Papa Francesco riceverà questo giovedì in udienza il nuovo presidente israeliano Reuven Rivlin. Si tratta della prima visita del presidente, che è stato eletto nel giugno 2014. Proprio l’8 giugno dell’anno scorso, ai Giardini Vaticani (nella foto), si tenne un incontro di preghiera per il Medio Oriente con il Pontefice e i presidenti israeliano e palestinese. Ma in quell’occasione erano altri i protagonisti.
Fu un momento storico di condivisione e fraternità. In quell’occasione, Francesco sottolineò che «per fare la pace ci vuole coraggio, molto più che per fare la guerra». A poco più di un anno di distanza, a suo avviso, quali frutti ha maturato quel seme?
Per più di un secolo abbiamo cercato un “interruttore magico”, un accordo miracoloso che mettesse fine alla tragedia tra gli ebrei e gli arabi in Terra Santa. Sappiamo ora che una vera soluzione, una pace duratura nella regione, si trova solo alla fine di una strada lunga e tortuosa. I primi passi, su questo percorso, sono il dialogo, il rispetto reciproco e la comprensione. L’iniziativa del Papa è stato un gesto simbolico importante, che ha risuonato con grande forza. Io credo nel dialogo tra popoli diversi, di fedi diverse. Un dialogo che servirà da ponte tra le comunità: israeliani, arabi, ebrei, musulmani, cristiani. E credo nelle iniziative per promuoverlo, questo dialogo. Iniziative che devono coinvolgere la leadership politica e la più larga parte della società.
Lei è in carica da poco più di un anno, e sta rappresentando Israele in una fase molto delicata per il Paese. Come ha affrontato questo periodo sotto il profilo politico e personale?
La mia famiglia arrivò in Israele nel 1809. Erano allievi del grande studioso Gaon di Vilna. E seguirono il suo insegnamento: non bisogna solo pregare tre volte al giorno per tornare a Gerusalemme, bisogna proprio tornare a Gerusalemme. I musulmani e cristiani di Gerusalemme accolsero con favore i nuovi vicini ebrei. Mi ricordo che quand’ero bambino sentivo il droghiere musulmano rivolgersi in yiddish ai suoi clienti ebrei che, a loro volta, rispondevano in arabo. Questo è ciò che Gerusalemme è, questo è ciò che Israele è: un microcosmo di tutto il mondo, la dimostrazione della nostra capacità come esseri umani di andare d’accordo, di vivere in pace, uguali davanti alla legge, e creati ad immagine di Dio. Sono cresciuto tra i musulmani e i cristiani di Gerusalemme: non siamo stati mai estranei, e in casa sentivo mio padre – uno studioso che ha tradotto in ebraico il Corano – parlare in arabo con i suoi amici e vicini di casa. Da questa esperienza traggo la forza di credere che possiamo trovare una via d’uscita. Ma forse è ancora più importante la volontà di vivere insieme, in pace, che vedo all’interno delle diverse comunità d’Israele. Ogni settimana incontro ebrei, cristiani, musulmani, religiosi, laici, giovani e meno giovani che vogliono trovare un percorso comune, per il bene di tutti e per amore dei nostri figli. In questo modo potremo superare le sfide che ci attendono.
Recentemente sono aumentati in Israele gli episodi di estremismo religioso. Quando è stato ucciso il bimbo palestinese Ali Dawabshes, Lei ha espresso un sentito messaggio di cordoglio, spiegando di provare dolore «perché membri del mio popolo hanno scelto la via del terrorismo e hanno perso il volto umano». Lei ha parlato anche di una «grande frattura» che sta spaccando il Paese. Come si sta muovendo Israele su questo delicatissimo fronte?
Ci sono due risposte a questo problema. In primo luogo, dobbiamo essere tutti uniti e fermi nella lotta al fondamentalismo, in qualsiasi forma si presenti, e chiunque ne sia responsabile, ebrei o musulmani. La Knesset e la leadership politica si sono mosse per aumentare i poteri delle forze di sicurezza incaricate di affrontare questo pericolo. Ho piena fiducia in loro: so che agiranno con dedizione, e in modo adeguato. Poi, però, è necessaria anche una leadership morale. E dalle scuole, dalle università, dai media, dalle sinagoghe, e dai gruppi e dalle comunità giovanili si è levata forte la voce degli israeliani contro questi crimini terribili.
Il processo di pace è in una fase di stallo. E la Comunità internazionale appare concentrata su altre “emergenze”, soprattutto quelle determinate dall’avanzata jihadista in Siria e Iraq. In questo orizzonte, quali prospettive vede per il negoziato tra israeliani e palestinesi?
