Non c’è stato neppure il minimo dubbio da parte dei medici nell’ammettere, sia pure con la prudenza del caso, un intervento “soprannaturale” nella guarigione di un ragazzino di Trieste. Ecco il momento chiave che ha permesso di avviare con decisione il processo di beatificazione di Chiara “Luce” Badano, la ragazza di Sassello che era stata portata via a soli 19 anni da un osteosarcoma, ma che aveva affrontato la malattia con una forza di volontà eccezionale e un’assoluta fede, tanto da stupire anche chi la conosceva bene e da accendere una venerazione che si è estesa oltre i confini della Liguria.
Ecco i particolari, gli elementi fondamentali della vicenda che ha convinto le commissioni, incaricate di valutare il caso di Chiara, a concedere il benestare per far procedere la causa di beatificazione.
Il nodo ruota intorno al “miracolo” attribuito a Chiara nella guarigione di un sedicenne di Trieste, la cui identità è nota solo a chi si è occupato direttamente del caso.
A confermare alcuni aspetti è la stessa Postulatrice della causa di canonizzazione, Mariagrazia Magrini: «La storia non era mai stata riportata per rispetto della famiglia – spiega – ma ora che il ragazzo è diventato un uomo, alcuni particolari cominciano ad emergere, pur con certi limiti. Il ragazzino era stato improvvisamente colpito da una meningite nel 2001 e ricoverato d’urgenza nell’ospedale infantile di Trieste. I disperati tentativi di salvarlo erano falliti, rendendo vano anche il trasferimento in un altro centro. Fu la mamma del ragazzo a non demordere, parlando con il fratello, aderente al movimento dei Focolarini».
Con la scienza alla resa, l’unica via di speranza restava confinata nella fede. «Lo zio del giovane propose di chiedere l’intercessione di Chiara Badano, della quale conosceva la storia, per arrivare ad una grazia divina. Dopo una notte trascorsa in preghiera, il giorno successivo il ragazzo iniziò a migliorare. Va sottolineato un aspetto importante: le cause della guarigione non devono essere ricollegabili alle terapie perché si possa iniziare a parlare di un miracolo».
È il problema che si è verificato poco tempo fa nel caso di papa Giovanni Paolo II, la cui beatificazione ha incontrato degli ostacoli proprio perché non si è sicuri dell’influenza dei farmaci nel miracolo a lui attribuito. «La causa viene esaminata dalle commissioni formate da medici, teologi e vescovi. Perché il processo vada avanti è necessario prima di tutto che i medici ammettano che la guarigione non è dipendente in alcun modo dall’intervento della scienza. È sempre difficile che nemmeno un medico abbia il minimo dubbio. Nel caso del ragazzo di Trieste, invece, tutti i medici ammisero che le terapie non avevano funzionato, erano unanimemente concordi sull’impossibilità della guarigione: avevano di fronte un caso gravissimo, con cinque organi vitali già compromessi. E quindi l’unica possibilità per giustificare la ripresa era l’intervento soprannaturale. Poi tocca ai teologi esaminare ciò che è accaduto e la fase della preghiera. Infine i vescovi effettuano un’analisi finale di tutta la documentazione».
Il ragazzino non conosceva Chiara. «Neppure la famiglia la conosceva. La proposta partì dallo zio, che faceva parte del movimento e aveva seguito la vicenda di Chiara. Il ragazzo non ricorda nulla dell’accaduto».
Redazione
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