L’Angelus era già finito, il Papa aveva detto che “il malato è la carne di Cristo”, e poi ha cominciato a parlare della santa del giorno, Giuseppina Bakhita, ex schiava, ex bambina, ex ragazza, ex cosa: più volte venduta, comprata, oggetto di tratta. E allora si è indignato della “piaga vergognosa della tratta delle persone”.
Parlava di paesi lontani ma io avevo sotto gli occhi foto e articoli dei nostri giorni. Di nostri fratelli e sorelle, anche connazionali, che oggi sono oggetto di tratta, insomma. Che, come Bakhita, sono schiavi oggi. È veramente così: non è un’esagerazione acchiappa lettori, sono schiavi veri. Gente che è passata dalla scrivania al campo, dalla busta paga alla fila al tramonto davanti al caporale romeno o nigeriano o italiano.
Antonio Castellana 63 anni, 3 figli, troppo giovane per la pensione, troppo vecchio per ricollocarsi. Angelo Rasola, ex fornaio, 20 euro al giorno per 12 ore al giorno, nei campi, di Cerignola, provincia di Foggia, che finora ha trovato soltanto ingaggi da schiavitù. Euro 1,90 all’ora, tutte le notti dalle cinque di sera alle cinque del mattino. Laura Prospero, 27 anni, laurea in neuropsicologia e tante porte chiuse: 35 euro al giorno a raccogliere ciliegie con braccianti marocchini, polacchi, albanesi. Sfruttati. Sottopagati. Alloggiati in luridi buchi. Massacrati di botte.
È la vita tra i braccianti – stranieri e no – nella provincia di Foggia. Cadaveri senza nome nei campi, braccianti stranieri scomparsi nel nulla. I medici dicono che arrivano sani e si ammalano in Italia.” “Sei rumeno?”. Ma non basta dire sì per essere presi. Bisogna portare anche una ragazza che il capo possa violentare. Ecco il prezzo della manodopera nel cuore della Puglia. Siamo il “mercato più sporco dell’Europa agricola”.
Ma i territori della schiavitù nostrana non sono solo quelli dei pomodori e delle olive. Saliamo al nord. A Prato. Parliamo delle centinaia di migliaia di immigrati cinesi arrivati in Italia attraverso i trafficanti di esseri umani. Finiscono nel settore tessile. Spessissimo sono trattati come schiavi, costretti a lavori disumani. Un ragazzo è stato ricoverato perché era ferito e denutrito. Lavorava 7 giorni a settimana, per un euro l’ora dalle 7 del mattino alla mezzanotte.
E poi ci sono le donne e i bambini: usati per rendere più proficuo l’accattonaggio o come schiavi del sesso. Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori e moltissime volte la lingua occidentale parlata è l’italiano.
Siamo stati i primi pedofili del Kenya, lo sapevate? Il nostro paese è attivissimo: Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani, Santo Domingo, Colombia, Brasile. Piccole schiave del sesso per turisti. In vendita a orario continuato. Spesso accompagnate dai genitori.In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5. Sono minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento, con foto e filmati da portare a casa come souvenir.
Come le nigeriane costrette a prostituirsi per pagare un debito inesistente.
Cosa vuoi commentare? Cosa puoi commentare? Ho scelto di scrivere un post con le parole dei fatti, dei nomi, dei numeri perché ieri, di quanto ha detto il Papa, la parola che più mi ha colpito è “piaga”. La piaga è qualcosa di più di una ferita. È una ferita che si è infettata, che non si cicatrizza, che butta pus e va in profondità e infetta ciò che ha intorno. La schiavitù di oggi è senza catene ai piedi, non è legale, ma è piaga. È una ferita vecchia, che è entrata a far parte della nostra quotidianità, e spero che coi nomi e coi numeri torni un po’ a puzzare. Che torni a darci fastidio un pus che non smette di infettare la nostra convivenza civile. Il nostro peccato è di aver smesso di sentirne vergogna. Ci siamo abituati a zoppicare sul piede piagato. Ci siamo abituati a guardare dai finestrini delle nostre macchine. Ci siamo abituati a vivere con questa piaga. Il Papa ieri ha abbassato il finestrino della nostra coscienza e ha alzato il volume di quelle grida. Non è una storia di paesi lontani. È una storia italiana. Non vi racconto le storie.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost