Propongo alla vostra cortese attenzione, questa bellissima omelia di don Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra. La venuta del Signore, passa attravers la storia di ciascuno di noi, soprattutto di quelli che non hanno mai incontrato la gioia di Dio. Ogni parola della seguente omelia, aiuta a “vivere” il Natale in maniera diversa da come tante volte lo intendiamo. Cristo è venuto per donarci la salvezza:
“Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi. Il Signore è vicino”. (Fil. 4,4). È l’invito alla Gioia che la Chiesa, oggi, terza domenica di Avvento, ci mette sulle labbra e nel cuore. Gesù sta per nascere: è vicino! E come a dare forza all’invito, così oggi il Profeta Isaia incita alla speranza e ancora di più. “Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti, dite agli smarriti di cuore: ‘Coraggio! Non temete: ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi’. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi… Ci sarà una strada spianata e la chiameranno ‘Via Santà: su di essa ritorneranno i riscattati di Israele e verranno in Sion con giubilo. Felicità perenne splenderà sul loro capo, gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto”. (Is. 15, 1-10). La Parola di Dio interpreta bene la gioia che i fedeli, quelli che attendono ogni giorno la venuta: del Signore, provano, ossia una rinnovata speranza, foriera di piena felicità. Sembra quasi un linguaggio sconosciuto ai più, che vivono in un mondo che non crea posto alla speranza, non crede che ci sia Qualcuno che sa e può donarla, e quindi la considerano solo un’utopia che non ha radici nella realtà, e così ne cercano solo i ‘surrogati’. Ma quale valore può essere dato alla vita se si esclude o ignora il grande dono che Dio ci dà con Gesù? Come assaporare la pace che provava l’Apostolo Paolo, dicendo: ‘Per me vivere è Cristo’?
Ma si può fare a meno di Gesù, considerato non solo come un concetto astratto che non ha posto nel cuore, ma come Uno, il Figlio di Dio, che si rende partecipe delle nostre gioie e speranze, sofferenze ed ansie? Così Paolo VI testimonia la sua grande fede in Gesù: “‘Tutto abbiamo in Cristo – esclama S. Ambrogio – tutto è Cristo per noi. Se tu vuoi curare le tue ferite, Egli è il medico. Se sei ardente di febbre, Egli è la fontana di acqua viva. Se sei oppresso dall’iniquità, Egli è la giustizia. Se hai bisogno di aiuto, Egli è vigore. Se desideri il cielo, Egli è la via. Se rifuggi dalle tenebre, Egli è la luce’….Oggi l’ansia di Cristo pervade anche il mondo dei lontani quando in essi vibra qualche autentico movimento spirituale. Il mondo, dopo avere dimenticato e negato Cristo, Lo cerca. Ma non lo vuole cercare quale è e dove è. Lo cerca tra gli uomini mortali: ricusa di adorare il Dio che si è fatto uomo, e non teme di prostrarsi servilmente davanti all’uomo che si fa Dio. dalle inquietudini degli spiriti laici e ribelli, e dalle dolorose esperienze umane, prorompe fatale la confessione al Cristo assente: di Te abbiamo bisogno. Di te abbiamo bisogno dicono altre voci isolate e disparate: e sono molte, oggi, e fanno coro. Una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di pensosi, che intravedono qualche evanescienza di Cristo; di generosi, che da Lui imparano il vero eroismo; di sofferenti, che sentono la simpatia per l’Uomo dei dolori; di delusi, che cercano una parola ferma, una pace sicura; di onesti, che riconoscono la saggezza del vero Maestro; di convertiti, che confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averLo trovato”.(1955) E forse in questa lunga categoria di cercatori o indifferenti a Gesù ci siamo noi, anche noi. Ecco perché l’Avvento ci educa ad entrare con forza nel Mistero del Natale, di Dio che si fa vicino e con noi raddrizza il senso della vita.
Forse cerchiamo conferme, come Giovanni Battista, oggi, nel Vangelo. “In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere di Cristo, mandò a dirGli per mezzo dei suoi discepoli: ‘Sei colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?: Gesù rispose: ‘Andate e riferite a Giovanni ciò che avete udito e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano; ai poveri è predicata la buona novella e beato colui che non si scandalizza di me’. Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: ‘Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo vestito in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io mando davanti a te il mio messaggero, che preparerà la tua via davanti a te’. In verità vi dico: tra i nati di donna non ne è sorto uno più grande di Giovanni Battista, tuttavia il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui’. (Mt. 11, 2-11). Uno stupendo dialogo tra Giovanni, che dal carcere cerca conferme, e Gesù che dà testimonianza di Se stesso. Non solo, ma chiede a chi lo ascolta quale sia la verità di un profeta, che nulla ha a che fare con le mode e stravaganze di tanti… anche oggi. Così come oggi i profeti che additano e manifestano ai fedeli la Presenza di Gesù, siamo noi vescovi, sacerdoti, cristiani: una missione che, se vogliamo abbia successo, deve avere alle spalle una vita che conosca il distacco dalla terra, per mostrare il Cielo. E l’uomo di oggi – lo dico per la lunga esperienza di pastore – anche se apparentemente mostra disinteresse per tutto ciò che riguarda la fede, sente una grande nostalgia inconfessata che Gesù sia tra noi. Avverte che le cose non danno quella sazietà e felicità che dà il ‘vivere in Lui e con Lui’. Un uomo stanco delle troppe parole vuote, delle tante ‘profezie’ che sono solo prospettive di benessere – quando si realizza! – e comunque difficilmente sazia il cuore.