C’è sempre speranza. Ma noi sappiamo che l’unico modo per raggiungere una soluzione duratura è attraverso negoziati diretti. Un accordo non può essere forzato o imposto. L’unico modo per raggiungerlo è costruendo la fiducia con il dialogo. In proposito, temo che l’Autorità palestinese e la sua leadership non possano portare a un accordo che sarà accettato dal loro popolo. Dopo anni di incitamento alla distruzione di Israele, avranno difficoltà a far passare anche la più favorevole delle soluzioni dei due Stati. Soluzioni che in passato Israele ha saputo offrire, ma sono state respinte o ignorate. È per questo che Abu Mazen chiede l’intervento di enti e istituzioni internazionali per ottenere risoluzioni contro Israele. La comunità internazionale ha il dovere di dire con chiarezza che i negoziati devono essere rinnovati, come unico modo per trovare una soluzione.
In Europa crescono i sentimenti di antisemitismo. E si moltiplicano le iniziative che propongono il boicottaggio di Israele. Come reagisce lo Stato ebraico di fronte a queste provocazioni?
Molti di coloro che sostengono il boicottaggio di Israele pensano in buona fede di dare un contributo. Di questo sono sicuro. La verità è che si sbagliano. I boicottaggi mettono solo distanza tra le persone, e danno più forza agli estremisti. Non aiutano il popolo palestinese; non aiutano il popolo israeliano. Altri boicottaggi sono invece guidati da un pregiudizio antisemita: rappresentano un nuovo modo per mostrare odio verso gli ebrei. È un male che sta rialzando la testa, ancora una volta, sul suolo europeo e in tutto il mondo. È un problema che molti governi – come quello italiano – stanno combattendo attraverso l’educazione, e la legge. Come si dice, una società può essere giudicata dal modo in cui tratta gli ebrei. E si tenga conto che la persecuzione degli ebrei è solo l’inizio della persecuzione di altre società e culture. È molto preoccupante che l’antisemitismo sia in aumento in tutta Europa – anche o addirittura soprattutto nei Paesi dove sono pochissimi gli ebrei ancora viventi. Dico all’Europa: noi siamo qui, come partner disposti ad aiutare in qualsiasi modo per combattere questo odio antico e distruttivo.
Israele ha ripetutamente espresso forti critiche nei confronti dell’accordo sul programma nucleare iraniano raggiunto lo scorso Luglio a Vienna. Quali sono i maggiori pericoli che leggete in quell’intesa? Quali sono, per Israele, le soluzioni praticabili per contenere le spinte iraniane? Infine: negli scorsi mesi, si sono registrate profonde divergenze con gli Stati Uniti sull’argomento. Israele come intende muoversi su questo fronte?
Cerchiamo di chiarire una cosa: l’Iran continua a minacciare Israele con o senza armi nucleari. Utilizzando Hezbollah e Hamas come “eserciti per procura”, armati di decine di migliaia di missili pronti e puntati verso Israele. L’Iran continua a esportare la sua ideologia al vetriolo, e la sostiene con atti di terrorismo, non solo in Medio Oriente, ma in tutto il mondo. Temiamo che questo accordo sia un primo passo verso la legittimazione di tali politiche, e delle strategie dell’Iran. Per questo è stata espressa una netta opposizione. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il Congresso voterà l’intesa, ma qualunque cosa decidano, il legame di Israele con gli Stati Uniti rimarrà forte, basato su valori condivisi di libertà e democrazia. Da buoni amici, ogni tanto si può non essere d’accordo, ma continueremo a lavorare insieme per il bene comune.
Come valuta gli attuali rapporti tra Israele e l’Italia? Quale ruolo ritiene possa svolgere l’Italia per la pacificazione della regione mediorientale?
Il nostro è un rapporto di stretta amicizia. Siamo gli eredi di due delle più grandi culture del mondo antico. E oggi abbiamo avviato un’avanzata partnership nei campi della scienza, della tecnologia, della sicurezza. Una cooperazione che non è solo tra i nostri governi, ma tra i nostri popoli. L’Italia ha un ruolo importante nel riunire le due parti in questa regione, e nel mostrare fermezza contro il fondamentalismo. Non vedo l’ora di parlare con il Presidente della Repubblica Italiana su questa importante questione, di discutere con lui le modalità per approfondire ulteriormente la nostra amicizia.
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Barbara Uglietti)
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