50 anni fa l’uomo metteva piede sulla luna. Armstrong fu il primo a scendere, mentre Aldrin aveva con sé un kit consacrato con un’ostia e del vino: “Era interessante per me pensare: il primo liquido versato sulla luna e il primo cibo mangiato sono stati gli elementi della Comunione”.
.Il prossimo 20 luglio, si celebreranno i 50 anni dalla missione di Apollo 11, l’uomo mise piede sulla Luna. Era il 1969 e quel momento rimane nella memoria collettiva col sottofondo della voce di Neil Armstrong: “Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità”. Erano più o meno le 20, ora italiana, e 19 minuti dopo Armstrong anche l’altro astronauta a bordo del modulo lunare, Edwin E. Aldrin Jr. detto Buzz, scese sul Mare della Tranquillità. Intanto, sul modulo di comando in orbita attorno alla luna c’era il terzo membro della missione, Michael Collins.
L’evento fu mandato in onda in tutto il mondo, i miei genitori e nonni ne ricordano ancora i minimi dettagli raccontati dalla voce di Tito Stagno. Ma qualcosa di davvero significativo accadde e non fu mandato in onda: ci fu una lunga pausa tra il momento in cui il LEM toccò il suolo lunare e il momento in cui Armstrong ci poggiò il piede; il piano della missione prevedeva che gli astronauti si riposassero prima dell’evento. Durante quella pausa, Buzz Aldrin fece la Comunione usando un apposito kit portato con sé; Neil Armstrong lo osservò in rispettoso silenzio e la Nasa ne era informata. Per capire il senso di quel gesto e perché venne tenuto segreto occorre fare un passo indietro, alla missione di Apollo 8.
Nel 1962 JFK aveva promesso che l’uomo avrebbe messo piede sulla luna, ma non poté assistere alla realizzazione dell’impresa. Un primo grande traguardo fu compiuto dalla missione di Apollo 8, la prima, con degli uomini a bordo, a lasciare l’orbita della Terra, a raggiungere la Luna, ad orbitare intorno ad essa e tornare in sicurezza sulla Terra. Ne facevano parte tre astronauti: Frank Borman, Jim Lovell e William Anders. (Lovell, forse, noi tutti lo ricordiamo per l’interpretazione di Tom Hanks che raccontò nell’omonimo film quel “fallimento di grande successo” che fu Apollo 13).
Questi tre uomini furono i primi a vedere il lato scuro della luna, peraltro. La missione partì il 21 dicembre e si trovò a festeggiare il Natale facendo il girotondo attorno al candido satellite; dunque: come fare gli auguri in diretta televisiva mondiale? Fu Anders a rompere il ghiaccio con queste parole:
Ci stiamo avvicinando all’alba lunare e, per tutte le persone che sono sulla terra, l’equipaggio di Apollo ha un messaggio che vorrebbe condividere con voi.
Alternandosi nella lettura, Lovell, Anders e Borman lessero il primo capitolo della Genesi. Immaginiamoci che senso profondo potesse avere per loro pronunciare dallo spazio, al cospetto della Luna, parole come:
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.
Fu un evento che non passò inosservato e generò persino una forte irritazione che sfociò in un’azione legale. Madalyn Murray O’Hair, fondatrice degli Atei americani e nota come ‘donna più odiata d’America’, citò in giudizio la NASA proprio per quella lettura biblica in mondovisione:
O’Hair voleva bandire le pratiche religiose da parte degli astronauti della Nasa sulla terra, nello spazio e attorno alla luna mentre erano in servizio. (da Real Life Stories)
[Madalyn Murray O’Hair] in riferimento alla lettura pubblica della Genesi, sostenne che gli astronauti erano in quel momento impiegati pubblici e che la separazione tra chiesa e stato supportava la sua causa. (Huffington Post)
La causa legale finì in nulla, ma era stato un avvertimento che la Nasa non ignorò più e modificò le sorti di ciò che avvenne a bordo dell’Apollo 11.
