R. – Diciamo che è un prolungamento della precedente, cioè quando una persona è malata non la visitiamo solo una volta e poi ce ne dimentichiamo. In una situazione così delicata e difficile, manifestare ancora una volta apertamente la solidarietà, essere vicini in un momento come la Settimana Santa, la Pasqua, non può che essere di aiuto, di sollievo, di incoraggiamento per le famiglie e per le popolazioni.
D. – Qual è oggi la situazione di questi rifugiati?
R. – L’arcivescovo mi ha detto che – in alcuni casi – sono stati meglio sistemati rispetto al passato; per alcuni è stato trovato un alloggio in affitto – magari in un appartamento dove convivono due o tre famiglie a secondo della grandezza del locale – altri hanno trovato rifugio in una tendopoli, altri ancora sono in una situazione più precaria soprattutto nel Nord del Kurdistan dove c’è stata meno disponibilità di alloggi. Lì, edifici, pubblici, scuole riescono a dare un minimo di riparo per questa gente, sapendo che l’inverno è stato rigido, oltretutto ha nevicato. Quindi, è chiaro che un rifugio era strettamente necessario e obbligatorio.
D. – Che cosa le è rimasto nel cuore della missione dell’agosto scorso?
R. – Tutto. Per questo la ripetiamo e sono contento che il Santo Padre mi mandi lì anche con la sua preghiera.
D. – C’è un’immagine particolare che si porterà con sé?
R. – Voglio dire che l’immagine particolare forse questa volta potrebbe essere proprio questa: oltre la solidarietà del Papa, e ovviamente anche la mia, questa volta per la Pasqua abbiamo voluto coinvolgere la diocesi di Roma, la diocesi del Papa. Per cui attraverso il cardinale vicario di Roma, abbiamo chiesto se le famiglie volessero in qualche modo manifestare la loro vicinanza alle famiglie irachene in difficoltà. Con molta generosità, tutti hanno voluto manifestare questa vicinanza. Allora abbiamo pensato a come fare ciò e così le famiglie irachene riceveranno una colomba pasquale che è un po’ il simbolo della pace, ma al tempo stesso un dolce con il quale ritrovarsi come famiglia. Mi pare bella questa condivisione di famiglia.
D. – Che cosa si può fare per queste famiglie che hanno perso tutto? Che cosa può fare la comunità internazionale?
R. – Credo che la comunità internazionale stia già facendo in modo che le persone possano ritornare in quei villaggi dove ancora non è possibile rientrare. Poi un giorno ci sarà il problema della ricostruzione. Intanto questa solidarietà mi pare bella e fattiva.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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