando ad alta quota coi giornalisti «è che la Chiesa ha il difetto e l’abitudine peccatrice di guardare troppo a se stessa, come se credesse di avere luce propria. La Chiesa non ha luce propria, deve guardare a Gesù Cristo. Le divisioni ci sono perché la Chiesa ha guardato troppo a se stessa». Anche considerando i suoi ultimi pronunciamenti pubblici, si ritrovano continui richiami di Papa Francesco alla dipendenza dalla grazia come fattore ineliminabile del mistero che fa vivere la Chiesa. «La Chiesa non è dei Papi, dei vescovi, dei preti e neppure dei fedeli, è solo e soltanto di Cristo. Solo chi vive in Cristo promuove e difende la Chiesa con la santità della vita, sull’esempio di Pietro e di Paolo» ha ripetuto Papa Francesco durante l’omelia per la festa dei Santi patroni di Roma. Mentre anche venerdì scorso, nell’incontro coi membri del Rinnovamento carismatico radunati a Piazza San Pietro, ha messo in guardia dalla «tentazione di credersi indispensabili», forte soprattutto per «quelli che comandano, quelli che sono al centro» e che «si considerano insostituibili», dimenticando che «l’unico insostituibile nella Chiesa è lo Spirito Santo, e Gesù è l’unico Signore».
Anche con le moltitudini che incontrerà nei tre Paesi del suo viaggio latinoamericano, Papa Francesco racconterà e celebrerà la fede di una Chiesa che non si sente auto-sufficiente. Trovando conforto nella tenerezza affettiva che unisce tanti cristiani di quei luoghi a Gesù e a sua Madre, espressa nei tratti commossi e commoventi della devozione popolare. «Che in queste giornate» ha chiesto il Vescovo di Roma appena atterrato a Quito «si renda più evidente a tutti noi la vicinanza del “sole che sorge dall’alto” (cfr Lc 1,78), e che siamo riflesso della sua luce, del suo amore».
Di Gianni Valente per Vatican Insider (La Stampa)
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