Beata María Rafols Bruna è stata una religiosa e fondatrice spagnola della congregazione delle Suore della Carità di Sant’Anna (insieme al sacerdote Juan Bonal).
Nasce il 5 novembre 1781 a Villafranca del Panades, Spagna, nel mulino di En Rovira, dove il padre lavorava come mugnaio; era la sesta dei dieci figli della famiglia di Cristóbal Rafols e Margarita Bruna Brugal.
Al battesimo, il 7 novembre, ricevette il nome di Maria Josefa Rosa. La sua era una famiglia semplice, lavoratrice, di salde virtù cristiane da cui ricevette i primi insegnamenti e lezioni di vita, di austerità, di lavoro e di aiuto reciproco nell’ambito della famiglia. Cinque dei suoi fratelli morirono in tenera età.
Nel mese del maggio 1783, la famiglia si trasferì a La Bleda, paesino vicino a Villafranca, ove il 27 maggio 1785 ricevette la cresima. Quando Maria aveva 11 anni, la famiglia Rafols si trasferì di nuovo in un altro paesino limitrofo, chiamato Santa Margarita, ove dovette sperimentare ben presto la dura realtà della morte, nel 1793 infatti, morì il piccolo fratello Giuseppe e all’inizio dell’anno 1794 morirono un fratello di suo padre e sua moglie ed il 10 luglio 1794 perse il padre.
In seguito, senza dubbio per le sue qualità eccezionali, i suoi familiari, mandarono Maria nel Collegio dell’insegnamento di Barcellona sotto la direzione delle Maestre della Compagnia di Maria. Li completò la sua formazione, conducendo una vita ritirata e di carità.
Così preparata, entrò a far parte di un gruppo di dodici giovani che, sotto la direzione del sacerdote Don Juan Bonal, cappellano dell’Ospedale di Santa Cruz a Barcellona, costituirono una confraternita, al servizio di tutte quelle povere persone che erano accolte negli ospedali: infermi, dementi, bambini abbandonati ed ogni sorta di disagiati.
Bonal e Rafols avevano compreso che l’adeguata attenzione ai malati richiedeva persone consacrate a Dio, disposte a servire i malati con spirito di fede e con amore.
Nel settembre 1804 Bonal si trasferì a Saragozza per preparare un campo di lavoro nell’ospedale «Nuestra Señora de la Gracia». Il 28 dicembre dello stesso anno, all’età di appena 23 anni, lo raggiunse anche Maria Rafols con altre undici donne giovani.
Nonostante la sua giovane età la santa venne nominata preside della piccola comunità femminile, che sarà il seme della grande e vigorosa Congregazione che si espanderà dopo la sua morte.
Fin dall’inizio, il 1 gennaio 1805, la piccola comunità dovette affrontare l’ingente compito di trasformare l’ospedale, dove regnavano l’incuria, gli abusi, il disordine e la scaltrezza di alcuni impiegati mal retribuiti, per iniziare una forma di vita apostolica che era solo agli inizi e che non sarebbe stata né compresa né desiderata da coloro che dirigevano l’ospedale.
Con pazienza, tatto e carità, di fronte alle sue sorelle, riuscì ad ottenere una vera trasformazione dell’ospedale e un riconoscimento prudente di successo da parte dei suoi direttori.
Ci furono due assedi di Saragozza da parte dell’esercito francese di Napoleone, nel 1808 e 1809 e l’Ospedale il 4 agosto 1808 fu ridotto in cenere , Maria Rafols e le consorelle si rifugiarono nell’antico ospedale per convalescenti, dove poi Maria trascorse tutta la vita.
Non ci furono solo rovine materiali per la Guerra Franco-Spagnola, ma anche fu colpita la nascente Congregazione; la giunta dell’ospedale, nominata dal governo francese, interferì allontanando il fondatore padre Juan Bonal e imponendo delle regole redatte dal vescovo Michele Suarez de Santander, costrinse alle dimissioni Maria Rafols dalla carica di presidentessa.
Le consorelle comunque osservavano la regola del fondatore fra loro, ma all’esterno cercarono di adeguarsi a quella imposta dalla giunta.
Maria Rafols si distinse per la sua eroicità e carità, soprattutto durante gli assedi e gli scontri del 1808 e 1809; a capo di un gruppo di consorelle fu presente ovunque bisognava soccorrere i feriti, i prigionieri, gli ammalati senza rifugio, i dementi allo sbando; morirono nove giovani sorelle in questa difficilissima situazione.
Maria si recò anche nell’accampamento francese, durante l’assedio e rischiando la vita, per supplicare il generale di mandare soccorsi per i feriti e gli ammalati; si prodigò per la liberazione dei prigionieri; la città di Saragozza, nel centenario dell’assedio, le tributò il titolo di “eroina della carità”.
Superati gli sconquassi della guerra, continuò l’opera assistenziale nell’Ospedale di Saragozza, dirigendo la piccola comunità fino al 10 agosto 1812, quando le nuove costituzioni entrarono in vigore e venne nominata una nuova superiora.
Finalmente il 15 luglio 1824, la piccola comunità circoscritta all’Ospedale di Saragozza, ottenne l’approvazione delle costituzioni e l’associazione divenne la Congregazione “Istituto delle Suore della Carità di Sant’Anna” e il 16 luglio del 1825, Maria Rafols pronunciò insieme alle sue consorelle i primi voti pubblici, diventando di nuovo presidentessa, carica che tenne fino al 1829.
Per le implicazioni ideologiche e religiose, conseguenti ai disordini politici scaturiti durante la prima guerra “carlista”, l’11 maggio 1834 Maria Rafols come molte altre personalità ecclesiastiche, fu arrestata e messa in carcere dall’Inquisizione.
Nonostante che fosse stata giudicata e dichiarata innocente, fu lo stesso esiliata l’11 maggio 1835, presso l’Ospedale di Huesca, perché fu ritenuta inopportuna la sua presenza nell’Ospedale “Nuestra Señora de la Gracia” di Saragozza.
Ad Huesca soggiornò presso un gruppo di consorelle, provenienti anch’esse da Saragozza; qui restò fino al 1841, poi poté ritornare a Saragozza, dove riprese con maggiore zelo la sua attività a favore dei bambini orfani.
Carità e povertà furono le virtù più caratteristiche di tutta la sua vita, che santamente si concluse a Saragozza il 30 agosto 1853 a 72 anni, dei quali 49 come Sorella della Carità.
La Congregazione delle “Suore della Carità di Sant’Anna”, poté diffondersi solo dal 1858, dietro autorizzazione accordata dalla regina Isabella II e oggi è presente in 27 Paesi con 287 Case.
Madre Rafols è stata beatificata il 16 ottobre 1994 da papa Giovanni Paolo II.
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