Categorie: Ethica et Oeconomia

Il prezzo della crisi? Nelle nostre tasche

Si rischia di vanificare in un attimo due anni di lacrime e sangue che hanno evitato il collasso del Paese. L’Italia non può più permettersi di vivacchiare, di tirare a campare, di procrastinare o dimenticare. E ora. Invece, potrebbe materializzarsi l’incubo Grecia – Le turbolenze continue della politica italiana non prospettano nulla di buono per l’economia e per la possibilità, ogni giorno sempre meno concreta, che questa si riprenda. Le fibrillazioni del quadro politico possono avere due effetti nefasti, e uno potenzialmente negativo. I pericoli maggiori vengono da due situazioni: una brusca interruzione di una legislatura appena nata – con conseguente, lunga campagna elettorale senza un governo nel pieno delle funzioni e con la quasi certezza di replicare l’attuale situazione -, oppure una strisciante e lenta agonia, che lasci Letta e compagni ai posti di comando, ma praticamente senza leve da azionare. Insomma, la non governabilità a pochi giorni dal termine ultimo per presentare la legge di Stabilità, cioè la vecchia “Finanziaria” che metterà le basi economiche per il 2014.  Si bloccherebbe l’urgente, e si bloccherebbe pure il lavoro fin qui messo in piedi per dare più fiato all’economia nei prossimi anni. Iva e rimodulazione delle altre imposte, coperture per chi è senza lavoro, finanziamento delle missioni militari all’estero e una miriade di altri provvedimenti di minore impatto economico, ma altrettanto importanti per chi li attende, finirebbero nel tritacarne. E con essi l’Italia, che getterebbe in un amen due anni di lacrime e sangue per non finire nel baratro economico. Che altro dire?

Ah sì. Che nel frattempo stiamo perdendo pezzi pregiati come Telecom, Alitalia, Finmeccanica senza che si possa fare qualcosa (vedi lo scorporo della rete telefonica e internet da chi ne è ora proprietario). Che il settore bancario, alle prese con una crisi epocale, rischia di smottare senza che vi sia alcuna “copertura” politica che in altri Paesi ha salvato la situazione. Che la disoccupazione finora contenuta dalle casse integrazioni, esploda in tutta la sua gravità, con i riflessi prevedibili sulla tenuta sociale del Paese.
Il tutto, poi, darebbe un’occasione ghiotta per i mercati finanziari (si chiamano così quei giovanotti che manovrano miliardi di euro col computer, alla ricerca di rendimenti ottenuti speculando su tutto) per abbattere prima i nostri titoli di Stato, facendone crollare il valore, per poi ricomprarseli più avanti a prezzo vile. È già successo nel 2011 e nel 2012. Qualcuno ha fatto enormi fortune, sulle spalle dello Stato e dei contribuenti italiani. La terza ipotesi – un cambio di maggioranza – deve trovare numeri ora improbabili e soprattutto un amalgama di programma tutto da costruire. È assai probabile che, in un simile scenario, gli unici punti di contatto possibili siano quelli sulle regole (sistema elettorale in primis). Ok, ma il resto? Può l’Italia permettersi di vivacchiare nulla facendo, mentre la classe politica resta in tutt’altro affaccendata?  Qualsiasi sia la motivazione, l’Italia non può più permettersi di vivacchiare, di tirare a campare, di procrastinare o dimenticare. Un’affermazione perentoria dal punto di vista economico. Il continuo calo della ricchezza prodotta (il famoso Pil) fa sì che gli italiani abbiano meno soldi in tasca da spendere; che il “malato produttivo” non si risollevi e anzi perisca; che lo Stato abbia sempre meno risorse per funzionare. Che, in definitiva, ci si avvii rapidamente verso un orizzonte greco. È questo che vogliamo? È questo che vogliono?

Nicola Salvagnin per Agenzia Sir

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