Ecco alcune delle storie delle persone e delle famiglie sostenute con la campagna emergenza Siria: «Amata e martoriata». Un programma triennale di Caritas Aleppo vuole assistere 18mila «vulnerabili»
Caritas Siria ha lanciato nel febbraio 2019 un
piano d’emergenza per sostenere le famiglie colpite dal conflitto nella
Ghouta orientale, vicino ad Aleppo. L’obiettivo è di assistere circa
6.570 persone nella Ghouta orientale e nella città di Damasco.
L’obiettivo del progetto, in un anno, è di garantire abitazioni
dignitose a 200 famiglie vulnerabili, ristrutturare 10 aule scolastiche,
permettere l’accesso ai servizi sanitari a oltre 1.400 persone,
distribuire equipaggiamenti per l’inverno a oltre 1.200 persone. Caritas
Italiana ha sostenuto il progetto nella Ghouta con un finanziamento di
300mila euro.
Un doppio binario, per non lasciare solo chi è ancora in stato di necessità ma anche per guidare alla ricostruzione: sono i progetti umanitari e di riabilitazione che Caritas Siria, con i suoi sei uffici regionali, ha realizzato raggiungendo nel 2019 oltre 100mila persone
«Per fortuna non paghiamo un affitto, un monolocale ci costerebbe quanto il salario di mia moglie. Il mio stipendio è di 120 euro, non potremmo affrontare le nostre giornate con meno di 5 euro al giorno. A lavoro ci vado a piedi, non posso pagare la benzina», afferma Firàs, 48 anni.
Meccanico prima della guerra, ora lavora alla distribuzione degli aiuti al Derd, l’organizzazione caritativa del Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia. Con la moglie e i due figli di 6 e 8 anni vive a Jaramana, nel quartiere Ruada: un’area sovraffollata dove troppe persone vivono in palazzi semidistrutti.
Tanti bambini, in questo sobborgo a una dozzina di chilometri da Damasco, non vanno a scuola per chiedere l’elemosina: quasi sempre le loro famiglie sono scappate da Hassaké e Deir er-Zor. Ma anche i figli di Firas solo da poco sono tornati a scuola: «Erano un bersaglio dei bombardamenti. Abbiamo fatto molta fatica a scegliere in quale scuola mandare i nostri figli», spiega la moglie Suryana segretaria in un ufficio pubblico a 100 euro al mese.
A Jaramana si elemosina, ma non solo: sono tanti i bambini che sniffano la colla.
Figli della strada e della paura. «La guerra è finita, ma per strada non puoi camminare al sicuro. Ci sono tanti borseggiatori, la povertà sta rovinando le persone». E la stanchezza fra i cristiani si tocca con mano.
In città, da sempre multietnica e multireligiosa, ora è comparso l’odio dei musulmani: «Tanti radicalisti hanno persino cominciato a criticare le decorazioni di Natale. Prima della guerra non era mai successo», afferma Suryana. Solo un ricordo la festa per le strade dei quartieri cristiani di Bab Tuma e Bab Sharqi, dove fiumi di persone si incontravano. La povertà distrugge la quotidianità e le persone passano il Natale chiuse in casa. L’unico regalo per Firàs e Suryana è la pace, e la speranza si chiama Europa.
Ma andarci senza un visto vuol dire non poter più tornare. Troppo da sopportare, ma «dopo la morte c’è sempre una rinascita», conclude Firàs.
Di recente si è avviato a Damasco un programma di formazione professionale per i giovani. L’istruzione è il settore prioritario, aumenta l’impegno sul fronte sanitario e per il ripristino di attività produttive, mentre si riduce la prima urgenza
«Ogni famiglia ha un martire, ogni persona ha un amico sfollato o un rifugiato che ha visto andare via. Abbiamo perso molta gioia e si festeggia da soli». Mohammed, 26 anni, è nato ad Aleppo da una famiglia musulmana di origine palestinese. La guerra ha sconvolto anche la sua quotidianità e reso mitici ricordi neanche troppo lontani.