Quanti falsi ‘profeti’ ci sono tra noi, che barattano la sazietà del consumismo, con la felicità del cuore. Altro sono i piaceri del mondo, altro è la gioia profonda del cuore che vive la compagnia di Cristo. Non è facile voltare le spalle alle tante sirene, alle cose di quaggiù, come in Giovanni Battista, per innamorarsi delle bellezze dell’anima, ma è la ‘via strettà, che è necessaria. Solo in quella via possiamo capire come il Natale è grande gioia e pace, che sorge da una povertà-libertà dalle cose, che sconfina con il nulla di quaggiù. Quando penso a quella grotta di Betlemme, dove Gesù fu deposto appena nato, mi confondo e mi confronto. Là, su quel nulla, scesero gli Angeli a cantare: ‘Gloria a Dio in cielo e pace in terra a chi ha buona volontà’! Ma su di noi giunge il canto degli Angeli, o meglio, siamo nella condizione di poterlo sentire? Se non giunge rimane solo una profonda tristezza, un persistente scontento, con cui non si può convivere sempre. Occorre farsi coinvolgere pienamente dalla lezione del Natale, per entrare nella gioia vera. E si può… si deve!
Un giorno in aereo mi si fece vicina una giovane, che chiese di poter viaggiare al mio fianco. Aveva sentito parlare di me e cercava ‘tranquillità’ mi disse. Mi accorsi presto che era una tossicodipendente, in uno stato pietoso, ma con un volto che ispirava tenerezza. ‘Perché lo fai?’ le chiesi ingenuamente, alludendo alla droga. Con una risposta rabbiosa mi disse: ‘Perché lo faccio? Perché è bello! Cosa mai ci avete insegnato voi preti di bello? E chi mai è il vostro Cristo che voi dite sia la verità e la vita? Se veramente è quello che voi dite, perché non si fa vedere… perché non ce lo fate vedere?’. Uscivano domande ed imprecazioni a getto continuo, che avevano il sapore della disperazione. Non sentiva vergogna di buttarti in faccia tutta la desolazione del suo animo, che forse aveva sognato per il suo futuro ‘cose meravigliosé ed invece si era trovata, senza sapere neppure perché, in una palude che non suggeriva uscita. Parlava cosi forte che attrasse l’attenzione dei vicini. Io non osai neppure rispondere, semplicemente non distoglievo lo sguardo dai suoi occhi. ‘Cosa posso fare, padre, mi dica?’ e furono le ultime parole, buttate per cercare speranza. Chinammo il capo tutti e due come a voler trovare una risposta. Presi un foglio di carta, che conservo, e scrissi questa preghiera:
“Signore, questa sera non ho voce, se non per dire parole vuote: insegnami a pregare. Signore, non so più, in questo mondo pieno di voci che tradiscono, trovare la voce che giunga a Te. Signore, ora ti sto gridando che la vita di tanti e forse anche la mia è così vuota di senso e non riusciamo neppure a credere che il senso della vita sei Tu: insegnami a pregare. Signore, stasera vorrei farTi vedere questa mia sorella che è sfatta da una vita sbagliata ed il mio volto è diventato un grumo di ghiaccio per il dolore che vivo con lei. Signore, sono confuso, al punto che sto balbettando non sapendo più che dire. Signore, vorrei regalare a questa sorella e a tantissimi come lei un sorriso che dica: ‘Dio ti ama teneramente come la pupilla dei Suoi occhi’.” Non mi ero accorto che quella ragazza – si chiamava Nadia – incuriosita seguiva il mio scrivere, la mia preghiera. Alla fine del viaggio, salutandomi, mi disse solo: ‘Le avevo chiesto di tenermi compagnia perché mi sentivo insicura: lei ha accettato di cuore e io l’ho ricambiata sommergendola con la mia rabbia e la voglia di uscirne. Le ho fatto tanto male?’. ‘Non importa – le risposi – ciò che conta è che tu abbia intravisto la possibilità e la bellezza della speranza’. L’ho incontrata un’altra volta, ma era ‘altrà Nadia. Per Nadia davvero la vita è tornata ad essere Natale (a cura di DonSa).
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