E Gioele? Che ne è di lui? Che fine ha fatto questo bambino di 4 anni che con ogni probabilità era con lei? Morto e non ancora trovato? Scappato lontano, vedendo la madre che moriva e spirato anche lui da qualche parte? Ucciso con la madre da un aggressore? Ammazzato e sepolto da quella madre che lo amava immensamente e per qualche ragione era fuori di sé (ma seppellire un corpicino a mani nude non è facile in questa terra aspra)?
Gioele sembra scomparso, volatilizzato, inghiottito in una voragine profonda quanto i misteri che avvolgono la morte della madre, Viviana Parisi, la dj torinese di 43 anni sparita lunedì al bordo dell’autostrada a Caronia – a metà della costa tra Palermo e Messina – e ritrovata l’altro ieri, il corpo ormai irriconoscibile affondato tra il fango e gli sterpi, a poche decine di metri da un ricovero di animali e nei pressi di una casa.
Improbabile che lo abbiano sbranato quelli che in tanti chiamano cinghiali, ma che in realtà sono suini neri: non sembra abbiano sfigurato loro il volto di Viviana, devastato solo dalle intemperie. «Sono chiusi nei recinti – spiegano i vigili del fuoco – e se qualcuno fosse uscito avrebbe lasciato tracce». Viviana potrebbe essere stata folgorata dai fili elettrici che passano in più punti, o uccisa dal morso di una vipera, o scivolata da un traliccio. Certo, non si esclude l’incontro con un orco, noto o non. È mattina quando arriva qui il padre di Gioele, Daniele; parla con gli uomini delle squadre di soccorso, vuole cercare il figlio con le sue mani, con i suoi occhi, con la sua pelle. Ma a sera, anche tra i soccorritori più tenaci, prende corpo il dubbio che il bambino non fosse con la madre: «Forse lo stiamo cercando nel posto sbagliato». Si fa largo l’idea che lei lo abbia lasciato prima da qualche parte, nel tragitto fra la sua casa di Venetico – a cento chilometri da qui, nel Messinese – e la galleria dove ha avuto l’incidente, a un chilometro e mezzo dal punto del ritrovamento. E dire che l’avevano cercata per cinquecento ettari, fino alle montagne del parco dei Nebrodi.
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Una circostanza che non passa inosservata a Mariella Mondello, sorella di Daniele: «Le ricerche sono partite in ritardo. Come mai non l’hanno trovato prima? Mio fratello è distrutto. Noi speriamo che Gioele sia vivo, anche se sappiamo che è molto difficile». A sera arrivano da Torino pure i genitori di Viviana, Luigino e Carmela, anche loro in cerca della verità. Se il bambino fosse qui o no è il primo mistero di questa storia piena di punti oscuri, su cui l’autopsia sul corpo di Viviana, domani, potrà dare qualche preziosa risposta. Con i medici legali ci sarà l’entomologo forense che, a partire dalla presenza degli insetti sul cadavere, potrà stabilire con certezza il momento della morte.
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Dalla Procura filtra la ragionevole certezza che il bambino fosse con lei. A vederli insieme sono stati due uomini settentrionali – probabilmente padre e figlio – che si sono brevemente fermati nella piazzola dell’autostrada dalla quale altri automobilisti stavano segnalando l’incidente alla colonnina del soccorso. A loro hanno riferito di avere visto una donna con un bambino superare il guardrail, poi sono andati via. La Procura fa appello da giorni a questi automobilisti ignoti, perché si facciano vivi. Anche un dettaglio può essere importante: era ferita? Appariva sotto choc? Il bambino stava bene? I testimoni diretti ascoltati dagli inquirenti hanno invece intravisto solo una sagoma femminile. I primi sono i passeggeri del furgoncino urtato sulla fiancata da Viviana, che ha sbagliato la manovra di sorpasso (banale errore o segno già di uno stato confusionale?). Usciva dal tunnel a piedi, mentre loro si davano da fare per segnalare la presenza pericolosa dei due mezzi fermi sulla corsia di marcia. I secondi sono gli automobilisti che hanno dato l’allarme.
Ma – ragionano gli investigatori – come avrebbero fatto gli sconosciuti a parlare proprio di una donna con un bambino, loro che niente sapevano dei passeggeri di quella macchina ferma? Ma c’è anche da capire perché Viviana fosse lì, a più di cento chilometri da casa, dopo aver detto al marito che stava andando nella vicina Milazzo a comprare delle scarpe per il bambino.
Circostanza, questa, che ha subito fatto ipotizzare una fuga pianificata. Ma è vero pure che la donna non aveva con sé il telefonino – lo lasciava spesso a casa negli ultimi tempi – e che potrebbe avere cambiato idea sulla strada. Viviana aveva 43 anni, guidava bene, era indipendente. Comportamento inconsueto, ma non impossibile.
Così come quei ventidue minuti di pausa a Sant’Agata di Militello (esce dal casello autostradale del paese e poi rientra) sono cruciali. In questo tempo, in linea teorica, potrebbe essersi disfatta del bambino o averlo consegnato ad altri, ma potrebbe anche avere semplicemente fatto una pausa per andare in bagno o comprare dell’acqua per il figlio. Non a caso la Procura ha diramato la fotografia di Viviana e di Gioele a tappeto in paese, chiedendo a tutti di collaborare. Infine, il mistero del percorso dal punto dell’incidente a quello del ritrovamento. La zona al di là del guardrail è stata considerata impraticabile per giorni dai soccorritori («C’è un canalone profondo due metri e poi una solida rete alta un metro e mezzo»), ma in realtà non si è rivelata impenetrabile. La rete in quel punto è alta non più di sessanta centimetri. Perché è andata proprio lì? Di sicuro c’è che Viviana non è voluta rientrare nella galleria da cui era uscita a piedi dopo l’incidente e dove aveva accostato la macchina, lasciando la borsa con soldi e documenti. Irrazionale, ma comprensibile se si è molto spaventati. Altrettanto comprensibile non volersi avventurare a piedi sul ciglio dell’autostrada, con le macchine che sfrecciano accanto e un bambino in braccio. Ragionevolezza avrebbe voluto dirle di restare lì, ad aspettare i soccorsi. Ma forse ha avuto paura, forse Gioele era ferito, e quel terreno oltre il guardrail apparentemente non impervio, con le case che sembrano vicine, le è parso il miglior modo per mettere al riparo se stessa e il figlio. Quel figlio che in uno degli ultimi post su Facebook salutava così: «Ti amo tanto, andiamo a fare un po’ di nanna».
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