C’erano un’atea, un deista e un cristiano … potrebbe essere l’inizio di una storiella divertente, ma furono tre presenze forti a bordo della missione che portò l’uomo sulla luna.
Neil Armstrong si dichiarò deista (cioè ammetteva l’esistenza di un Essere Supremo e Creatore, negando però la necessità della Rivelazione), Buzz Aldrin invece era un cristiano devoto, legato alla Chiesa presbiteriana di Webster in Texas. Vissero l’esperienza della missione con uno sguardo diverso sull’universo; attorno a loro aleggiava ancora l’eco oscura della voce inquisitoria dell’atea O’Hair. Aldrin aveva pensato a lungo a ciò che avrebbe vissuto e a come onorare al meglio l’evento. Si sentiva come Cristoforo Colombo, a tu per tu con un nuovo “continente” e uno dei primi gesti fatti dal navigatore genovese sul suolo americano fu la Comunione. Aldrin si confrontò dapprima col pastore Dean Woodruff, che gli preparò un apposito kit da portare nello spazio: conteneva un’ostia consacrata e una piccola fialetta di vino consacrato.
Ma la Nasa cosa ne pensava?
Nel suo libro Magnificent Desolation, Aldrin racconta cosa gli disse l’astronauta Deke Slayton, che era a capo delle operazioni dell’equipaggio di Apollo 11: “Fallo pure, prendi la Comunione, ma commenta la cosa tenendoti sul generale”. (da The Guardian)
Così fu. Poco dopo l’allunaggio del LEM, riporta Aleteia, e prima che Armstrong scendesse, Aldrin prese parola chiedendo a Houston un momento di ringraziamento.
Questo fu ciò che gli spettatori di tutto il mondo ascoltarono:
Houston, qui è il pilota del modulo lunare. Vorrei cogliere questa occasione per chiedere a ogni persona in ascolto, chiunque e dovunque sia, di fermarsi un momento a contemplare gli eventi delle ultime ore e che ciascuno possa ringraziare nel modo che ritiene più opportuno.
Seguì un momento di silenzio e ciò che accadde sul LEM rimase ignoto a tutti sulla terra, l’unico che vide e ascoltò fu Neil Armstrong.
“Io sono la vite e voi i tralci”
Atterrare sulla Luna non è come arrivare dalla nonna il giorno del Ringraziamento. Non si salta già dal modulo lunare appena i motori sono spenti gridando: “Eccoci, eccoci!”. […] La procedura prevedeva che mangiassimo un pasto, ci riposassimo e poi dormissimo per sette ore. […] I responsabili della missione avevano comunicato ai media che potevano fare una pausa e riprendere fiato perché non sarebbe successo nulla mentre ci riposavamo. Era dura riposare con tutta quell’adrenalina in corpo. Tuttavia, nello sforzo di rimanere calmo e concentrato decisi che era il momento opportuno per la cerimonia che avevo meditato, come gesto di gratitudine e speranza. (da Magnificent Desolation)
.Dopo aver contattato Houston e aver pronunciato il discorso generale di rigraziamento, Buzz Aldrin estrasse il kit consacrato dalla tuta spaziale e, con l’approvazione di Armstrong, versò il vino nel calice e fece la Comunione:
Tirai fuori anche un piccolo foglietto su cui avevo scritto le parole di Gesù: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. Versai un po’ di vino nel calice dalla confezione sigillata e aspettai che il vino si depositasse, a causa della gravità lunare che è un sesto di quella terrestre. […] Lessi in silenzio il passo della Bibbia e presi l’ostia e il vino, feci una preghiera personale riguardo al compito che ci era affidato e all’opportunità che mi era stata offerta. Neil guardò con rispetto, senza fare alcun commento in quel momento.
La neutralità imposta dalle grida di un’atea non impedì la presenza di questo gesto e, per quanto silenziosa alle orecchie del mondo, quella voce ci fu: la voce di un astronauta che si riconosceva “ramo”, cioé non superuomo ma collaboratore dell’opera universale di un Dio senza la cui presenza viva in mezzo agli uomini nulla accade.
Di Annalisa Teggi per Aleteia.org
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