Per centinaia di migliaia di profughi, l’isola di Lesbo resta la prima porta d’accesso al continente. Ogni giorno arrivano lì almeno quattro mila persone: il Papa, che ha compiuto il primo viaggio del suo pontificato a Lampedusa, andrà a Lesbo a metà aprile. Non è la scelta di un prete generoso, è l’ennesima conferma, mentre scoppia Panama Papers, che per capire il mondo non devi avere il punto di vista dei primi ma devi guardare la realtà anche dove non la capisci e ti spaventa. Non devi cercare l’algoritmo che scarta chi non serve ma avere la pazienza del padre che ama allo stesso modo il figlio promosso a pieni voti e quello bocciato.
Il Papa va a Lesbo perché le cose non si capiscono dal centro ma dalla periferia. Va lì, perché Lesbo è la riprova che la “visione d’insieme” dei vincenti è quella che ci rende perdenti. Il mondo è tondo e stare “al centro” è solo un modo di dire perché non siamo Jules Verne e non viviamo sottoterra: se vado a Lesbo abbandono il parlare per metafore ed allegorie, e scopro che nella realtà Londra e New York sono superficie quanto Bangui: con il vantaggio che Bangui sa di essere “superficiale”, di non avere un’idea globale di mondo, di non essere una stanza dei bottoni che funziona, mentre i primi della classe, quando dicono “mondo” sono convinti di parlare di quello che viene servito in salotto su un vassoio insieme al loro caffè.
“La realtà si legge meglio dalla periferia che dal centro” ripete spesso Papa Francesco e per questo va a Lesbo, per capire meglio il mondo, non solo per aiutare i profughi. Così come il bravo medico che per trovare la cura dell’epidemia studia la patologia, guarda i malati, non erige i muri attorno ai sani credendo così di salvarli.
Ma come faremo ad accoglierli tutti? chiederà il Papa. E la risposta è: “non lo so”. Una risposta così può sembrare inutile ma invece è una porta, è un ponte. Se io “non lo so”, riconosco di aver bisogno di sapere e per sapere devo andare, vedere, chiedere, comprendere, documentarmi, parlare, ascoltare, lasciare, indirizzare, costruire, smantellare, aprire, fare spazio. Insomma se non so, posso aprirmi. Se non so, devo alzarmi e uscire, se so tutto invece, chiuderò le orecchie perché non ho bisogno di sapere altro. Se ho le risposte, scriverò documenti, progetti, piani finanziari, economici, di sviluppo, di chiusura, di apertura. Produrrò faldoni interi di soluzioni. Riempirò stanze di riunioni in centri congressi al centro del mondo. Al centro di quel mondo che non esiste.
Non ho mai capito chi dice che “il mondo è di chi se lo piglia”. Il mondo lo pigli se ti attacchi alle corde mentre attraversi il fiume al confine tra Macedonia e Grecia, con la tua famiglia, o con quello che di essa resta. Lo pigli se cammini attraverso deserti, boschi, pianure minate, fango, filo spinato. Il mondo lo pigli traversando il mare senza saper nuotare.
Il modo di descrivere il mondo che parla solo del mondo che conta, non solo è scandaloso perché è il mondo vincente che parla tante lingue ma che non ascolta nessuno; non solo è inutile perché parla non di realtà ma di figure retoriche quali le allegorie e le metafore, ma è pericoloso. E questo è molto grave. Per capire quanto sia pericoloso non c’è bisogno di arrivare ai trafficanti d’armi: basta pensare che il mondo che confonde la realtà con “il mondo vincente”, è lo stesso che confonde il matrimonio con il “matrimonio riuscito”, il figlio “con il figlio sano”; il lavoro per “il lavoro di successo”. Una tale visione del mondo, del lavoro per esempio, non solo è scandalosa ma è anche pericolosa, fa ammalare, perché fa sentire l’uomo disoccupato anche sbagliato, disadattato, colpevole: quello che ai tempi di Gesù si chiamava “un peccatore”. E infatti, ai tempi di Gesù, essere lebbrosi o ciechi significava essere peccatori, maledetti da Dio. È una visione sbagliata e non cristiana perché che Cristo sarebbe quel Gesù che non salva il lavoro “non lavoro” del disoccupato, del mobbizzato, dello sfruttato?
Il mondo è di chi se lo piglia? Il mondo è di chi lo abita, e non c’è personale di servizio ma solo persone. Il Papa va a Lesbo per capire meglio il mondo, anche il Vaticano. Anche casa sua.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost