San Romolo, diacono, è venerato come martire dalla Chiesa cattolica, la quale ne fissa la memoria al 6 luglio. È considerato il patrono di Fiesole, in Toscana, città nella quale avrebbe subito il martirio al tempo dell’imperatore Domiziano (81-96).
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Poche le notizie che abbiamo sulla vita di San Romolo e molte di esse potrebbero essere leggendarie anche se poi hanno influenzato tradizioni, scritti e artisti nei secoli successivi.
La chiesa di Fiesole lo commemora come il primo martire della città mentre altre fonti ipotizzano che sia stato più probabilmente un diacono vissuto nel IV secolo d.C., al termine delle persecuzioni cristiane.
Nel medioevo, un certo abate Teuzone, il quale, sostenendo di aver analizzato dettagliatamente una lastra tombale quasi illeggibile, divulgò che il santo non era altro che un martire della Chiesa fiesolana, vissuto nel I secolo.
Sui nuovi dati forniti dall’abate fiorirono numerosissime leggende, storicamente infondate, ma ampiamente influenzate da quelle di personaggi omonimi, come Romolo, il leggendario fondatore di Roma.
La vita più conosciuta del santo è narrata da tre codici, composti tra l’XI e il XIV secolo e riprende una nota del Martirologio di Usuardo che, in data 6 luglio, fa menzione di un gruppo di martiri, tra i quali anche Romolo, uccisi in Toscana sotto l’impero di Domiziano.
Raccontano gli scritti che Romolo, un giovane non fiesolano bensì romano, nacque in una nobile famiglia forse verso la metà del I secolo. Non è chiaro il motivo per cui, ancora neonato, venne esposto su una collina; tuttavia una lupa si prese cura di lui, allattandolo insieme ai suoi cuccioli.
Cresciuto in questo stato fino alla maturità, Romolo, conquistato dalle prediche dell’apostolo Pietro, attivo nell’Urbe poco dopo l’anno 60, si convertì al Cristianesimo e ricevette il battesimo dallo stesso apostolo. Si dedicò quindi all’evangelizzazione, inizialmente a Roma, ma estendendola in seguito alle città di Sutri e Nepi. Gli ottimi frutti derivanti dalla sua opera spinsero San Pietro a nominare Romolo vescovo e ad inviarlo in missione insieme a due compagni a Fiesole, in Etruria.
Incamminandosi verso la città, Romolo passò per Volterra dove incontrò altri due discepoli di San Pietro che raccontarono di essere già stati a Fiesole per l’evangelizzazione, non ottenendo però alcun risultato dato che la popolazione del posto era interamente dedita al culto pagano. Il santo, per nulla sfiduciato, li confortò e li invitò a seguirli. Una volta giunti presso le porte della città toscana, i missionari vennero scacciati dalla popolazione locale e dal loro governatore, sicché Romolo e i suoi seguaci (in tutto quattro: Carissimo, Marchiziano, Crescenzio e Dolcissimo) decisero di abbandonare per un certo tempo quella terra pagana per predicare il Vangelo in Lombardia, a Brescia e a Bergamo.
Dopo essersi trattenuto per un certo tempo a Nord con i compagni, Romolo ricevette da un angelo l’ordine di ritornare a Fiesole; penetrato segretamente nella città, diede dunque inizio a una serie di conversioni e miracoli che spinsero al battesimo numerosi pagani.
La leggenda parla di numerosi episodi leggendari attribuiti a Romolo: si racconta che un giorno il santo, avendo bisogno di acqua, ne chiese ad una donna del posto la quale rifiutò; per punizione, l’acqua che possedeva venne tramutata in sangue. Alcuni affreschi ricordano un altro noto episodio della sua vita: la guarigione di un giovinetto di nome Celso, posseduto dal demonio.
Le conversioni di massa portate da Romolo nel territorio fiesolano scatenarono l’ira del governatore cittadino, Repertiano, portatore del culto pagano nella zona, il quale fece arrestare Romolo e i suoi quattro compagni. Al loro rifiuto di sacrificare agli dèi, essi vennero dapprima torturati e infine condotti all’esterno della città, dove vennero decapitati. Era l’estate dell’anno 90. I corpi di Romolo e dei compagni vennero raccolti da alcuni cristiani e seppelliti ai piedi della collina, alla sinistra del fiume Mugnone e della strada etrusco-romana, in un cimitero nei dintorni della città.
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