Santa Elisabetta, che, regina del Portogallo, fu esemplare nell’opera di pacificazione tra i re e nella carità verso i poveri; rimasta vedova del re Dionigi, abbracciò la regola tra le monache del Terz’Ordine di Santa Chiara nel cenobio di Estremoz in Portogallo da lei stessa fondato, nel quale, mentre era intenta a far riconciliare suo figlio con il genero, fece poi ritorno al Signore.
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Nasce a Saragozza il 4 Gennaio del 1271 da Pietro III re di Aragona e da Costanza madre di Manfredi re di Sicilia. Le è imposto il nome di Elisabetta in memoria di Santa Elisabetta regina d’Ungheria, sua prozia. Fin da bambina mostrò una profonda fede ed era molto dedita alle preghiere.
Andò in sposa nel 1282 al re Dionigi del Portogallo che notoriamente è descritto avesse un pessimo carattere. Sopportò con cristiana pazienza il difficile carattere dell’uomo, le sue prepotenze e le sue infedeltà.
Dal matrimonio nacquero due figli: la principessa Costanza e il figlio Alfonso. Oltre le difficoltà caratteriali del sovrano marito, dovette successivamente affrontare anche il comportamento ribelle del figlio maschio, Alfonso IV del Portogallo.
La tradizione la descrive come una donna esempio di carità cristiana, rivolgendo particolare attenzione ai malati di Lisbona e prodigandosi per pacificare le contese.
Al mattino si alzava presto, pregava, assisteva alla Santa Messa e poi trascorreva le ore della giornata nell’adempiere i doveri del suo stato, nella lettura della Sacra Scrittura e nel lavoro manuale. Non stava mai senza fare nulla. Osservava i digiuni imposti dalla Chiesa e se ne imponeva altri; visitava e sollevava i poveri e gli infermi.
La sua carità cristiana la spinse a occuparsi con dedizione anche dei figli illegittimi del marito e assistette quest’ultimo gravemente malato fino alla sua morte; tanto fece che l’affettuosa dedizione della donna pare ne favorì la conversione in extremis al cattolicesimo.
La descrizione delle sue opere venne assunta come prova dell’efficacia della sua testimonianza cristiana e condotta di vita, cosa che ne favorì la canonizzazione.
Dopo la morte del marito (1325), Elisabetta rinunciò al mondo, si tagliò i capelli, vestì l’abito del terz’ordine Francescano e andò pellegrina a San Giacomo de Compostela. In suffragio del re defunto, offrì al santuario la corona d’oro che aveva portato il giorno del matrimonio, con altri ricchissimi doni. Il vescovo della città le diede in cambio un bastone di pellegrino e una borsa che la santa volle portare con sé nella tomba.
Appena rientrò a corte fece fondere le sue argenterie a favore delle chiese, divise i diademi e le altre insegne regali tra la sovrana Beatrice e le sue nipoti e, a Coimbra, fece terminare la costruzione del monastero di Santa Chiara. In esso intendeva terminare la vita, ma ne fu distolta da savi sacerdoti, per ragioni di stato e per non privare tanti poveretti dei suoi aiuti.
Elisabetta si accontentò di portare sempre l’abito della penitenza e di fare costruire presso il monastero un appartamento che le consentisse, con il permesso della Santa Sede, di ritirarvisi sovente a pregare, a conversare e a pranzare con le religiose.
Nel pomeriggio Elisabetta dava udienza con una pazienza e una bontà illimitata, ai poveri, ai malati, ai peccatori che ricorrevano a lei. Per tutti aveva una parola di consolazione, un’abbondante elemosina. Nel 1333 gli abitanti di Coimbra furono ridotti, dalla carestia, a cibarsi di sorci. Elisabetta, senza prestare ascolto agli amministratori dei suoi beni che le raccomandavano la parsimonia, fece comperare per loro grandi quantità di cibarie e provvide persino che fossero seppelliti i morti, abbandonati nelle case per la grande desolazione. Quando era libera dalle opere di carità e nella notte, ella si ritirava in una stanzetta segreta. Lontana dagli sguardi indiscreti dava libero sfogo alle sue preghiere e alle sue contemplazioni. Altre volte andava a visitare i degenti nell’ospedale che aveva fatto costruire in onore di Santa Elisabetta d’Ungheria e a curarli con le sue stesse mani.
L’ultimo anno di vita Elisabetta pellegrinò, una seconda volta, a San Giacomo de Compostela, con due donne. Volle fare a piedi il lungo viaggio nonostante i suoi 64 anni e mendicare di porta in porta il vitto quotidiano.
Al ritorno le fu annunziato che suo figlio, Alfonso re del Portogallo, e suo nipote Alfonso, re di Castiglia, si erano dichiarati guerra. Elisabetta si portò a Estremoz nella speranza di strappare parole di pace dalla bocca del figlio da portare al nipote in Castiglia, ma una violenta febbre non le lasciò nessuna speranza di vita. Si mise a letto, fece testamento alla presenza del figlio e della nuora, e ricevette il Viatico tra sospiri e lacrime, rivestita del suo abito di penitenza, inginocchiata, nonostante l’estrema debolezza, davanti all’altare eretto nel suo appartamento. Alla regina Bianca, che l’assisteva e che era stata la compagna delle sue visite ai poveri e ai malati, ella chiese che avvicinasse al suo letto una sedia per Maria Santissima la quale le era apparsa radiosa, vestita di bianco, in compagnia di Santa Chiara e di altre sante.
Muore il 4 Luglio 1336 dopo aver recitato il Credo e mormorato: Maria, mater gratiae.
Il suo corpo fu riportato al monastero di Coimbra nel 1612 e, durante l’esumazione lo si trovò incorrotto; fu chiesta quindi la canonizzazione. Già nei primi tempi dopo la morte c’erano pellegrinaggi di fedeli alla sua tomba e circolavano voci di presunti “miracoli”. Finché, nel 1625, papa Urbano VIII celebrò la solenne canonizzazione in Roma.
(Fonte it.cathopedia.org – santiebeati.it)
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