Nel 2011 Mohammed era uno studente di grafica che d’estate, grazie a lavori occasionali, guadagnava il necessario per mantenersi agli studi. Anche per un ragazzo musulmano la settimana tra Natale e Capodanno «era uno dei periodi più belli. Un periodo unico e meraviglioso». In tutte le città era festa «nelle strade, nelle piazze e nei portici delle case. C’erano fuochi d’artificio nel cielo e canzoni di Natale in strada, fino al mattino». «Irripetibile» l’atmosfera della vigilia quando «incontravamo tutti gli amici, osservavamo l’atmosfera delle celebrazioni e partecipavamo ai canti e al divertimento fino all’alba».
Solo ricordi, come la casa dove Mohammed è nato: demoliti entrambi dalle bombe e dall’assedio alla città. Però ho la fortuna di essere vivo, ed è viva anche la mia famiglia», afferma come premessa al suo presente. Il Natale ad Aleppo oggi per un musulmano? «La sensazione di tensione domina e le persone hanno troppe paure. Accadrà qualcosa di brutto? Accadrà un attentato terroristico? E alcuni Paesi accuseranno sicuramente l’islam e i musulmani di questo atto», spiega. Mohammed adesso è un militare «e non mi è concesso festeggiare. Vivrò solo delle memorie della festa e canterò vecchie canzoni nel mio cuore. Voglio evitare il pessimismo che mi ha distrutto la quotidianità. Il Natale non muore mai».
All’inizio della guerra «l’atmosfera di Natale era quasi inesistente» ora, anno dopo anno, si ritorna gradualmente al meglio.
«Sebbene le condizioni di vita siano molto difficili, tante persone preparano dolci molto semplici, regali simbolici per i bambini ma festeggiamo comunque». Mohammed ha un sogno, avere in regalo un violino: «Ma per ora posso solo regalare alla mia famiglia il fatto di tornare a casa incolume con il mio ampio sorriso». È questo il sorriso di un popolo che «vive di speranza».
In 3 anni Caritas Aleppo vuole assistere 18mila «vulnerabili». Nel corso del 2020, secondo anno del progetto, l’obiettivo è di aiutare 3.940 siriani attraverso un percorso di autonomia: 1.800 riceveranno assistenza medica, 2.140 persone frequenteranno gruppi di auto-mutuo aiuto e 50 famiglie saranno aiutate a riaprire un’attività lavorativa
«La vita lentamente sta ritornando» afferma Fardous, operatrice di Caritas Hassaké. «In questo mese glorioso Gesù Cristo è nato. Così, io cerco di vivere tutti i significati di Natale».
In questi ultimi mesi i prezzi sono saliti alle stelle: così per l’ottava volta di seguito chi può, ricorre ai risparmi di prima della guerra per far fronte ai bisogni essenziali.
Per questo anche le famiglie con un reddito certo devono fare affidamento sui pacchi alimentari e sui buoni spesa della Caritas. «La Caritas ad Hassaké assicura ogni genere di aiuto umanitario: cibo, acqua potabile, cure mediche, rate di affitto. E anche supporto psicologico a causa dell’ultima emergenza qui nel Nord della Siria», spiega l’operatrice umanitaria. Fardous, 26 anni, ha imparato da suo padre di cercare di far sentire tutti felici in questi giorni: una tradizione di famiglia appresa preparando l’albero di Natale e decorando la casa, oltre a preparare il pranzo per la famiglia. «Ho scoperto questa abilità preparando la grotta del presepio, dopo la prima esperienza alla chiesa di Nostra Signora.
«Tutti erano come folgorati dalla bellezza di quel presepio e sussurri di ammirazione giunsero alle mie orecchie». Un lavoro, ripeteva spesso il padre di Fardous, «diventa un successo quando tocca il cuore degli altri». Insegnamenti appresi in famiglia, esperienze educative dell’infanzia che hanno radicato la convinzione che quello che è fatto con l’anima risplende di autenticità.
Il giorno di Natale Fardous, come sempre, parteciperà alla Messa e ascolterà con particolare attenzione la liturgia per impregnarsi si pace e serenità. «Sento la misericordia di Dio in ogni cosa che ci capita, che ci ama e fa il meglio per noi». È l’ottavo Natale da quando è iniziata la guerra civile e ad Hassaké da pochi mesi sono giunti i profughi fuggiti dopo l’avanzata della Turchia oltre il confine. «Auguro saggezza a tutti, e per me chiedo sapienza e umiltà non dimenticando che Gesù è il Natale. Anche qui in Siria, nonostante la guerra».
Credito: Avvenire
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