Il libro ripropone la storia di un’amicizia, quella tra Karol Wojtyla e Jerzy Kluger, tra un cattolico e un ebreo, nata nella Polonia degli anni Venti e durata tutta una vita, anche se la guerra separò per quasi trent’anni i due amici, ritrovatisi poi a Roma al termine del Concilio Vaticano II. Un’ “amicizia ritrovata”, quindi, che continua anche dopo l’elezione di Wojtyla al pontificato, e che diviene messaggio universale di un dialogo possibile.
Secondo l’autore, questa storia “è di una attualità enorme e assume oggi un valore superiore, in un mondo attraversato da violenza, odio e intolleranza”. “La riproposizione di un’amicizia tra due persone di diversa appartenenza religiosa – ha notato Svidercoschi – credo sia estremamente importante. In essa v’è un valore di testimonianza e di insegnamento, soprattutto per le nuove generazioni, a non dimenticare e a conoscere quanto è accaduto in passato, perché non si ripeta, anche se in forme diverse”.
Nel suo saluto introduttivo, don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana – dopo aver rilevato come la LEV si confermi “un’editrice ad amplissimo respiro, che ha una dimensione internazionale ed è l’editrice non italiana che diffonde più italiano nel mondo” – si è rallegrato per “l’alleanza strategica” tra un’editrice cattolica e una laica, che permette di “allargare al massimo la diffusione del volume, anche in mercati non strettamente cattolici”. E ha parlato del libro come di “un invito a procedere sulla via dell’amicizia, del dialogo e del rispetto reciproco”.
Gianni Letta ha ricordato la “autorevole” collaborazione di Svidercoschi con il giornale da lui a lungo diretto, Il Tempo , e di essere stato il primo ad apprendere di questa “amicizia ritrovata”, la cui notizia venne data sul giornale poco dopo l’elezione di Giovanni Paolo II e che poi è divenuta un libro (Lettera a un amico ebreo). Un libro “profetico”: “Tradotto in 20 lingue, in 60 Paesi, spesso ha rappresentato, per la presentazione congiunta da parte di autorità cattoliche ed ebraiche, l’inizio di un dialogo che da Roma si è propagato in tante parti del mondo”.
Per lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Il Papa e l’amico ebreo “è un libro di storia, anche se scritto come un romanzo, che ha fatto il giro del mondo e credo sia servito a spiegare i rapporti tra ebrei e cristiani meglio di tanti documenti”, e ciò attraverso la “tenera carnalità di un’amicizia”. “Se Paolo VI aveva un rapporto più intellettuale che concreto con gli ebrei”, Giovanni Paolo II nutriva un “profondo filosemitismo, carnale, che nasce nella vita quotidiana e passa attraverso la sua amicizia con Kluger”. Per Riccardi “la citazione del rabbino Toaff, oltre che di don Stanislao” nel testamento di Giovanni Paolo II è “una scelta di carattere simbolico, oltre che di amicizia personale”.
Ha concluso l’incontro il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, secondo il quale “barriere ancestrali sono crollate, anche grazie a storie come questa”. “Le persone che seguono l’insegnamento dei loro pastori – ha notato il rabbino Di Segni – capiscono che il rapporto con il popolo ebraico è cambiato ed è completamente diverso. Chi non lo capisce sono le persone che si sono distaccate dall’insegnamento della Chiesa”. “La Chiesa va avanti, ma c’è qualcuno che rimane indietro, e non è la Chiesa”.
Luca Caruso
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