Nel tempo della guerra, la nostra vocazione al dialogo potrebbe sembrare una follia ma sperimentiamo, giorno dopo giorno, che essa potrebbe essere la via, mi vien da dire l’unica via d’uscita verso un mondo di pace. Lo racconta una suora impegnata nella Siria a Vaticannews.va
Il nostro monastero è stato una meta per tanti pellegrini che desiderano, oltre a soddisfare la loro curiosità culturale, appagare la loro sete spirituale. La guerra ha avuto il suo effetto su questo movimento e abbiamo sentito la chiamata di scendere in città per soccorrere i bisognosi. Nel 2013, in uno spazio sotterraneo, la comunità ha celebrato la Messa di Natale dopo la distruzione del quartiere cristiano nella città di Nebek, la città più vicina al monastero.
Dopodiché, è iniziato un immenso lavoro di restauro delle case grazie all’entusiasmo di tanti collaboratori e alla generosità di tanti amici sparsi in diverse parti del mondo. Nello stesso anno, tante famiglie musulmane hanno trovato rifugio nel monastero di Mar Elian, un monastero nella città di Qaryatyan affidato alla comunità dal 2000. Anche qui, grazie alla solidarietà di tanti siamo riusciti ad aiutare queste famiglie a restaurare le loro case perchè potessero ritornarci.
Dopo questo tempo intenso di combattimento è seguito un tempo di relativa calma, un periodo nel quale abbiamo cominciato a pensare al futuro. Abbiamo, infatti, sentito che è appropriato, ma anche necessario “pronunciare una parola di speranza in questa notte oscura, di accendere una candela invece di maledire l’oscurità”, citando la lettera scritta dalla comunità monastica per la veglia di Natale, di cui vi ho parlato sopra.
Pensare al futuro vuol dire pensare ai bambini e ai giovani. Da quel momento e fino ad oggi, abbiamo sostenuto un asilo nella città di Nebek, abbiamo fondato una scuola di musica per i bambini e i ragazzi delle due parrocchie della città e aiutato diversi giovani nel loro studio universitario o nel lavoro.
Le poche notizie che si sentivano ultimamente sulla situazione siriana nei notiziari italiani hanno ceduto il loro posto ad altre, purtroppo sempre di guerra. Un immenso dolore penetra i cuori siriani e la crisi continua anche oggi. Se scrivo queste parole è solo perché vorrei testimoniare come, malgrado tutto, la speranza nasce dai gesti quotidiani molto semplici, gesti che i media non sono capaci di trasmettere, o anche decidono coscientemente di non trasmettere.
Lungo gli anni della guerra abbiamo potuto toccare la misericordia del Signore espressa nella reciproca compassione e solidarietà tra fratelli.
Partecipare ad alcune Messe nella città, vedere i giovani, cristiani e musulmani servire chi ha bisogno con entusiasmo e gioia, assistere alle preghiere del rosario nelle case mentre il combattimento era alle porte, sentire un coro di bambini, sapere che tanti amici musulmani si preoccupano per noi e pregano per la pace denunciando ogni tipo di violenza, sentire le preghiere di tanti amici sparsi in tutto il mondo… tutto ciò ha fatto spuntare una timida luce di speranza.
Alle volte, infatti, bastava vedere come la gente semplice continua a vivere, a credere in Dio e a sperare in un futuro migliore per riprendere il fiato e continuare ad intraprendere la via stretta della speranza. Per quanto mi riguarda, e penso di non rappresentare in questo solo me stessa ma anche la mia comunità e tanti siriani, in questi anni, ho lottato per custodire anche la speranza nell’uomo e nella sua capacità di fare il bene e di scegliere la via della non violenza. Ho fiducia nella sua possibilità di aprirsi alla grazia del Signore
L’intervista completa su Vaticannews.va qui
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