«CHIESE DA RICOSTRUIRE». Guidata dal cardinale Philippe Barbarin, a cui papa Francesco ha anche affidato un messaggio video per i cristiani perseguitati, la delegazione francese di Lione di cui padre Grosjean faceva parte ha visitato Erbil dal 5 al 7 dicembre. Il sacerdote ha incontrato la prima famiglia rifugiata in un grande casermone di cemento armato senza porte e finestre. Uno scheletro in costruzione, dove centinaia di persone dormono per terra. «Una nonna anziana mi si è gettata tra le braccia piangendo e mi ha presentato il suo piccolo nipote: “Suo padre è stato rapito dallo Stato islamico – mi ha detto – e non ne abbiamo saputo più niente”. Il bambino mi ha guardato con occhi tristi: “Hanno distrutto le nostre chiese. Abbounna! Quando potremo tornare alle nostre case? Vanno ricostruite».
PERSECUZIONE REALE. Davanti a un tale «grido di dolore», padre Grosjean non sapeva cosa rispondere ma ha detto: «Siamo venuti qui perché voi non siate dimenticati e per pregare per voi. Noi pregheremo per voi, perché possiate ricostruire le vostre chiese. Ma anche voi, se potete, pregate perché le nostre in Francia si riempiano». Che altro dire? Scrive il sacerdote nel suo resoconto: «Per la prima volta mi sono trovato davanti a persone che hanno conosciuto la persecuzione reale. Avevo davanti ai miei occhi dei martiri. E nessuno di loro ha rinnegato la sua fede. Se potessero salvarci dalla nostra tiepidezza».
«MANTENERE LA SPERANZA». Durante la visita, padre Grosjean si è vergognato più volte sentendosi «un po’ un turista». Ma come gli ha detto il 6 dicembre il patriarca dei caldei Louis Mar Raphael I Sako, in occasione della Messa con tutti i cristiani nella cattedrale di Erbil e della successiva processione per l’Immacolata per le strade della città curda, la loro visita aiuta i cristiani a mantenere la speranza e «la battaglia dei cristiani di Erbil oggi è solo questa: come mantenere la speranza in queste condizioni?».
«OSPITALITÀ DEI POVERI». Un incontro che ha colpito particolarmente il sacerdote francese è quello fatto il 6 dicembre in un edificio in costruzione abbandonato, che ospita circa 400 famiglie. Una di queste è composta da sette persone e abita in una stanza piccolissima, «la metà della mia camera in canonica». L’uomo faceva il poliziotto a Qaraqosh prima di essere cacciato e ora non viene pagato dallo Stato da sei mesi. Appena padre Grosjean è arrivato, è stato accolto «con calore» ed invitato a dividere la colazione e un bicchiere di the con i rifugiati. Durante la visita, uno dei figli più piccoli, Salah, quattro anni, è corso in un cantuccio a prendere la Bibbia disegnata per bambini. Voleva mostrarla al sacerdote, che annota: «Se avessi dovuto abbandonare la mia casa in un’ora, avrei mai pensato a prendere la Bibbia?». Una cosa l’ha colpito ancora di più: «Questi fratelli mi hanno dato una bella lezione di Vangelo. Non hanno più niente tranne due tesori: la famiglia e la fede. Mi hanno fatto scoprire la grande ospitalità dei poveri».
GESÙ ACCAMPATO. In un altro accampamento della capitale, le tende non si contano. «Regna una gioia fervente stasera, ora che il campo è illuminato da centinaia di piccole candele [in occasione della Messa, ndr]. In mezzo, c’è un presepe. Anche la Santa Famiglia è sotto una tenda. Come duemila anni fa, quando è scappata dall’Egitto per sfuggire alla persecuzione di Erode, anche oggi è accampata in mezzo ai rifugiati. Il simbolo è forte. I bambini vengono a deporre il loro cero davanti al Re bambino».
Andare a visitare i cristiani perseguitati di Erbil può sembrare poco, continua padre Grosjean, ma ha un valore, come spiegato dal vescovo di Erbil, monsignor Bashar Warda: «La vostra visita ci fa capire che anche se siamo perseguitati, noi non siamo per questo dimenticati. La vostra visita per noi è come l’apparizione dell’Angelo a Maria. Ci fa sperare in un miracolo». Un cristiano aggiunge: «Tutti qui non vediamo l’ora di andarcene. Ma venendo qui da noi, voi ci aiutate a restare».
Fonte: Tempi
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