Ah sì. Che nel frattempo stiamo perdendo pezzi pregiati come Telecom, Alitalia, Finmeccanica senza che si possa fare qualcosa (vedi lo scorporo della rete telefonica e internet da chi ne è ora proprietario). Che il settore bancario, alle prese con una crisi epocale, rischia di smottare senza che vi sia alcuna “copertura” politica che in altri Paesi ha salvato la situazione. Che la disoccupazione finora contenuta dalle casse integrazioni, esploda in tutta la sua gravità, con i riflessi prevedibili sulla tenuta sociale del Paese.
Il tutto, poi, darebbe un’occasione ghiotta per i mercati finanziari (si chiamano così quei giovanotti che manovrano miliardi di euro col computer, alla ricerca di rendimenti ottenuti speculando su tutto) per abbattere prima i nostri titoli di Stato, facendone crollare il valore, per poi ricomprarseli più avanti a prezzo vile. È già successo nel 2011 e nel 2012. Qualcuno ha fatto enormi fortune, sulle spalle dello Stato e dei contribuenti italiani. La terza ipotesi – un cambio di maggioranza – deve trovare numeri ora improbabili e soprattutto un amalgama di programma tutto da costruire. È assai probabile che, in un simile scenario, gli unici punti di contatto possibili siano quelli sulle regole (sistema elettorale in primis). Ok, ma il resto? Può l’Italia permettersi di vivacchiare nulla facendo, mentre la classe politica resta in tutt’altro affaccendata? Qualsiasi sia la motivazione, l’Italia non può più permettersi di vivacchiare, di tirare a campare, di procrastinare o dimenticare. Un’affermazione perentoria dal punto di vista economico. Il continuo calo della ricchezza prodotta (il famoso Pil) fa sì che gli italiani abbiano meno soldi in tasca da spendere; che il “malato produttivo” non si risollevi e anzi perisca; che lo Stato abbia sempre meno risorse per funzionare. Che, in definitiva, ci si avvii rapidamente verso un orizzonte greco. È questo che vogliamo? È questo che vogliono?
Nicola Salvagnin per Agenzia Sir
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