Torno in treno da Milano a Roma il giorno in cui Papa Francesco predica in tre basiliche romane un ritiro spirituale ai preti e vedo scorrere sui video del Frecciarossa 1000 – quelli che danno le tre o quattro notizie più importanti del mondo – queste parole: “il nostro popolo perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere attaccati al denaro“.
Nel giorno della Repubblica, nei giorni di Saraammazzata e non difesa dai passanti, della ragazza trovata impiccata, degli imminenti nuovi sindaci, la frase del Papa sulla ricchezza dei preti è quella che passa di più. Perché il Papa e le sue parole non vengono trattati come parole di sagrestia, per addetti ai lavori, come notizie vaticane? Se Ratzinger avesse detto le stesse cose dove le avremmo lette e trovate? Non certo sul Frecciarossa 1000 tra un annuncio di velocità e un altro.
Il motivo è che Papa Francesco, molto prima di essere un buon comunicatore, è un gran costruttore di comunione. Non c’è comunicazione senza comunione reale, dovremmo ricordarcelo in tanti uffici e in tante famiglie. Nel 2013 Papa Francesco disse a Scalfari che avrebbe cambiato la Chiesa e lo sta facendo: questo è il motivo per cui la gente lo ascolta. C’è chi lo critica da posizioni tradizionaliste, e questo si può capire; c’è chi lo critica da posizioni progressiste, e questo lo si capisce meno. Questi ultimi dicono che a parole e a gesti i cambiamenti sono molti ma, nei fatti, non c’è nulla: ma questo non è vero. Basta pensare a cosa ha deciso per snellire le procedure di nullità matrimoniale o a quanto ha scritto in Amoris Laetitia a proposito dei sacramenti per i divorziati risposati. Sono solo due esempi che mi servono per dire che “la gente sa”, la gente “si accorge”; e, perché no, se ne accorgono anche gli editori e gli autori dei palinsesti.
Parlano del Papa perché interessa – enormemente – alla gente. Se il Papa dice ai preti che il popolo perdona loro molti difetti ma non quello di essere attaccati al denaro, la gente non pensa solo al proprio parroco ma pensa anche a chi ha un ruolo di potere, di comando, di governo, di coordinamento: al lavoro, in comune, tra i parenti. E pensa a chi, in quel ruolo, pensa ai soldi e non alla gente. Quando il Papa condanna la corruzione degli ecclesiastici, a qualcuno interessa solo la corruzione degli ecclesiastici ma a moltissimi interessa la corruzione anche di tanti tanti altri: il pensiero non è solo alla parrocchia; è, molto prima, alla riunione di condominio.
E poi la persona qualunque pensa anche a se stessa. Perché pochi di noi hanno posizioni apicali ma moltissimi di noi hanno ruoli, anche minimi, anche piccolissimi, nei quali si accorgono di non essere del tutto limpidi. Nessuno è solo re e nessuno è solo schiavo. Siamo in mezzo tutti. Se c’è una patria comune è questa, la nostra, e ci riguarda tutti.
Per me, da prete, ascoltare le parole del Papa è stato duro. Di una durezza non contundente ma fondante. Gesù, ai suoi tempi, non ha parlato e agito da quel Cristo che si aspettavano ma è stato Gesù, da Nazareth, il figlio del carpentiere. Ha “fatto” Dio con quel Gesù che era. Ecco perché poi quando sei sul Frecciarossa 1000 e passano i titoli con le notizie principali dall’Italia e dal mondo, non ti stupisci se di continuo passano le parole del Papa ai preti.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da Huffingtonpost