Aleppo, 13. «Solo Gesù può curare le ferite aperte, bisogna rialzarsi e muoversi»: ne è fermamente convinto padre Ibrahim Alsabagh, francescano della parrocchia latina di San Francesco d’Assisi, ad Aleppo, città per anni epicentro del conflitto divampato in Siria il 15 marzo 2011. Otto anni dopo, «qui la situazione è ancora molto difficile, la popolazione vive una via crucis quotidiana partendo dalla mancanza di elettricità, garantita una sola ora al giorno». Secondo il sacerdote, se persiste l’isolamento, come a Idlib e ad Hama, e non verranno riaperti autostrada e aeroporto «la città sarà soffocata dalla mancanza di lavoro e risorse». Una condizione «inaccettabile per la dignità umana».
Ad AsiaNews padre Ibrahim confida la preoccupazione per il perdurante embargo che «continua a essere un mezzo per aumentare le sofferenze della popolazione. Soffoca ogni possibilità di vita dignitosa» perché «non è accettabile che la gente stia in fila quattro ore sotto la pioggia per acquistare una bombola di gas o che neonati e anziani patiscano il freddo in quanto non si riesce a comprare il gasolio per il riscaldamento».
Dal 15 novembre scorso il mercato è quasi bloccato e non c’è lavoro. Alcuni padri di famiglia «con le lacrime agli occhi raccontano che non hanno raccolto nemmeno l’equivalente di 20 euro nell’ultimo periodo per sfamare i loro figli». Da qui la scelta di espatriare: «Ieri — continua il francescano nella sua testimonianza — è venuta una madre a salutarmi dicendo che sarebbe partita per il Canada con i suoi due figli. Mi ha confessato che non voleva andarsene, ma sono costretti a farlo, perché non vi sono i mezzi per sopravvivere e in Siria non si vede un futuro. Questa stessa madre ha detto che la Chiesa non si è risparmiata per sostenere gente come lei, facendo tutto il possibile, ma il problema è che questo caos non finisce. Partirà con le lacrime, portando tutti noi nel cuore».
In questa situazione «assurda» la parrocchia di San Francesco d’Assisi e le realtà a essa collegate continuano la distribuzione dei pacchi alimentari, con una particolare attenzione all’assistenza sanitaria a tutti i livelli, «perché non vi è copertura efficace per i malati e la pensione per gli anziani è simbolica». Serve poi un’opera capillare di riparazione delle case: finora ne sono state sistemate milletrecento ma molte altre necessitano di una sistemazione per tornare a essere agibili. Vi è una città intera da riparare: «Servono migliaia di progetti per aiutare Aleppo a rimettersi in moto, affinché le persone possano riacquistare la dignità perduta, ricavando il mangiare con il lavoro. Persone che hanno ancora molte ferite aperte, ma vi è altrettanta fiducia nel nostro medico, Gesù, che ha la grazia per farci guarire da tutte le malattie e da tutte le ferite», conclude padre Ibrahim.
L’Osservatore Romano, 13/14 marzo 2019